lunedì 19 agosto 2013

NON SONO ORGOGLIOSO DI ESSERE ITALIANO

Non sono orgoglioso di essere italiano. Non vedo nessun motivo per esserlo. La messa in scena patriottarda a base di inni e bandiere mi appare ridicola e infantile. I grandi successi del genio imprenditoriale e militare di questo paese sono reperti archeologici. La democrazia reale ed il dibattito politico sono vergognosi. L’efficienza dei servizi pubblici è da repubblica sovietica. La qualità media della preparazione professionale degli italiani, la mia in testa, è mediocre. Quella dell’educazione, poi, è il vero cancro che stiamo amorevolmente coltivando.
L’Italia del 2013 è un gregge che una ristretta oligarchia sta minuziosamente sfruttando nell’indifferenza generale: latte, lana, carne. Tutto, un po’ alla volta viene consumato e l’eccedenza messa da parte. I sessanta milioni di capi di bestiame si agitano e, a volte, belano rumorosamente, ma poi si mettono in fila per il pastone, per salvare Silvio o per votare alle primarie.
Il rispetto per il passato e per i morti che hanno fatto questo paese è solo una bufala ipocrita. Quanti di noi sanno veramente quello che è successo ai confini con l’Austria tra il 1915 e il 1918. Quanti, al risveglio del 4 novembre, passano almeno un minuto di silenzioso rispetto (leggetevi questo per rinfrescarvi la memoria)? Quanti, quando il calendario mette in mostra la fatidica data dell’otto settembre, provano un intimo senso di vergogna?
Se essere italiani vuol dire fare il bagno nella fontana quando si vincono i mondiali, per me va benissimo. Fate pure. Se vi piace questo paese, tenetevelo. Se vi piace passare la notte in bianco solo perché il postino vi ha lasciato l’avviso per una raccomandata, contenti voi. Porto questo passaporto in tasca come un marchio di infamia e non c’è giorno che passa che non cerchi di togliermelo. Alla fine, e fra un po’ lo saprò per certo, forse ci riuscirò.
Io sono un anarchico. Non amo nessun patria fatta di retorica e bandiere. La mia patria ha cinque anni e la porto per mano a giocare al parco ogni volta che posso. Il resto è un accordo sociale che dovrebbe essere di reciproca convenienza e che, invece, mi fa sentire fregato sempre di più ogni giorno.
Per questo paese ho lavorato e combattuto dall’età di 16 anni. Ne porto i segni sul corpo. C’è più di un uomo che ho consegnato all’eterno riposo  in nome del tricolore. Io ci ho creduto. Ci ho creduto veramente, ma viene il tempo della crescita e della libertà. Il mio è arrivato.
Una nazione non si fa con un tweet, ma con un impegno costante di reciproco sostegno e di rispetto per la debolezza altrui che io non vedo più da oltre trent’anni in Italia se non in qualche disperato che, come un giapponese combatte una guerra che non esiste più.