RAMBO
“In Vietnam ero responsabile per apparecchiature da milioni di dollari, qui non riesco nemmeno a trovare un lavoro come posteggiatore”. Stasera Rete4 trasmetterà per l’ennesima volta – siamo ormai nell’ordine del centinaio di repliche, credo – “Rambo” e questa è la frase di quel film che non solo più mi ha colpito ma che, a mio avviso, lo caratterizza. Certo, è un’americanata. La caduta dalla rupe con conseguente ricucitura a freddo del braccio è machismo reaganiano allo stato puro ma quel film, paradossalmente, trent’anni prima ha capito la condizione dell’uomo attuale. Di più, è la versione bellicista di “Un giorno di ordinaria follia”: Rambo, come il Bill Foster interpretato da Michael Douglas, è semplicemente un uomo che non solo non si riconosce più nel mondo in cui vive ma che, soprattutto, non ce la fa più. E’ esasperato. E’ arrivato al limite della sopportazione. Dorme male. Campa di paranoie. Odia il suo lavoro, quando ne ha uno. Esce sempre meno. E’ sempre più misantropo.