lunedì 14 novembre 2016

«Sono scappata via dai Testimoni di Geova»

Quando Sara disse ai genitori che non voleva più essere una Testimone di Geova, il padre le rispose che l’avrebbe preferita morta. Invece, uscita dalla Congregazione, ha iniziato la sua nuova vita. E la racconta in un film

Uno dei primi ricordi di Sara è una fetta di torta. La mangiò all’asilo, in occasione del compleanno di un compagno di classe. Tornò a casa e disse a sua madre: «Ho fatto una cosa bruttissima». La famiglia di Sara appartiene ai Testimoni di Geova e i Testimoni di Geova non festeggiano né il Natale né i compleanni, nemmeno quelli altrui. Dopo quella fetta di torta, Sara non partecipò più a nessun compleanno, né alle elementari né dopo.

Se capitava, mentre gli altri bambini spegnevano le candeline andava in biblioteca. Così scoppiò il suo amore per la lettura. Ma a casa non poteva leggere quello che voleva. Per esempio, Harry Potter era proibito. Comprò i libri di nascosto e ne coprì le copertine con quelle della Bibbia e di altri testi religiosi.

Alle superiori, all’Istituto di Ragioneria, scoprì 1984 di George Orwell, il libro che per lei ha cambiato tutto. «Orwell mi ha bisbigliato qualcosa ma ancora non ero in grado di fare paragoni con l’ambiente in cui ero cresciuta, era troppo spaventoso», dice. «Tra i Testimoni di Geova, l’interazione con il mondo esterno alla Congregazione è considerata un peccato, essere felici è obbligatorio, se non sei felice significa che non hai abbastanza fede. I miei genitori, per esempio, non credo si siano mai amati davvero. I Testimoni di Geova si sposano giovanissimi e senza aver fatto l’amore prima e senza aver frequentato altre persone. Appena conosci un ragazzo, ti ci devi fidanzare in casa e la tua vita sentimentale è segnata per sempre. A volte, i miei litigavano furiosamente, e in quei casi venivano chiamati gli anziani della Congregazione a mettere pace».

Oggi Sara ha 25 anni, l’ho incontrata in un piccolo ristorante di Firenze. Ha un tatuaggio lungo il braccio sinistro, una scritta che dice I’m gonna fight ’em all, li combatterò tutti. È magra, si è tinta i capelli di un colore pazzerello, lo sguardo è vivace, un fuoco acceso. Parla apertamente della sua esperienza ma chiede che il cognome non sia scritto sul giornale.

Per i Testimoni di Geova è un’apostata, lei si definisce «disassociata». La sua storia somiglia, per certi aspetti, a quella di Daiana Mingarelli, la cantante del duo Daiana Lou, concorrenti di questa edizione di X Factor. E somiglia anche a quella di Emidio Picariello, titolare del blog ildisassociato.net e autore del libro Geova non vuole che mi sposi (Editori Riuniti, uscito nel 2011).

Simili vicende hanno ispirato un gran bel film, La ragazza del mondo, con Sara Serraiocco, una delle migliori attrici giovani in circolazione, opera prima di Marco Danieli, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e in sala dal 9 novembre.

Al film Sara l’apostata ha collaborato, aiutando l’attrice sua omonima a capire che cosa significa crescere in una famiglia di Testimoni di Geova e poi volerne uscire, ripartendo da zero. Chi è battezzato e poi si disassocia si trova solo. Nessuno, nemmeno i parenti stretti, vuole mantenere i rapporti con chi è uscito. O sei dentro, o sei fuori.

Oggi Sara è fuori, frequenta l’università e si mantiene lavorando presso una catena di profumerie.
Ci è entrata come commessa, poi è diventata make-up artist e adesso si occupa della formazione delle nuove colleghe.

«Insomma, nel mio piccolo, ho fatto carriera», racconta. Un fatto inconcepibile per un Testimone di Geova, perché «una delle prime cose che ti inculcano è che l’ambizione è un prodotto del Male».

Nel film di Danieli, la rottura tra la protagonista e i genitori comincia perché la ragazza vuole iscriversi all’università e i genitori non ne vogliono sapere. È andata così anche per Sara. Finite le superiori, Ragioneria, voleva diventare magistrato e dunque iscriversi a Giurisprudenza. Dopo molte discussioni, i genitori le permisero di iscriversi a Economia aziendale. L’idea che facesse la segretaria in uno studio di commercialista era più accettabile: orari fissi, più tempo da dedicare alla predicazione e, soprattutto, poche prospettive di crescere professionalmente. Dopo qualche mese Sara cambiò facoltà, di nascosto dai genitori. Lo disse, però, al suo ragazzo, Testimone di Geova anche lui.

«Eravamo in un bar di fronte a due tazzine di caffè. Gli dissi ciò che avevo fatto, era sconvolto e io cercai di spiegargli quelli che cominciavano a essere i miei dubbi sulla nostra religione. Sussurrai: ci stanno facendo il lavaggio del cervello. Lui corse a raccontare tutto ai miei genitori e scoppiò un casino. Vennero gli anziani della Congregazione a casa a cercare di convincermi che stavo sbagliando tutto. Sulle prime obbedii ma ormai la crisi dentro di me si era aperta. Ci sono voluti un paio d’anni, tante letture, la scoperta del blog di Emidio Picariello sui disassociati e l’aiuto di una psicologa che frequentavo di nascosto finché, un bel giorno, ho trovato il coraggio di dire ai miei che non volevo più essere Testimone di Geova. Mia madre pianse a dirotto, mio padre mi urlò che avrebbe preferito sapermi morta in un incidente».

Oggi un esile rapporto tra Sara e i suoi genitori si è riallacciato. Grazie alla madre, soprattutto. L’amore materno ha prevalso sul resto ma è tutto molto delicato, per questo Sara non vuole rendere pubblico il nome della famiglia né dire dove vivono. «I miei ne soffrirebbero troppo. Avere una figlia disassociata è una vergogna, nella loro mentalità significa che non mi hanno saputo trasmettere i giusti valori». Sara ha una sorella minore, che adesso ha 17 anni: anche lei comincia ad avere dubbi e a manifestare una certa insofferenza ma tende poi a rientrare nei ranghi. «Ci sono passata anch’io e mi rendo conto che sono sprazzi di consapevolezza che, però, finisci per mettere da parte: guardare in faccia la realtà fa troppa paura. Anche se senti che è giusto andartene, sai che sarà come tagliarti un braccio, devi rinunciare ai tuoi affetti e iniziare un lungo viaggio per capire chi sei».Sara oggi è una ragazza che appare equilibrata e piena di grinta. Riesce persino a fare dell’ironia. Dice che, a furia di prendere porte in faccia quando andava a predicare, è diventata un’abilissima venditrice, in profumeria. Anche se il ricordo di quelle uscite non è certo gioioso. «Suonavo il campanello e pregavo: fa’ che non rispondano, fa’ che non ci sia anima viva. Una volta mi aprì una signora molto gentile, prese il volantino e disse: “Io lo prendo però vorrei che tu leggessi questo”. Era il volantino di un’iniziativa nel Terzo mondo e mi diede da pensare: i Testimoni di Geova non fanno beneficenza. Non si porta da mangiare ai poveri, gli si porta la parola di Dio e quella deve bastare. Un’altra volta mi aprì un compagno di classe, che imbarazzo. Ma ciò che più mi faceva soffrire era che io non sentivo la presenza di Dio come loro dicevano che avrei dovuto sentirla. Pensavo di essere sbagliata, pensavo che Dio mi punisse perché non avevo voglia di andare a predicare. Oggi sensi di colpa non ne ho più, eppure ho una vita spirituale, a modo mio».

di Paola Jacobbi