venerdì 22 aprile 2016

Verbitsky: non fidatevi di Bergoglio, è un grande attore





Fare la predica ai cattivi, con un unico obiettivo: evitare che i buoni si ribellino davvero. «Quando celebrerà la sua prima messa in una via di Trastevere o nella stazione Termini di Roma, e parlerà delle persone sfruttate dagli insensibili che hanno chiuso il loro cuore a Cristo», avverte Horacio Verbitsky, «ci sarà chi si dichiarerà entusiasta del tanto invocato rinnovamento ecclesiastico». Ma guai a lasciarsi fuorviare dalle parole di un “professionista” consumato come Jorge Bergoglio, ammonisce il prestigioso giornalista argentino, grande accusatore del nuovo pontefice «populista e conservatore», pronto a soccorrere i poveri solo dopo aver fatto terra bruciata attorno ai veri difensori del popolo, civili e religiosi. Il copione del film è già scritto: «I giornalisti amici racconteranno che ha viaggiato in metro o in bus», e i fedeli «ascolteranno le sue omelie recitate con i gesti di un attore nelle quali le parabole bibliche coesisteranno con la parola chiara del popolo». Tutto questo, mentre le redazioni di Buenos Aires vengono tempestate di telefonate: i parenti deidesaparecidos sono indignati, addolorati, amareggiati.


«Tra le centinaia di chiamate e e-mail ricevute», scrive Verbitsky su “Página 12”, quotidiano argentino vicino al governo democratico di Cristina Kirchner, il giornalista ne sceglie una, quella di Graciela, la sorella del sacerdote gesuita Orlando Yorio, che sostenne di esser stato “consegnato” da Bergoglio nelle mani dei torturatori dell’Esma, la famigerata scuola della marina trasformata in lager per dissidenti. «Non posso crederci», dice Graciela Yorio, subito dopo la fatidica fumata bianca in piazza San Pietro. «Sono cosi sconvolta e arrabbiata, che non so cosa fare». Bergoglio? «Ha ottenuto quello che voleva». Suo fratello l’aveva avvertita: «Vuole diventare Papa: è la persona più indicata per coprire il marciume, è un esperto nel dissimulare». Piange, al telefono, anche il fratello del religioso perseguitato, Alfonso, detto “Fito”. Una vita intera dedicata a difendere la memoria di Orlando, che denunciò Bergoglio come responsabile del suo rapimento e delle torture che patì per 5 mesi, nel 1976. L’incubo di padre Yorio adesso è diventato realtà: è diventato Papa, per giunta col nome di Francesco d’Assisi, l’uomo che non è ancora riuscito ad archiviare in modo convincente le ombre del passato.
Un disinvolto uomo di potere, lo accusa Verbitsky, pronto anche a resistere ai tribunali impegnati a ricostruire la tragedia argentina: davanti al Tribunal Oral Federal 5, scrive il giornalista su “Página 12”, Bergoglio sostenne che era venuto a conoscenza solo recentemente, cioè dopo la dittatura, del caso dei bambini scomparsi, sottratti ai genitori sequestrati e poi fatti sparire. Peccato però che il Tribunal Oral Federal 6, che ha giudicato il piano sistematico di appropriazione di figli dei detenuti-desaparecidos, avesse ricevuto documenti imbarazzanti per il nuovo Papa: quel tribunale, scrive Verbitsky, provò che «già dal 1979 Bergoglio era consapevole della situazione», tant’è vero che – almeno in un caso, su sollecitazione del suo superiore, il capo dei gesuiti Pedro Arrupe – intervenne in modo attivo nella vicenda. «Dopo aver ascoltato il racconto dei familiari di Elena de la Cuadra, sequestrata nel 1977, al quinto mese di gravidanza, Bergoglio avrebbe consegnato un documento al vescovo ausiliare di La Plata, Mario Picchi, chiedendogli di intercedere presso il governo militare». Picchi scoprì che Elena aveva dato alla luce una bambina, poi affidata ad altri. «Si trova presso una famiglia per bene e non tornerà indietro», avrebbe comunicato Bergoglio ai parenti della madre “desaparecida”.
Nel processo sul sequestro dei gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jaclis, continua Verbitsky, Bergoglio arrivò a dichiarare per iscritto che nell’archivio episcopale non c’erano documenti sui detenuti scomparsi. A smentirlo ha provveduto il nuovo direttore dell’archivio, José Arancedo, che «inviò al giudice Martina Forns una copia del documento sull’incontro del dittatore Videla con i vescovi Raúl Primatesta, Juan Aramburu e Vicente Zazpe», nel quale «fu discusso con straordinaria franchezza su cosa si doveva dire e cosa non dire sui detenuti scomparsi, che erano stati assassinati, dal momento che Videla voleva proteggere chi li aveva uccisi». Nel suo libro “Chiesa e dittatura”, Emilio Mignone indica Bergoglio come esempio di un pastore che, anziché difenderle, consegna le pecore al lupo. «Bergoglio – aggiunge Horacio Verbitsky – mi raccontò che, in una delle sue prime messe da arcivescovo, cercò di avvicinare Mignone per dargli spiegazioni, ma il presidente fondatore del Cels alzò la mano indicandogli di fermarsi».
E ora? «Non sono sicuro che Bergoglio sia stato eletto per coprire il marciume che ha ridotto all’impotenza Joseph Ratzinger», scrive Verbitsky su “Página 12”. «Le lotte interne della curia romana seguono una logica così imperscrutabile che i fatti più oscuri sono in genere attribuiti allo spirito santo, sia che si tratti delle manovre finanziarie per le quali lo Ior è stato escluso dal meccanismo del clearing internazionale, dal momento che non ottempera alle normative per il controllo del riciclaggio del denaro, sia che si tratti dei casi di pedofilia che si sono verificati a livello mondiale e per i quali Ratzinger ha chiesto perdono in quanto massimo rappresentante della Chiesa cattolica. Non mi sorprenderebbe che Bergoglio, con il pennello in mano, iniziasse una crociata moralizzatrice per imbiancare i sepolcri degli apostoli». Quello di cui invece Verbitsky si dichiara sicuro è che il nuovo vescovo di Roma sarà semplicemente «un surrogato, un succedaneo di scarsa qualità», come quelli che le madri indigenti utilizzano «per ingannare la fame dei propri figli».
Il brasiliano Leonardo Boff, escluso dal sacerdozio da Ratzinger in quanto fondatore della “teologia della liberazione”, che impegna la Chiesa a schierarsi con decisione dalla parte degli ultimi e contro il potere che li opprime, coltivava la speranza che sarebbe stato eletto Papa un francescano vero, l’americano di origine irlandese Sean O’Malley, che regge la diocesi di Boston, piegata dai tanti indennizzi pagati a bambini molestati dai sacerdoti. «Si tratta di una persona molto legata ai poveri, avendo lavorato molto nei Caraibi e in America Latina, sempre a contatto con gli umili», sostiene Boff. La sua elezione sarebbe stato «un segnale di quello che potrebbe essere un Papa davvero nuovo, un Papa di una nuova tradizione». Invece, sul trono di Pietro ora siede un gesuita che si fa chiamare Francesco, come il santo di Assisi, nonostante la sua reale biografia tracci il profilo di «un populista conservatore, come lo sono stati Pio XII e Giovanni Paolo II», assolutamente «inflessibili sulle questioni dottrinali», nonostante l’apertura verso il mondo e l’attenzione – esibita e spettacolare – verso le masse dei diseredati.
Nei tre lustri durante i quali è stato a capo dell’arcidiocesi di Buenos Aires, sostiene Verbitsky, monsignor Bergoglio si è mosso innanzitutto da politico, unificando l’opposizione contro il primo, vero governo democratico e popolare dell’Argentina post-dittatura. «Adesso potrà farlo su un’altra scala, ma questo non implica che si lascerà l’Argentina alle spalle», aggiunge Verbitsky. «Se Papa Pacelli ricevette finanziamenti dalla Cia per sostenere la Democrazia Cristiana e impedire la vittoria comunista alle primeelezioni italiane del dopoguerra, e se Wojtyla fu l’ariete che aprì il primo spiraglio nel Muro di Berlino, il Papa argentino potrà giocare lo stesso ruolo nel mondo latinoamericano». Parlano da soli «i suoi trascorsi nella Guardia de Hierro», il settore giovanile del peronismo di destra, che ancora oggi rivendica il diritto argentino sulle isole Malvine-Falkland. Battaglie, conclude “Página 12”, che potrebbero consentire a Bergoglio di proseguire lungo la sua tradizionale e ambigua linea politica: «Apostrofare gli sfruttatori e predicare mansuetudine presso gli sfruttati».


Fonte: libreidee.org

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