UNA VITA DA POLLAIO

Ho di colpo sentito dove l’interezza della vita di ogni umano dovrebbe stare. Dovrebbe stare con lo sguardo rivolto all’immensità del mistero dell’universo. Dovrebbe stare nello studio dei segnali e dei significati che ci vengono da là fuori, che siano trascendentali o immanenti non importa. Dovrebbe guidarci verso il respiro di quel mistero, e fuori dall’angoscia della nostra mortalità. Dovremmo tutti poter vivere, amare, gioire, piangere, ma sempre con lo sguardo rivolto al quel “qualcosa là fuori”. E pensare che ciascuno di noi esiste ogni santo giorno con l’immensità sopra il capo, mentre invece viviamo come se sopra il capo ci fosse il tetto di latta di un pollaio.
Viviamo in un pollaio, a capo chino ogni ora, stanchi, affannati, preoccupati di cose talmente miserabili da essere oscene, sempre alla rincorsa di nevrosi, malattie, penurie di ogni sorta, mai tranquilli, mai sereni, e sovente, troppo sovente, angosciati e disperati, dediti a distruggere l’amore se mai lo troviamo, perché siamo corrosi, avvelenati, da questa vita da pollaio. Ma perché?
La risposta è chiara e l’ho raccontata nel Più Grande Crimine 2011. Potevamo avere sistemi economici/sociali che ci avrebbero tutelati in tutto, e lasciati quindi liberi dalle penurie della vita per poter dedicare tempo a quel “qualcosa là fuori”, all’immenso miracolo che ci contiene tutti. Potevamo vivere da spiriti o anime, non da polli. Ma alcune elite di pochi orrendi automi umani corrosi e resi cadaveri dal Potere, ce lo hanno impedito. Per il loro lurido profitto. A tutti noi, a milioni di noi, “dovevamo soffrire”. Ho raccontato come, nei dettagli, e l’ho detto chiaro: questo è un crimine di proporzione epiche, sconvolgenti. Ma non è questo il punto. Il punto è un altro…
Perché noi glielo abbiamo permesso? E perché continuiamo a permetterglielo?
Paolo Barnard
http://altrarealta.blogspot.it/
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