lunedì 8 maggio 2017

all’Eliseo è arrivato IL BURATTINO 2.0

Loro contavano i voti per Macron, noi gli sbarchi. Morale? Non lo abbiamo preso in culo abbastanza

Alla fine è andata come da previsioni: Emmanuel Macron è il nuovo presidente francese con oltre il 65% delle preferenze, né l’effetto Mélenchon, né quello dell’astensione hanno permesso il miracolo a Marine Le Pen. Disperato per la prestazione del Milan e nel corso di una pausa pubblicitaria de “Il ritorno di Don Camillo”, ho girato su una delle tante maratone in onda e mi sono imbattuto nel discorso del neo-eletto inquilino dell’Eliseo: pensavo che Zapata e Paletta avessero suscitato in me tutti i brividi possibili, invece non c’è limite al peggio. Faccio tanti auguri di buona fortuna ai francesi, ne hanno davvero bisogno. Non perché Macron è figlio legittimo dell’establishment, legato alla Banca Rothshield e impenitente europeista. Non perché imporrà una ricetta lacrime e sangue per i lavoratori francesi (essendo discepolo di quel Jacques Attali che andrebbe processato per crimini socio-economici di massa), i quali, magari, per evitare l’arrivo del fascismo all’Eliseo in gran numero lo hanno anche votato.

Questo dopo avergli fatto sciopero contro per mesi, a colpi di scontri e barricate, essendo lui l’uomo della nuova legge sul lavoro, il Jobs Act francese, passato senza più un’ora di sciopero grazie alla legge d’emergenza sulle manifestazioni pubbliche emanata per contrastare il terrorismo. Perché Emmanuel Macron non è psicologicamente stabile: parlava come un robot, una sorta di manichino animato che ripeteva senza emozione, né tono, un copione che ha deliziato tutti, dalla Merkel a Renzi, da Juncker a Trump. Non è solo all’Eliseo è arrivato il burattino 2.0, non solo è controllato politicamente dalle elite ma è anche fragile emotivamente e psicologicamente. Altrimenti, scusate, come avrebbe fatto un 39enne in politica dal 2012 a passare da eminente sconosciuto a ministro dell’Economia e poi a presidente francese? Deve avere una dote, sicuramente. Forse, la sua, è il non capire cosa stia facendo, cosa stia davvero accadendo. Qualcuno glielo spiegherà, teleguidandolo come Ambra a “Non è la Rai”.


Va bene così, fidatevi. Questi risultati ci dicono che i francesi non l’hanno preso nel culo abbastanza. O che gli piace, delle due l’una. Perché adesso, piaccia o meno, sarà davvero la Merkel a controllare il loro Paese. E non saranno giorni facili per i lavoratori, tanto più che – quando l’euforia dello champagne sarà svanita e il fantasma fascista sarà tornato nell’armadio -, la Francia si renderà conto che i giochi si aprono solo ora. Le legislative di giugno, quelle che daranno vita e forma al Parlamento, ci diranno non solo qual è il reale peso del Front National nel Paese ma, soprattutto, quanto Macron sia realmente teleguidato, visto che essendo senza un partito, di fatto, dovrà non solo riportare alle urne il 22% di francesi che le proiezioni accreditano per En Marche! ma anche scendere a patti con uno dei più clamorosi inciuci politici della storia. Prerogativa non nuova per la Francia ma mai a questo livello, essendo i due partiti tradizionali, socialisti e repubblicani, ai minimi termini.

Insomma, c’è forte puzza di governo fantoccio. Resta la sinistra-sinistra di Mélenchon, molto paraculo nel non schierarsi ma ora senza più alibi: una volta che l’immobilismo della non scelta esplicita avrà ceduto il passo alla realtà di un Paese che va governato, cosa farà? Certo, finché c’è la Le Pen da fermare è facile, si issa uno stendardo con scritto “No pasaran” e si fa una bella figura come con un abito blu ma poi c’è la carne viva del Paese con cui fare i conti: certo, è la stessa carne viva che ha scelto, direttamente o indirettamente, Macron come male minore ma resta il punto della credibilità politica. La Le Pen ha giocato duro e perso ma nessuno tra i suoi elettori potrà rimproverarle niente, chissà invece cosa accadrà alle speranze di resurrezione personale di Mélenchon al primo sciopero generale, alla prima delocalizzazione, al primo significativo taglio occupazionale, alla prima richiesta di austerity da Bruxelles. Il Front National ha perso, questo è indubbio: ma chi ha davvero vinto?



Ora, mettete un attimo in prospettiva l’intera vicenda: vi paiono pochi 10 milioni di francesi che votano Front National? Riavvolgete il nastro della sola campagna elettorale, senza andare troppo indietro nel tempo: quali accuse sono state mosse contro Marine Le Pen e i suoi dal 90% dei media mondiali? Razzismo, populismo, nazionalismo, xenofobia e antisemitismo: a tutte le ore, h24, su tutti i media. Vi pare poco che, nonostante questo, 9,5 milioni di francesi abbiano scelto quell’opzione? Certo, è ancora minoritaria ma non è più di testimonianza, non è più la scheggia estremista impazzita di papà Le Pen: è un partito nazionalista di nuova generazione, è un’estrema destra che magari farà ancora troppo goffamente i conti con certe parole d’ordine del passato ma che non ha certo venduto l’anima al diavolo come certa sinistra che stappa champagne per festeggiare l’elezione di un banchiere a capo dello Stato.

Un consiglio, in tal senso, a Marine Le Pen: non incorra adesso nell’errore di cedere alle sirene dell’agibilità politica del politicamente corretto, bandendo parole d’ordine, slogan ma, soprattutto, valori e battaglie. Insomma, se la tentazione è quella di trasformare il Front National in Forza Italia per sperare nell’accettazione pubblica, nel gaullismo spinto un po’ all’estremo, stia attenta: rischia di fare la fine di Frauke Petry, fatta fuori da Alternative fur Deutschland per il troppo moderatismo che voleva imporre. Va bene contenere la rabbia entro la disputa politica ma vendere il culo è altro. Ora, poi, con buone probabilità, ci penseranno Macron e il Parlamento farsa che benedirà a finire il lavoro della Le Pen, se questa sarà in grado di tenere unito il partito dopo la sconfitta e di non umiliarsi con un’abiura buonista. Materiale per massacrare l’establishment, statene certi che non ne mancherà. E la dimostrazione ce l’avrete fin da oggi e senza dovervi scomodare a seguire il dibattito politico francese, basterà seguire le capriole che la sinistra italiana comincerà a compiere come specialità nell’Olimpiade del distinguo.

Già, perché l’orgia intellettuale di ieri sera finirà anche in Italia e saranno in molti a volersi smarcare, in nome dello scampato pericolo antifascista che, però, ora non può essere alibi per l’avallo di politiche anti-popolari. Se ieri Macron era un fenomeno, oggi sarà già un semi-stronzo che quasi nessuno avrebbe votato: dopo le legislative, tranquilli che dalla Gruber ci sarà chi lo dipingerà come il nuovo Pinochet, dopo averne festeggiato il trionfo. Tempo sei mesi, si sprecheranno i “Macron chi?”. Paese che vai, paraculi che trovi.


E a proposito di culi, i nostri appaiono sempre più esposti all’onda lunga del macronismo imperante. Mentre infatti si tirava un sospiro d sollievo per l’ennesimo “allarme nero” rientrato (non so se avete notato ma nessun tg o giornale ha più trattato la politica austriaca, forse perché il governo di coalizione sta mettendo in atto politiche migratorie e sulla sicurezza da far impallidire Salvini), qualcuno invece di contare i voti, contava gli arrivi: nel fine settimana appena concluso sono state oltre 6mila le risorse giunte sulle nostre coste, portando il totale da inizio anno a più di 43mila unità. Cosa significa questo? A mio avviso, una cosa sola: la visita di George Soros a Palazzo Chigi ha sortito il suo risultato, come era ovvio. Come spiegare, altrimenti, la sfacciataggine di chi, con il casino in atto e con le ONG sotto i riflettori, organizza una specie di sbarco in Normandia? O sei irresponsabile e i trafficanti di uomini dubito lo siano o sai di avere il culo parato: sempre lì si torna, alle terga.

Ma è gusto così, le rivoluzioni senza sangue hanno bisogno di più tempo. I francesi hanno bisogno di ancora un po’ di banlieue e massacro occupazionale, così come noi abbiamo necessità di ancora un po’ di invasione e di una stangata con il prossimo DEF per capire che certi allarmi sono falsi. E, anzi, servono a farci accettare pericoli e destini peggiori in nome della stabilità. Ricordate sempre le parole di un altro francese, Alain De Benoist, riguardo alla questione migranti: “L’immigrazione è un fenomeno padronale. Chi critica il capitalismo approvando l’immigrazione, di cui la classe operaia è la prima vittima, farebbe meglio a tacere. Chi critica l’immigrazione restando muto sul capitalismo, dovrebbe fare altrettanto”. I due fenomeni si tengono, rispondono alla stessa logica e uno è indispensabile all’altro.

Il problema è che questa condizione, la ricerca perenne della stabilità, comincia a rivelarsi per quello che è, ovvero prenderlo stabilmente nel culo. Anche a noi italiani, come i francesi che hanno mandato all’Eliseo il corvo Rockfeller della Merkel, comincia a piacere? Il dubbio sorge, perché quando Matteo Renzi, dopo quello che ha combinato e promesso, rientra non dalla finestra ma dalla porta – e con il tappeto rosso – alla guida del PD, significa che il masochismo ha ormai assunto i tratti distintivi della categoria dello spirito nazionale. E lo stesso ragionamento vale per chi in Forza Italia e nel centrodestra vede ancora in Silvio Berlusconi una risorsa irrinunciabile: ormai casca ogni volta che esce di casa e, soprattutto, ragiona come un democristiano degli anni ’70. Ma senza averne la lucidità politica.

All’orizzonte ora ci sono le elezioni in Gran Bretagna, dove i Tories se non si suicidano vinceranno in carrozza e potranno battagliare per il Brexit e quelle tedesche, interessanti quanto un documentario sugli organismo monocellulari del Borneo o un comizio di Andrea Orlando, visto che chiunque vinca sarà espressione dell’europeismo deteriore. L’unica vera contesa che avrà un valore, quando accadrà, sarà quella italiana: non tanto per capire le alleanza di PD e Forza Italia a livello di coalizione ma per testare la reale forza e tenuta del Movimento 5 Stelle, una compagine quantomai eterogenea e un po’ imbarazzante ma che rimane l’unica forza d’impatto reale a livello di sistema. Certo, l’esperienza Raggi a Roma se dovesse essere presa come paradigma su scala nazionale, spedirebbe Grillo e i suoi sotto al 10% ma c’è da dire che governo Gentiloni e partiti tradizionali ogni giorno si prodigano per oscurare le puttanate grilline, riuscendoci egregiamente.

Sono sincero, i 5 Stelle non sono ancora riuscito a inquadrarli del tutto: furbi sono furbi, almeno nei timing delle iniziative ma, poi, cadono su banalità tali da farti chiedere se ci sono o ci fanno. Resta un dato, per me l’unico che conta: se solo due anni fa avessero detto che 10 milioni di francesi avrebbero votato Marine Le Pen, nessuno ci avrebbe creduto. Qualcosa è cambiato, ovviamente non basta ma, per come è stato dipinto il Front National, siamo di fronte al miracolo. Non solo per i freddi numeri ma perché, intervistati dalle tv, sempre più francesi non hanno avuto paura ad ammetterlo, corredando la risposta con frasi che prima della Brexit sarebbero state impossibili, inaccettabili, roba da estremismo extra-parlamentare. Anch’io, per indole, tendo a pensare che quanto combinato finora dalle élite mondialiste sia più che sufficiente per aver già innescato un movimento di rivolta ben più ampio ma, ripeto, le rivoluzioni senza piombo e morti hanno tempi lunghi, sedimentazioni laboriose e ripensamenti da “anch’io tengo famiglia” molto frequenti.

E questo, non solo nella tanto vituperata Italia dei furbi, dei raccomandati e dei paraculi. Occorre attendere e fare paniere politico di quei 10 milioni di elettori francesi. Mettere la croce su un simbolo che è dipinto e quasi unanimemente ritenuto come l’incarnazione di xenofobia, nazionalismo e anti-semitismo non è facile, l’aspetto psicologico gioca la sua parte. Lo fa meno, invece, per chi opta per il comodo e rassicurante voto al candidato buono che tutto il mondo vorrebbe, il Cicciobello globale, nonostante il passato da banchiere, da ministro, i conti all’estero e il profilo politico da killer dei lavoratori. Serve tempo, macelleria sociale e altre migliaia di risorse in arrivo. Poi avremo davvero a riprova se ci piace prenderlo nel culo o se a prevalere sarà il coraggio indotto del non aver più nulla da perdere. Ripartiamo da quei 10 milioni di “no” dei francesi all’establishment, messi insieme dalla Le Pen ma non per forza a lei ascrivibili acriticamente: è il voto post-ideologico, se ora la leader del Front National cambierà nome al partito e, magari, eliminerà la fiamma come simbolo, ne pagherà il prezzo e lo scotto. Se invece l’ondata di sdegno diverrà risacca dopo la sconfitta, allora è giusto restare dei servi che giocano con secchiello e paletta tra le rovine di ciò che fu.

Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli

Il killer della finanza Macron vince in Francia, causerà migliaia di morti.

Macron ha vinto. Era largamente previsto. Il fantoccio creato a tavolino dalla finanza internazionale per fermare la Le Pen ha goduto del totale sostegno mediatico. Una popolazione in gran parte ignorante sui temi economici ha poi fatto il resto, mandando un uomo di Rothshild all’Eliseo.

Ora il tributo in vite che pagherà la Francia sarà altissimo. I tagli alla spesa pubblica di Macron causeranno migliaia di suicidi per ragioni economiche. La Francia sino ad oggi non aveva assaporato la durezza del vivere, non aveva rispettato i parametri di Maastricht. Da domani lo farà e sarà la fine per il popolo francese.

Macron è un soggetto clinicamente patologico, privo di empatia verso gli esseri umani, che eseguirà con decisione il mandato criminale che gli è stato affidato. Come tutti i liberisti convinti è un malato di mente, andrebbe curato e non messo alla guida di una nazione. Peraltro abbiamo uno psicoterapeuta che lo ha definito così… benché sia talmente evidente che non servirebbe neppure un esperto.

In Francia festeggiano le banche, festeggia Attali, il mentore di Macron. Quello del “ma che credeva la plebaglia europea? Che l’euro fosse pensato per loro?” e del suicidio come soluzione per gli over 65.

In Italia invece festeggia Gentiloni ovviamente, dopo aver preso ordini dall’altro criminale malato di mente, mi riferisco a Soros, non c’è da stupirsi.

Alla fine spetterà a noi ricostruire le nostre civilità dalla distruzione causata da questi individui. Siamo pronti al compito, e li puniremo in maniera esemplare per i crimini commessi.

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Avv. Marco Mori – Riscossa Italia, autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile su ibs


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