giovedì 30 giugno 2011

L'ILLUMINAZIONE ED ERRORI SIMILI (KARL RENZ)

1. Che cosa ci porta qui dopo tutto?
Perché ti siedi lì davanti?
Domanda: Che cosa stabilisce che tu sieda qui davanti e io qui dietro?
Karl: Quello che ti ha seduto là, è quello che mi ha fatto sedere qui. Ma che cosa sia, non lo so. Non è un agente. Non ha direzione. E´ l´assenza di volontà che si mostra senza volontà in due aspetti diversi.
D.: Allora potremmo fare a cambio.
K.: Naturalmente.  Anche questo farebbe parte della sceneggiatura. La coscienza assume tutti questi ruoli: mondo, spazio, tempo. Ogni figura che qui siede è recitata dalla coscienza. Quello che qui parla è quello che qui ascolta. Tutta coscienza, nessuna separazione.
D.:Tutta un´ uguale coscienza.
K.: Non uguale, ma la stessa. Qui non c´è nulla di separato.
D.: Ma qui la coscienza assume il ruolo di un illuminato.
K.: No, è una tazza che recita. Qui non c´è un illuminato. E altrove nemmeno. Una tazza non potrà mai illuminarsi. E´ solo una forma. Io sono come una tazza e altrettanto impotente riguardo all´illuminazione come tutti quelli che sono seduti qui. Siamo senza possibilità d´aiuto.
D.: Allora promette di essere una serata divertente. Non si spiega niente qui?
K.: No. Non hai dunque bisogno di sforzarti. Non c´è nulla da prendere con te, niente da portare via. Se noti che ti stai sforzando, significa che vuoi portarti via qualcosa. Vuoi depurare invano, come un impianto di depurazione surriscaldato che tenta di filtrare ciò che è già assolutamente pulito.
D.: Ma è proibito aspettarsi qualcosa come un aiuto per il quotidiano?
K.: Assolutamente no. E sai qual è l´aiuto in assoluto? Il riconoscere che non esiste il quotidiano. Solo l´eterno ora. Quello che sei. Qui non viene niente e non se ne va niente.
D.: Con questo non posso farci niente.
K.: Non ne hai bisogno. Non puoi. Perché tutto viene fatto con te. Attraverso di te e con te. Tu sei la sorgente e quello che sorge da essa. Tu sei quello. Che cosa c´è ancora qui di quotidiano? Tutto è l´eterno ora della tua assoluta esistenza.
D.: Assoluto, totale, niente e adesso. Ci sono tuttavia anche conoscenze più piccole che danno un po´ di respiro!
K.: Lo spazio ampio che si crea può anche restringersi. Chi riceve aiuto è nuovamente senza aiuto. Quello che può svegliarsi può anche riaddormentarsi. Dovresti continuamente occupartene. Ma tu non hai bisogno di preoccupartene. Non è la Realtà. Quello che è la Realtà non conosce né andare né venire. Non è sottomesso al tempo. Per questo tu non devi fare nulla. Sii quello che sei, prima di quello che è o non è.
D.: Lo farò senz´altro. Una descrizione davvero mirabilmente utile!
K.: Non era una descrizione. E tu non puoi farci niente.
D.: Appunto quello che volevo dire.
K.: E´ solo un indicazione di qualcosa che non si lascia descrivere. Si descrive da sé in tutto e in niente. Non fa differenza dove punto il dito, indico comunque e sempre me stesso. Sempre quello che è. Non mi sbaglio mai. Posso solo indicare me stesso. Non c´è direzione in cui il Sé non sia.
D.: Anch´io sono forse il Sé?
K.: Certo. Per cui puoi sederti ora qui davanti.
Cosa succede qui in fondo?
D.:Qui succede qualcosa tuttavia. Qualcosa viene distribuito con le parole o senza parole. Qualcosa si attacca e rimane.
K.: Per un po´ sparisce il panzer difensore. Il filtro delle tue rappresentazioni. Questa è solo l´ignoranza. La nudità da qualunque definizione, quello che sei. Si riconosce da sé. In essa non può sussistere alcun´idea. Esse vibrano con le parole. Esse spengono le tue rappresentazioni almeno per un po´, finché ritornano. E dopo qualche tempo può succedere che tu riconosca le idee per quello che sono, idee.
D.: E questo riconoscerlo serve a qualcosa?
K.: No, se rimane colui che riconosce.
D.: Certo. Chi lo riconosce sono io - sono io che vorrei che servisse a qualcosa.
K:. Contro questo non c´è nulla da fare. Chi lo riconosce cade giù solo quando deve cadere. Lo si chiama grazia. Chi lo riconosce cade con un piccolo Ah! nel rendersi conto che non è mai successo niente a colui che è veramente.
D.: Mai successo niente - ma nudità non significa anche essere vulnerabili?
K.: Si. Non c´è più il panzer difensore. Conoscersi significa completa vulnerabilità. Essere indifesi. Tutto quello che affiora nella tua percezione, lo senti. Non puoi più dire di no. A niente. Sei completamente quello che osservi. Sei totalmente quello che c´è nella tua percezione. Non c´è separazione tra il percipiente ed il percepito.
D.: Mi sembra qualcosa di travolgente.
K.: Molti che lo sperimentano e che non sanno cosa significhi, finiscono in manicomio. Non c´è più filtro chiamato Io. Tutte le informazioni del mondo esterno arrivano senza filtri, come un fiume in piena. E qui ne parliamo in caso dovesse succedere. Perché nessuno possa flippare.
D.: O perché almeno posiamo sapere la ragione del nostro flippare.
K.: Posso solo indicare quanto sia stupido difendersi da questo. Nel panzer difensore del pensiero Io c´è il concetto che esista qualcos´altro che te. Che ci sia qualcuno a cui possa succedere qualcosa. Ma tu sei quello che non ha secondo. E tutto quello che ti tocca, tutto quello che sperimenti sei tu stesso. Questa è conoscenza di sé.
D.:Ed è solo il panzer difensore che lo impedisce?
K.: Non posso togliertelo. Allora significherebbe che c´è qualcosa di sbagliato in te. Ma non c´è nulla di sbagliato ad avere un panzer finché c´è. Un giorno o l´altro cade da sé. Al più tardi alla morte. Anche adesso potrebbe cadere. Allora vedresti che non puoi più difenderti.
D.: A volte lo vedo.
K.: Per esempio quando ti innamori. Non puoi decidere se innamorarti o non innamorarti. Semplicemente succede. Sei senza difese. Il sentimento dell´innamoramento totale e quello di essere indifeso è il tuo stato naturale.
D.: Questo però è uno stato che posso sperimentare chiaramente.
K.: E se così deve essere, potrai sperimentarlo non in modo relativo ma assoluto. Questo significa che non c´è più nessuno che sperimenta uno stato. Nessuno potrebbe sopportarlo. Questo sentimento che tutto affluisce in te - nell´esperienza e nel tuo mondo emozionale - non è sopportabile per un Io. Per il Sé è completamente naturale.
D.: Sembra faticoso.
K.: Quando la grazia affiora, si verifica il vuoto nel quale non può più sussistere la persona. Con la consapevolezza, affiora il fuoco dell´inferno nel quale il piccolo Io non può esistere.
D.: Hai detto fuoco dell´inferno?
K.: Puoi chiamarla grazia o fuoco dell´inferno. Nessuno può impedirlo né affrettarlo. La grazia è un mistero e agisce in una sfera mistica. In- condizionabile, incontrollabile.
D.: Tuttavia nel satsang la Presenza può farla sorgere vero?
K.: Oppure no. La Presenza non è una condizione. Satsang non è una condizione. Non ci sono condizioni. C´è sempre la possibilità.
D.: Mi accorgo solo che da quando vengo più spesso al satsang ho problemi di sonno.
K.: Altri mi considerano un sonnifero. Ma se cosí dev´essere, che grazie all´insonnia tu possa sapere chi sei - e tu sei la stessa insonnia - allora cosí succederà. Quello che sei non dorme e non veglia. Il sonno e la veglia appaiono solo come stati. Ma quello che sei non consoce il sonno. "Awareness" in inglese è veglia. Una veglia che non dorme mai e che esiste anche nel sonno profondo. Veglia insonnia - se cosí dev´essere e questa la tua strada, è fantastico!
D.: Ma mi viene il mal di testa...
K.: Perché dovresti cavartela meglio di me? Cinque anni di emicrania, sempre uno sprofondare in quel tuono di luce e solo raramente uscirne. Quando l´energia si scatena può succedere.
D.: Pare molto seducente.
K.: Insonnia, scariche elettriche, la testa una campana che suona forte, immagini da circo equestre, dolori come tempeste. La coscienza è pura energia e si sveglia in ogni cellula, nella testa ed in tutto il corpo. Questo è il fuoco dell´inferno, Il mondo del pensiero è spazzato via, il corpo è nel tritacarne. Tutto deve sparire. L´assoluta intelligenza si sveglia in te e l´energia non può sonnecchiare. A causa delle apparizioni di luce l´hanno chiamata illuminazione. Materia ed antimateria si fondono e poi sono percepibili. Ci sono reazioni nucleari come sul sole. Tu sei un reattore nucleare!
D.: Prima ero contro la forza atomica.
K.: E adesso puoi star tranquillo perché sai cosa significano questi sintomi. Sono solo effetti secondari. La pace ed il silenzio sono sempre presenti. Il silenzio è la sorgente.
D.: Allora posso semplicemente stare in silenzio?
K.: Più sei silenzioso più il mondo fenomenale si energizza.
D.:Non puoi sfuggire.
K.: Non al tuo proprio reattore.
D.:Hai detto che non ha guscio protettore?
K.: Quando succede, non ha più nessuno che lo gestisce.
Vorrei ottenere l´illuminazione
D.: Anche se sembra antiquato, vorrei ottenere l´illuminazione.
K.: Allora posso solo augurarti buona fortuna.
D.: Cosa vuol dire questo? Questo desiderio è una stupidaggine?
K.: No, non una stupidaggine, solo un po´ di magia immaginativa.
D.: Penso sia qualcosa di più.
K.: Illuminazione e non -illuminazione sono idee. L´illuminazione è in fondo un concetto nell´infinita sfilza di concetti di evoluzione personale o di ricerca ella felicità.
D.: E cosa c´è di sbagliato?
K.: E´inutile. Poiché per nessuno è mai esistita la necessità d´illuminazione.
D.: Ho qualche dubbio su questo.
K.: Chi vuole l´illuminazione?
D.: Come ti ho detto: io.
K.: Allora è l´Io che vuole luccicare.
D.: Naturalmente. E´ forse proibito?
K.: Dal punto di vista della sicurezza elettrica, senza dubbio.
D.: Come, scusa?
K.: Nutro un dubbio atroce che un Io possa sopportare questa energia. Quest´energia che porta a far luce. In quest´assoluta energia dell´essere brucia l´Io. Scoppia. E i resti evaporano. Se s´immettono diecimila volt in una lampadina, come se la cava la lampadina?
D.: Ha un orgasmo.
K.: Che essa non nota neppure.
D.:Questo vuol dire forse che sono una lampadina debole?
K.: Cosa vuoi dire con `Io´?
D.: La mia personalità. Me. Quello che sta seduto davanti a te. Quello che sono.
K.: Quello che sei non ha bisogno di illuminazione. Non è mai stato oscurato.
D.: Bene, allora lasciamo l´argomento illuminazione. Chiamiamolo risveglio.
K.: Non ha bisogno nemmeno del risveglio. Perché quello che tu sei non ha mai dormito. Non conosce né sonno né veglia. La veglia ed il sonno emergono in esso. Non esiste nemmeno un dormiente né un risvegliato. Nessuno illuminato o qualcuno che ha bisogno dell´illuminazione. Sono solo idee. Esse emergono e poi spariscono in quello che tu sei.
D.:Ma per poterlo vedere o per lo meno comprendere, dovrei sperimentare una sorta di risveglio.
K.: Non te. Non l´Io. Nel momento che tu sei quello che sei, la lampadina non ha più posto. E´ bruciata, evaporata, sparita. Come se non fosse mai esistita. E questo è lo scherzo: essa non è mai esistita effettivamente. Poiché dove c´è quello che è, non esiste altro che quello che è.
D.: Quello dove...quello... quello che... insomma dove rimango Io?
K.: Tu sei bruciato, evaporato, sparito. In apparenza. In realtà non c´eri mai stato prima. E non ci sarai mai in futuro.
D.: L´Io deve dunque sparire?
K.: Come può sparire ciò che non è mai esistito?
D.: Ma ci sono pure io qui. Eccomi qui seduto. La domanda è tutt´al più: per quanto tempo?
(suona un cellulare)
K.: Rispondi pure. Il tuo elettricista saprà se deve fornire la corrente.
Nessuno può essere illuminato
D.: Una volta che si è illuminati, c´è rischio di perdere questo stato?
K.: Continuamente.
D.: Non succede invece una volta per tutte?
K.: No. Finché c´è un illuminato, egli esce di nuovo da quello stato. Dev´essere invece quell´Aha! che realizzi che il Sé, l´Essere è già da sempre realizzato. E questo riconoscere non accade a nessuna persona. Il Sé non ha bisogno di nessuna entità fenomenica che realizzi quello che sia l´Essere.
D.: No, il Sé non ne ha bisogno. Ma io ho bisogno della realizzazione. O del risveglio.
K.: Non ne hai bisogno. Non potrai mai esistere come illuminato. E non sei mai esistito come non-illuminato. Lascia perdere il programma Illuminazione o Risveglio.
D.: Non si tratta invece di esserne per lo meno una volta sfiorati?
K.: Chi o cosa dovrebbe esserne sfiorato? Che cosa si dovrebbe cambiare per questo? Tutto quello che ti tocca, poi sparisce. Ogni esperienza di contatto è fuggevole.
D.: Ma come maestro...
K.: Sono totalmente privo d´aiuto. Sono la stessa impossibilità d´aiuto. Non posso far diventare qualcuno quello che lui è già da tanto tempo.
D.: Allora aiutami ad essere quello che sono.
K.: Tutto quello che potrei tentare, renderebbe in te fissa l´idea che non sei già quello che sei.
D.: Ma non puoi almeno tentarlo lo stesso?
K.: Non c´è in fondo nessuno qui che possa essere migliorato.
D.: Credo proprio che nessuno potrebbe mai migliorarti. Ma io...
K.: Anche tu non puoi essere migliorato.
Il mio Io vuole sparire
D.:Perché sono nato?
K.: Perché no? Il Sé è perfettamente d´accordo che tu sia. Come sei. Perfetto. Non ha bisogno di un senso. La domanda del senso si pone solo con l´idea dell´Io.
D.: Bene, ma io la pongo questa domanda.
K.: L´Io è un concetto. Ha bisogno di conferme. Pone una domanda che sarà soddisfatta da una risposta e che possa portare una soluzione. Però subito dopo ne emerge un´altra. In fondo è sempre la stessa domanda: perché ci sono? Lì si aggancia l´Io. Per poter avere l´autorizzazione ad esistere. Deve mostrare che ha diritto di vita. Ha sempre bisogno di prove. Deve costantemente provare a se stesso che esiste. Per cui ha sempre una nuova domanda. Per questo, nessuna risposta potrà bastare. Per questo non ha affatto importanza se la domanda ottiene una risposta o meno. C´è una sola risposta alla domanda "Perché?" ed è: perché no?
D.: L´io non ha dunque nessun valore?
K.: Che abbia valore o non ne abbia, esso dà la prova di se stesso anche nel mostrarsi inferiore.  Io povero piccolo essere! L´importante è che possa credere alla sua esistenza.  Se emerge come prova il senso d´inferiorità, allora volentieri si mostra anche povero, piccolo e inferiore. L´Io conosce tutti i trucchi del mondo per mantenersi in vita. E´ un misirizzi? Puoi schiacciarlo giù mille volte, si rialza sempre. Anche quando è steso persiste ancora. L´illusione dell´Io che continuamente emerge in una domanda, è imbattibile.
D.: La vita deve essere bella se questa domanda è risolta una volta per tutte!
K.: Credi che il Sé abbia bisogno di assenza di domande per essere più felice? Oppure è altrettanto felice nella domanda come nell´assenza di domanda?  Se solo non andasse via questo o quello, se potessi liberarmi di quest´altro - sono tutte idee dell´Io. Il Sé non può essere disturbato. Non ha bisogno di esser liberato. Ma un bel giorno l´idea dell´Io si percepisce come un disturbo e allora cerca di eliminare tutti i disturbi compreso sé stessa.
D.: Certo, così mi succede.
K.: L´Io ti inganna con la falsa promessa che dovrà sparire.
D.: Proprio così.
K.: Ma proprio perché lo credi, può tranquillamente continuare a vivere indisturbato.
Sei in una trama di follia
D.: Sono qui perché non vorrei rinascere un´altra volta.
K.: E proprio perché non vorresti rinascere, succederà.
D.: Come, scusa?
K.: Il desiderio di evitare qualcosa, è sempre un ordine che debba succedere.
D.: Allora dimmi come posso liberarmi da questo desiderio.
K.: Affatto. Non puoi liberartene.
D.: Oppure come ne possa venir fuori.
K.: Non ne esci. Ma a quello devi abbandonarti: al fatto che non te ne liberi e che tu non ne esca. Questa è conoscenza di sé. La conoscenza di sé è la comprensione dell´impossibilità di una via d´uscita. Spingi all´indietro lo schienale e goditelo. Non ci sarà nessun altro che lo goda.
D.: Se potessi godermi la vita non sarei qui.
K.: Tu sei qui, perché non hai scelta. Perché non puoi fare nient´altro. Tu sei la libertà che non ha scelta in che modo si manifesti. Se avesse una scelta non sarebbe libertà. Godi quest´assenza di scelta, quest´impossibilità di cambiare la tua esistenza. Questo è godimento: che non puoi affatto cambiare nulla di quello che sei.
D.: Per me è piuttosto il contrario del godimento.
K.: Posso solo dirti: quello che sei, gode ogni momento ed il contrario di ogni momento. Gode completamente. E quello che pensa che non può godersela, fa parte del godimento.
D.: Il fatto che io faccia parte del godimento non mi porta nulla. Voglio essere colui che gode.
K.: Quello che sei, gode anche del non-godimento.
D.:E´ una trama complicata che sa di follia.
K.: Hai ragione. E´ una vera trama.
D.: Grazie.
K.: Ma il ragno che la tesse sei tu. Tu tessi questa rete di pensieri cosmici e di forme. E poi viene un attimo in cui pensi: "Cosa significa questa tela? E chi tesse in fondo qui dentro? Credo proprio che sono io!?" Così è. Al momento del tuo risveglio è cominciata la trama. Tu sei la sorgente di quest´infinita rete di guerre e di paci, di tutta la rete della creazione, tu sei il tessitore d´ogni pensiero o forma. Nell´immediato riconoscere che tu lo sei, tutta la rete si ritrae. E quando la rete è ritornata ad essere completamente quello che sei, allora non esiste più né mondo né tela.
D.: Ti aspetti che io segua?
K.: Affatto. Non sono seduto qui perché tu capisca.
D.: Invece?
K.: Sono seduto qui affinché colui che pensa di poter capire, sparisca nell´incomprensione.
D.: Prima di sparire vorrei trovare un paio di soluzioni a problemi concreti.
K.: Non trovo soluzioni. Al contrario, creo nodi.
D.: Si, si. Me ne accorgo.
K.: Non sono qui per trovare soluzioni. Io creo invece i nodi. Anzi ti faccio così tanti nodi nel cervello, affinché tu riconosca ad un tratto l´impossibilità di poterli mai sciogliere. Allora smetti di provarci e te ne stai semplicemente tranquillo. E se sei completamente tranquillo, chi si preoccupa se mai siano esistiti universi o rinascite, ragnatele, nodi o soluzioni?
Tu parli troppo
D.:Durante tutti gli insegnamenti-satsang ci sono fasi di silenzio. Tu parli in continuazione.
K.: Qui c´è solo silenzio.
D.: Un silenzio piuttosto chiacchierone!
K.: Un silenzio che parla e ascolta.
D.: Un silenzio che chiude la bocca malvolentieri.
K.: Al silenzio non importa affatto quel che esce dal silenzio. Non ha nessuna intenzione. Non fa differenza tra il giusto ed il falso. E anche per chi ascolta non fa differenza.
D.: Vuoi dire che il contenuto di quel che è detto è indifferente?
K.: Tutto quello che so è che qui il silenzio parla e ascolta.
D.: Significa forse che qui in fondo, non succede niente?
K.: Si. Eppure rimane sempre un qualcosa.
D.: E quello...
K.: E´ silenzio.

2. A che cosa serve un maestro?
Non fidarti di nessun maestro morto
D.: Tu hai però qualcosa che noi non abbiamo. Così mi sembra per lo meno.  E poi tu siedi là davanti e noi qui. Come trovi tu questo? Siamo noi gli stupidi?
K.: Se io mi considerassi un saggio illuminato, qui davanti ci sarebbero solo stupidi non illuminati. Ci sarebbe separazione. Ci sarebbe la vecchia illusione: che qui sta uno che sa qualcosa e che là siede un altro che non sa. Ma io parlo del sapere che è assoluto. Qui è assoluto e là è altrettanto assoluto. Non c´è nulla di nuovo per te. Per questo non è nemmeno qualcosa che tu possa ottenere. Non è niente da scoprire. Non è affatto un luogo dove tu possa arrivare. E´ già completamente qui. Parlo di quello che non è mai stato nascosto. Che non richiede nessun raggiungimento. Ogni sforzo porta solo ad un sapere relativo.
D.: Si dice però: ogni maestro ha qualcosa da imparare.
K.: Si, finché c´è un maestro, egli ha ancora qualcosa da imparare.
D.: E allora? Sei pur un maestro tu, no?
K.: Questo è impossibile. Non posso insegnarti nulla.
D.: Ma è per questo che sono qui.
K.: Non posso insegnarti quello che sei. Non posso darti nulla.
D.: Allora se è così...
K.: A dire il vero non posso toglierti nulla. E chiunque affermi che ti può dare o togliere qualcosa o procurarti un´esperienza d´illuminazione, è un bugiardo.
D.: Allora Budda è un bugiardo.
K.: Si. Non fidarti di un maestro morto.
D.: No, non è poi così facile. Budda ha senza dubbio un insegnamento. Che suona per dirla in breve così:-Tutta la vita è sofferenza. Ogni sofferenza viene dal desiderio. Esiste un sentiero per sfuggire al desiderio. Questo è l´ottuplice sentiero.-
K.: Nel Sutra del Diamante egli dice:- Non è mai esistito un Budda che abbia camminato sulla terra e mai ce ne sarà uno che vi camminerà. Egli dice: - Per quarant´anni ho predicato e non ho mai detto qualcosa. Nessuno ha detto qualcosa, nessuno ha parlato e nessuno ha mai ascoltato. -
D.: Ma esiste l´ottuplice sentiero. Esiste l´insegnamento. Esiste il Dharma.
K.: Ci sono delle persone che insegnano e se possibile ripetono sempre le medesime parole. Sono i guardiani del Dharma. I conservatori della miseria. Tutti gli insegnamenti che affermano che vi sia una via d´uscita alla miseria, mantengono la miseria. I guardiani del Dharma, (Darm = in tedesco Intestino) sono quelli che mantengono la ...stitichezza ben salda.
D.: Prendiamo un altro esempio. Krishna insegna ad Arjuna. Tutta la Bhagavad Gita consiste solo in questo insegnamento.
K.: Krishna, Budda, Gesù o Socrate - sono tutte apparizioni. Ti appaiono come un espediente. Ognuno ti appare come un quadro che ti mostra un bel traguardo o per lo meno un buco nel muro: di lì puoi passare. Hai solo bisogno di sforzarti di saltare abbastanza in alto. Allora puoi attraversare. Devi costringerti. Allora ci passi. Alla fine devi trovare solo il coraggio di fare l´ultimo salto nell´abisso.
D.: C´è qualcosa che non va in questo?
K.: Non ce la fai a saltare tanto in alto. E l´ultimo passo non può farlo nessuno. Questo passo nell´abisso dell´essere, in te stesso, può farlo solo il Sé. E il Sé non ha bisogno di fare questo passo, perché..è l´abisso!  Il Sé è l´Abisso Assoluto. L´assoluto nulla.
D.: Allora questo vuol dire che non mi puoi aiutare?
K.: Infatti.
D.:Ma non esiste questo!
K.: Nel relativo tutto esiste. Nella Realtà nulla.
D.:Non importa. Io mi trovo bene seduto qui.
K.: Ho detto: qui non siede nessuno che dica qualcosa e là non siede nessuno che ascolti qualcosa. Quello che parla e quello che ascolta sono una cosa sola. Non c´è separazione. Se la parola proviene da questo corpo e l´ascolto avviene in quell´altro corpo, non ha importanza. Colui che parla qui e colui che ascolta è solo uno.
D.: Di tutto questo non mi rendo conto. Eppure sento un sostegno qui. Mi ricorda qualcosa.
K.: Probabilmente te stesso.
D.: Si, si tratta forse di questo.
K.: Sei rigettato verso te stesso. Non ti dò niente. Ti rimando indietro tutto quanto. Dammelo, dallo a te, dammi a me stesso.
D.:Te a te?
K.: Giochiamo ad acchiapparella con noi stessi.
D.: E per questo ho meditato tutti questi anni!
K.: Proprio per questo. Tutto quello che è successo prima o non è successo. Ti ha preparato a questo. Perché questo possa succedere in questo modo. Non c´è nulla di sbagliato. E´ sempre giusto. Succede sempre al momento giusto. Adesso.
D.: Per cui: non fidarti di nessun maestro morto.
K.: Non fidarti di nessun maestro morto. Non ce ne sono nemmeno vivi.
Cosa può fare un maestro?
D.: Che cosa fa diventare qualcuno un maestro e qualcuno invece un discepolo?
K.: Il fatto che ci sia uno che pensi di dover imparare qualcosa - e un altro che pensi che deve insegnare qualcosa. Un discepolo pensa di dover sapere qualcosa per avvicinarsi ad un traguardo. Un maestro pensa che può procuraglielo. Nella vita relativa succede. Chi vuol imparare a guidare ha bisogno di un insegnante. Uno sa come si fa, l´altro impara come si fa.
D.: Non è così nella vita spirituale? Il maestro vede che tutto è uno, il discepolo no. In tal modo il maestro porge un aiuto. In molte tradizioni esiste questa relazione da millenni.
K.: Si, la relazione maestro-discepolo ha una lunga tradizione. E se così deve accadere, è anche quella giusta. Tuttavia: non a causa, ma malgrado un discepolo ed un maestro succederà quello di cui parliamo qui: che il Sé diventi consapevole di se stesso. Non importa l´apparenza esteriore del concetto di maestro e di discepolo.
D.: Nella tradizione si dice chiaramente che senza Maestro è impossibile. Si riesce solo grazie ad un Maestro!
K.: Si riesce solo grazie al Sé. Il Sé può presentarsi anche sotto la forma di un Maestro. Però può essere anche un libro o qualcos´altro.
D.: La tradizione dice che il Maestro deve essere vivente, cioè in un corpo. Solo così può aiutare il discepolo a riconoscere il garbuglio della propria mente.
K.: Un Maestro può aiutare il discepolo a raggiungere la coscienza cosmica. Un insegnante che è arrivato alla coscienza cosmica, aiuta la coscienza personale ad entrare nel senza forma. Per andare dall´uno all´altro vi sono vari modi di guida. Per esempio il "neti neti" o "tu non sei il corpo" - tutte indicazioni di quello che non sei. Tutte le domande di "Chi sono io?" sono spiegate in modo che la coscienza individuale si ricongiunga con quella cosmica.
D.: Non vuoi ammettere che succede attraverso questo?
K.: Non succede mai attraverso qualcos´altro, succede solo attraverso la Sorgente. E per questo tutto quello che succede è spontaneo, sempre naturale. Non è mai condizionato. Il patto che esiste in una relazione maestro-discepolo è un finzione. In verità c´è solo la Sorgente. Da lei sorge tutto e a lei tutto ritorna. In questo sogno ci sono incontri mastro-discepolo. Ma esse non hanno effetto: quello che agisce efficacemente è la Sorgente.
D.: Ma la Sorgente agisce attraverso il Maestro. Attraverso lui agisce meglio che attraverso altre persone.
K.: No. La Sorgente agisce nelle cose in modo uguale ed unico. Non ha bisogno di specialità. Tutto quello che succede, anche il risveglio dalla coscienza individuale a quella cosmica, succede non per una qualunque causa, ma perché accade, semplicemente.
D.: In che rapporto si trova con la dedizione? Essa ha un ruolo importante nella tradizione!
K.: Che cosa ti appartiene che tu possa abbandonare? E a chi potresti darlo? Tu hai l´illusione di essere un possidente al quale appartiene qualcosa. E l´illusione che tu possa poi rendere la tua proprietà. Chi ha bisogno che avvenga una cosa simile? E a chi succede?
Se tu passi dalla coscienza individuale a quella cosmica questo è solo un passaggio di condizione. Vai da A a B. Ma chi è che fa questo passo? E chi ne ha un vantaggio? Esiste qualcuno che ne abbia uno svantaggio? Questo significherebbe che il Sé ha solo il suo stato naturale nella coscienza cosmica. La coscienza individuale sarebbe allora qualcosa di falso e transitorio. Ma entrambi sono coscienza.
Anche alla morte la coscienza individuale ha una fine. Si immette nel senza forma per poi ritornare alla prossima occasione nella forma. Entrambe sono coscienza. Una volta nel tempo, una volta nel senza-tempo. Nient´altro.  L´Assoluto non è condizionato da nessuno stato.
D.: E tu come lo sai?
K.: Nessuno lo sa. Tutto quello che dico è un concetto. L´unica cosa senza alcun dubbio è che io sono prima di qualunque concetto. So solo che non sono un concetto. E che sono. Qualunque cosa io possa essere.  Questo è solo quanto io so veramente. Devo esserci soprattutto per poter parlare di un concetto. Per questo devo essere prima del concetto. Questo è la sola cosa indubitabile. Ma ogni concetto di cui parlo rimane dubbio.
D.: Allora perché siamo seduti qui?
K.: Si tratta di riconoscere tutto come un concetto che provenga dalla tua idea dell´Io. Non può toccare quello che sei. Puoi far apparire tutto e poi farlo sparire. Rimane sempre qualcosa. Qualcosa di cui non puoi parlare. Qualcosa che è prima durante e dopo tutti i concetti. Questo fondo originario dell´essere, che non puoi né imparare né riconoscere. Quello che sei. Per quello non hai bisogno di fare nulla. Non hai bisogno di affaticarti, non devi lasciarti cadere, non hai bisogno di lasciar andare. Ogni idea, ogni sforzo di dover fare qualcosa o di lasciare qualcosa, non può trasformarti in quello che già sei.
D.: Ho frequentato molti maestri. La relazione maestro-discepolo è stata per me sempre molto importante. Sono cascato in un concetto?
K.: Il concetto sparisce. Affinché rimanga l´unica cosa che è, tutto scompare. Anche l´idea di valore, di qualità e di distinzione. Questa è la sola possibilità, perché possa apparire questa pace che consiste nell´assenza di qualunque concetto. Questo vale anche per una qualsiasi idea di una relazione maestro-discepolo. E´ altrettanto fittizia come l´idea che sei vivo. Solo con l´idea di un Io appare anche l´idea di un maestro.
Se tu avessi veramente rispetto per il tuo maestro, lo lasceresti semplicemente sparire. Riconosceresti i maestri come quello che sei tu. Sarebbe rispetto per quello che è. Con questo renderesti felice tutti i maestri del mondo.
Non è mai esistito un maestro che abbia detto "Sollevatemi fino al cielo e costruitemi una chiesa." Tutti hanno detto:"Dimenticatemi, appena sono partito. Se volete onorarmi, dimenticatemi."
Nessuno l´ha preso per vero. Anzi al contrario, sono state costruite religioni. Gesù non ha mai detto: "Fondate una religione." Ha detto:"Lasciate che i morti seppelliscano i morti."
D.: Riesci a presentarmi i maestri come se fossero bacati!
K.: Tutto quello che fai è evitare il vuoto. Per questo esistono diverse tecniche. Prendi la relazione maestro-discepolo. E´un tentativo di riempire il vuoto. E´ il tuo tentativo di dare a quello che è l´Io un confronto, un traguardo.
D.: Soltanto per trovare qualcosa di importante.
K.: E´ assolutamente non pertinente. L´io è solo un´idea, un´idea di separazione. Quest´idea ha bisogno di un confronto e quindi di un traguardo. Qualunque traguardo è utile, anche quello di non avere un traguardo. Anche con questo si può riempire il vuoto. L´Io è pieno di trucchi. Non puoi sfuggirgli. Si nasconde anche dietro il non-nascondersi. Chi agisce si nasconde dietro a colui che non agisce.
D.: Allora cosa posso fare?
K.: Quello che non puoi fare. Che cosa è completamente in tutte le circostanze quello che è? Che cosa non conosce alcun cambiamento?  Che cos´è la cosa più solida che esista? Che cos´è questo fondamento originale che deve sempre esserci, perché ci possa essere dopo tutto un conoscitore ed un conosciuto? Che cos´è quest´essenza che è sempre silenziosa e non si muove mai? Nella quale appaiono solo informazioni che poi svaniscono? Dimmi: per diventare ciò che sei, il permanente, che mai non viene né va - deve per questo succedere qualcosa? Devi forse fare qualcosa? Riconoscere qualcosa? Oppure c´è con o senza questa conoscenza?
D.: Probabilmente. Se incontri un altro maestro che ha intuito questo, non avete niente da raccontarvi.
K.: Allora succede la stessa cosa, come ora. Perché sto parlando proprio con lui. Dal tuo punto di vista sembra che qui ci sia uno che parla e là qualcuno che ascolta. Ma c´è solo un unico Essere. In questo momento si esperimenta come sperimentatore, esperienza e sperimentato. Che vi sia separazione è solo una finzione. Tutte le altre finzioni provengono dal fatto che questa finzione sia considerata reale. Anche la domanda di un senso o di non-senso le appartiene. La sorgente, l´Essere, non ha bisogno di questo senso.
D.: Questa è la sepoltura del maestro.
K.: Quanto più la riconosci come sola Realtà, tanto più puoi seppellire. Tutto   quello che non sei, viene sepolto. Sempre più cade nell´eterno avello del non pertinente. Cadono le credenze una dopo l´altra. Capisci dunque che tutto quello che devi o puoi credere non può essere il Sé.
D.: Ma il maestro mi aiuta a riconoscere questo!
K.: Tu credi che lui possieda la carota che hai inseguito tutta la vita. E quando sarai maturo egli te la servirà. E quando poi l´avrai mangiata, potrai rilassarti perché allora sarai illuminato. Tutto questo fa parte della finzione. Il risveglio dalla coscienza individuale a quella cosmica fa parte della finzione. Quando pensi: "Ecco, questa è la realtà ed io sono quella" - questa è pura finzione.
D.: Ma se a questo risveglio è collegato un terrore esistenziale?
K.: Tutto questo fa parte del sogno. Anche chi è spaventato. Quello che sei non sarà né toccato né cambiato da tutto questo. Era ed è sempre quello che è.
D.: La paura se ne va solo quando ho scoperto questo?
K.: Allora non esiste più colui che può spaventarsi.
D.: E questo allora va bene?
K.: Questo non va né bene né male, ma semplicemente tutto rimane come è sempre stato. Non c´è nulla di nuovo. E se qualcuno ti chiede: "Come stai?" dirai: "Come sempre."  E allora il maestro ti darà un colpetto sulla spalla e un dieci e lode.
Il vuoto come maestro
D.: A volte si dice che il vuoto è il vero maestro. Cosa c´è di vero in questo?
K.: Il vero maestro siede sempre tra una sedia e l´altra. E´ là che si trova più comodo. Non qui su questa sedia e neppure su quella vicina, ma nello spazio intermedio. Il vero maestro siede tra un momento e l´altro. Tra due pensieri. La breccia è la percezione.
D.: Allora devo ascoltare piuttosto quello che si trova negli spazi tra le tue parole?
K.: Se puoi. La mente ha dei problemi con questo. La mente non vuole spazi intermedi. Nella metropolitana a Londra sta scritto: "Mind the gap". "Attenzione all´interstizio". La mente non può esistere nell´intervallo. Nello spazio vuoto non c´è mente. Per questo si dice "Mind the gap!" "Mente, attenzione allo spazio vuoto!" Altrimenti non ci sei più. Là non puoi esistere. Il vuoto è il maestro che soffia via la mente. Nel vuoto la ragione - pfffff - vola via. Ma nello spazio vuoto c´è quello che sei. Là stai bene. Là non esiste una dimensione prescritta. Sei il più grande ed il più piccolo, tutto quello che è possibile ed impossibile, l´esistenza stessa. Là c´è spazio infinito e nessuno spazio.
D.: Ho frequentato una volta un corso di tamburo. Dovevo sempre mantener l´intervallo, lo spazio vuoto. Non riuscivo bene. I piedi volevano continuare.
K.: Nessuno può sopportare lo spazio intermedio. Il vuoto è il maestro dell´Io. Non fa niente. E´ soltanto vuoto. Ecco tutto. Non c´è nessun Io, eppure c´è quello che sei, interamente. Proprio come c´è adesso. Non se ne va mai. Non va né viene. E´ qui ora e sempre, nell´eterno ora. Nel tempo c´è solo un accenno a quello che non ha tempo. Solo un accenno a quello che non ha né andare né venire, nessuna nascita e morte. Il Sé non appare mai e non tramonta mai. E tutto quello che appare, tramonta perché non è mai stato vero.
D.: Eppure riempie lo spazio intermedio! Forse questo rende lo spazio vuoto così pesante che non lo si sopporta.
K.: Il vuoto è così leggero da essere insopportabile. Ecco perché ti arrabatti e combatti: per riempirlo.
D.: Cosa succederebbe se smettessi di dimenarmi?
K.: Lascia stare! Ti mostro come è meraviglioso stare nel vuoto. Com´è leggero. Diventa pesante solo se vi resisti. Diventa pesante se cerchi di riempire questo vuoto. Esso stesso è perfettamente leggero. Esso è il tuo posto.
D.: Dove mi sento a casa.
K.: Dove non c´è "a casa".
D.: E questo sarebbe il raggiungimento supremo?
K.: No, queste sono solo promesse vuote.
D.: Insomma non ti posso mai afferrare! Ti sottrai a qualunque affermazione. Come un serpente!
K.: Ma il serpente dice: "Assaggia una volta! Vieni! Vai dentro in quello che non puoi essere. Vieni qui nello spazio intermedio. Mordi la mela!"
D.:E lì trovi il verme.
K.: Si, proprio lì dentro, nel foro fatto dal verme! Come nel film Star Trek. Lo conosci no? Entri nel foro del verme e già sei altrove. Lo spazio vuoto è l´incentivo. E questo è vero. Lo spazio ti attira totalmente dentro di sé.
D.: Per favore non...
(suona un campanello)
K.: Ancora un colpo di fortuna.
D.: Arriva ancora qualcuno.
K.: Un tappabuchi.
Il maestro è irrilevante
D.: E´ vero che un maestro può portare un discepolo all´unità della coscienza?
K.: Questo non è rilevante. Dove tu puoi entrare puoi anche uscirne. Può essere che per un certo tempo l´idea di dualità sia assente. Allora c´è unità. Ma da quest´unità si ritorna di nuovo alla dualità.
D.: Trovo solo interessante che attraverso l´esercizio o un maestro si possa fare questa esperienza.
K.: Malgrado quello che ti possano arrecare tutti gli sforzi, le tecniche o i maestri, tu ricaschi fuori di nuovo.
D.: Il mio maestro spirituale ha detto: "Puoi sperimentare adesso la stessa unità della coscienza che si prova dopo la morte."
K.: Quello che forse vuol dire è: quello che avviene dopo la morte è già quello che provi durante la vita, cioè l´unità che sempre riappare. Alla morte il corpo si disgrega e la coscienza del corpo torna all´unità della coscienza. E tutto quello che succede nella coscienza non può farti diventare quello che già sei.  Le esperienze d´unità o di consapevolezza sono sempre esperienze. Possono in ogni modo mostrarti che sei quello che sperimenta. E che quello che sperimenta non lo si potrà mai sperimentare. Tutte le esperienze, anche la morte e la vita sono effimere. Vanno e vengono. Quello che sei non va e non viene. Sei la Sorgente. Tutta la vita fenomenale è uno specchio.
D.: Questo, mi pare, l´ho già vissuto una volta.
K.: Questo non lo si può sperimentare. L´occhio non può vedere se stesso. La percezione non può percepire se stessa. Tutto quello che è percepibile non è quello che è la percezione.
D.: Ma una volta questo succedeva anche a te. C´è stata un´improvvisa presa di coscienza.
K.: E´ stato solo un Aha!
D.: Già appunto.
K.: Un Aha! - che quello che viene percepito non può essere quello che percepisce. E che anche colui che percepisce, il Carletto, era solo una parte di ciò che è percepito. Ma prima di Carletto vi è quello che è veramente - e questo non è sperimentabile. L´impenetrabile, l´incomprensibile, la totale assenza dell´ego e l´assenza di desideri è sempre presente, qualunque cosa succeda ed è quello che sei. Tutto quello che sorge davanti a te è il riflesso della tua esistenza. Quello che sei è l´essenza in tutto. Ma non è sperimentabile.
D.: Allora questo non offre niente. Voglio dire che qualcosa che non si sperimenta non può arrecare soddisfazione.
K.: Viene a mancare qualunque attrazione per il fenomenale.
D.: Si, lo vedo. Come un appendice, un´aggiunta. L´interesse per fenomeni superficiali diminuisce, probabilmente una sorta di condizione preliminare all´Aha.
K.: No, questo non ha condizioni preliminari. E´ la stessa assenza di condizioni.
D.: Nessuna premessa?
K.: E´ senza alcuna premessa.
D.: Allora non ho nemmeno bisogno di un maestro.
K.: Allora chi non ha bisogno di un maestro?
D.: Come, scusa?
K.: Chi resta allora che non ha bisogno di un maestro?
D.: Chi? Cosa?
K.: Tu non puoi fare niente. Nel sogno possono emergere un maestro ed uno scolaro. Forse lo scolaro crede di aver imparato qualcosa. Ma tutto quello che può accadere in questa relazione svanisce, perché entrambi sono aboliti. Maestro e scolaro spariscono. Quel che rimane è la vita e la verità in sé. Essere assoluto.
D.: Certo, ma che tipo di maestro è quello che sparisce?
K.: Può essere un maestro personale.
D.: Ma quello è solo qui per sparire.
K.: E tutta la vita è il maestro.
D.: Ma nel realizzare quell´Aha! sparisce anche quello?
K.: Sparisce tutto quello che non esiste.
D.: Ultimamente ho detto ad un maestro che il mio maestro era la vita. Lui ha risposto: - No, questo significa sfuggire, tu hai bisogno di un maestro personale. Tu hai bisogno di me.-
K.: Nei Veda sta scritto: - Finché c´è un maestro che pensa di dover insegnare qualcosa, significa che egli deve ancora imparare qualcosa.-
D.: Si, gli ho detto qualcosa di simile anch´io! E allora il maestro si è arrabbiato molto!
K.: Posso solo dirti:- Spero di essere così irrilevante come lo sono sempre. -
D.: Allora inutile?
K.: Inutile e irrilevante.
D.: Questo sarebbe per così dire la tua essenza?
K.: Si, assolutamente irrilevante.
D.: Pazzo!

3. Che cosa posso fare da solo?
Preparazione all´Illuminazione
D.: Un maestro zen di nome Bankei nel 17mo secolo loda lo spirito di Budda. Che si trova al di là dell´unità. Cosa significa?
K.: Quello che è prima di Budda. Para-Budda. Quello che sta prima di tutto. Che non conosce dualità. E che non conosce unità. Non è né uno né due.  Non è né questo né quello. Non è definibile. Ha tutti i nomi o nessun nome. Non potrai mai comprendere se stesso.
D.: Ecco perché Bankei dice che non ha senso sforzarsi per raggiungerlo. Per questo dice all´incirca così ai suoi discepoli: - Smettetela una buona volta!-
K.: L´assoluta rassegnazione a capire se stessi, non potersi mai conoscere, questa è l´assoluta quiete. Dove non esiste più nessun desiderio di conoscere se stessi. Questa à la vera conoscenza di se stessi. Che non potrò mai sfuggirmi e che non potrò mai afferrarmi.
Perché sono quello che è e questo è infinito.  Non-nato, immortale. Per questo non serve nulla che avvenga nel tempo. Per esserlo non servono sforzi. Qualunque sforzo per esserlo non è produttivo.
D.: Bankei dice:- Una via di gran lunga più breve dello sforzo di diventare un Budda, sta nel fatto di essere semplicemente un Budda.-
K.: Certo, allora smettila con Bankei.
D.: Ma il Budda si è sforzato per anni. Soltanto in seguito è giunto alla comprensione. Avrebbe forse raggiunto l´illuminazione anche senza sforzi?  Oppure gli è sembrato così in seguito?
K.: Secondo te da dove proveniva lo sforzo?
D.: Dalla sua decisione di non continuare a vivere così.
K.: E da dove proveniva la sua decisione?
D.: Vuoi continuare ancora all´infinito a farmi simili domande?
K.: Se c´è libero arbitrio, dice Wittgenstein, chi potrebbe averlo?
D.: Per esempio un Budda.
K.: Quale Budda si è mai sforzato a diventare un Budda?
D.: Chi soffre si adopera per diventare un Budda. Colui che si diverte, non ha probabilmente niente in contrario a reincarnarsi ancora molte volte.
K.: Vuoi dire: - Fintantoché la relatività si diverte, rimane volentieri relativa.- Solo quando si sente disturbata, esce dalla relatività. Come se il Sé potesse sentirsi disturbato da se stesso.
D.: Non parlo di un sé astratto, ma di un uomo ordinario.
K.: Parli della coscienza, che sembra trovarsi in un certo stato che a volte trova piacevole a volte no.
D.: No, parlo di un uomo che cerca a fatica. Non è affatto evidente per me che qualsiasi sforzo sia del tutto inutile. I mistici hanno percorso tutti una lunga via. Anche Ramana Maharshi, la grande star, ha combattuto per anni per trovare chi era o che cos´era l´Io-sono.
K.: Per quanto ne so, gli è bastato un solo pomeriggio per riconoscerlo. Così è scritto su una lavagna a Tiruvannamalai. Una sensazione di morte lo ha sopraffatto. Si è sdraiato per terra e si è concesso totalmente a quest´esperienza.
D.: Può essere. Ma questo fu solo l´inizio di un lungo cammino.
K.: Era l´inizio e la fine. Da allora, disse, non successe più nulla.
D.: A parte il fatto che si è ritirato in una caverna per meditare indisturbato.
K.: Da quel momento, così raccontava, capì che quello che lui era veramente, il Sé, non poteva mai essere disturbato da qualcosa, né mai avrebbe potuto esserlo. Questa fu l´esperienza fondamentale.
D.: Sarà stata l´esperienza fondamentale, ma ci fu poi ancora una sorta di rifinitura.
K.:Vuoi dire, come ad un seminario all´università? Prima ti prepari, poi vivi l´esperienza, poi ci lavori su in seguito. In modo che rimanga impresso in modo durevole.
D.: Si, questo non è poi tanto fuori luogo esprimerlo così. Ramana in quel momento ebbe l´esperienza di non essere il corpo. Ma non capì ancora in quel momento, quello che era in verità.
K.: Hai ragione.
D.: Infatti. Per quello ha poi...
K.: Non l´ha sperimentato perché non è sperimentabile!
D.: Come no?
K.: Per sperimentare sono necessarie due cose: uno che sperimenta e qualcosa che è sperimentato.
D.: E allora?
K.: Il resto non è più esperienza. E´ solo Essere in essenza. E questo è già completamente qui adesso. Per cui non ci vuole niente di speciale, né preparazione, né perfezionamenti. E´ solo riconoscere di essere. Come dice Meister Eckhart, è il Fondamento Originario stesso. La pura Consapevolezza.
D.: Eppure c´è qualcosa di speciale. Poiché quello che è evidente in questi maestri, è l´intensità della loro emanazione. Questa infinita bontà, questa quiete imperturbabile. Chi ha meditato con Ramana è sprofondato in samadhi, nell´esperienza della coscienza cosmica.
K.: La coscienza cosmica non è nulla di speciale. E´ un´esperienza. Qui si tratta del sé. La quiete di cui tu parli non ha niente a che fare con il fatto che uno sia seduto tranquillo o che sia esternamente o internamente tranquillo. Questa quiete non conosce pensieri. Questa quiete non ha esperienze: è quiete in sé.
D.: La gente che ha incontrato Ramana o qualche altro mistico, hanno provato questo silenzio. L´ hanno assaporata. E hanno voluto mantenere per sempre questo sapore. Poi si sono seduti e hanno meditato. Non penso sia indifferente se uno si sforzi o meno. Tu presenti la cosa come se non si possa né fare qualcosa per ottenerla né il contrario. In un qualunque momento ti coglie di sorpresa.
K.: No, non sorprende nessuno. Questo silenzio, questa percezione fondamentale, non è condizionata da nulla. Tutto quello che succede nel tempo non può influenzarlo. E se succede, o quando e come succede è assolutamente indipendente da quanto si verifica sul piano temporale.  Ecco perché ogni azione, ogni attività, ogni comprensione o non-comprensione è senza scopo.
Non ha alcun significato per questo piccolo "Aha!", per la percezione dell´Assoluto.
D.: Ha sicuramente un grosso significato per la vita personale.
K.: Tu speri in un vantaggio. Qui non c´è vantaggio. Speri di sfuggire a te stesso. Non è possibile. Vorresti trovare una via d´uscita. Non ce n´è. Quello che è qui non ha bisogno di vie d´uscita e non ne avrà mai. Perché quello che sta qui è adesso ed è eterno. Infinito. Non puoi affrettarti a raggiungerlo né puoi allontanarti da quello.
D.: Ma un po´ di lavoro o di preparazione ti rende tuttavia pronto a quest´esperienza o per conto mio non-esperienza. Per esempio il solo fatto di poter ammettere quello che dici. Questo poter accettare non esiste sin dall´inizio.
K.: Quest´accettazione non proviene da quello che credi di essere, ma dalla Sorgente stessa come la non-accettazione.  Che tu possa accettare o non accettare non è nelle tue mani. Puoi avere il sentimento che l´hai guadagnato  lavorandoci sopra.
D.: Già.
K.: Eppure so con assoluta certezza che non sei stato tu a guadagnartelo col tuo lavoro. L´accettazione è un´apparizione spontanea.
D.: Può essere. Ma  forse si può favorire quest´apparizione spontanea.
K.: Nessuno sforzo aiuta. Non c´è nessuna preparazione e nessun lavoro a posteriori.
D.: Il deep sharing (= lett. profonda compartecipazione) di Paul Lowe mi è stato tuttavia di grande utilità.
K.: Bene. Suona bene.
D.: E´ uno scambio di sentimenti in profondità.
K.: Questo sheep sharing? (= lett. `pecore che si tosano´)
D.: No, deep sharing!
K.: Sheep sharing significa tosare le pecore vero?
D.: No, no, deep sharing. Deep sharing significa con-dividere la profondità.
K.: Con-dividere la profondità? Con un coltello, in modo da farne due profondità?
D.: Non significa dividere, ma anzi con-dividere i sentimenti degli altri, tutti i sentimenti, anche quelli che fanno male.
K.: Si tosano corto.
D.: Si è aperti e sinceri, senza fretta e non si trascura nulla.
K.: Allora le si affrontano lentamente, per poi allontanarsene, come se avessi un coltello non affilato. Perché faccia male, strappando i peli lentamente. E´ questo il deep sharing? E´ giusto quello che descrivo?
D.: Assolutamente no.
K.: Un sheep sharing (tosatura) normale la si fa con un coltello ben affilato per fare in fretta.
D.: Allora c´è bisogno di una preparazione significativa! L´affilatura del coltello!
K.: Alla fine non ci sono più peli. Sei nudo. Non c´è più niente.
D.: Grazie alla buona preparazione.
K.: Mi hai sconfitto. Ci sono ancora domande a cui non so rispondere?
Che cosa posso fare da solo?
D.: Ramana dice che non esiste il karma. E nemmeno la rinascita. Eppure nella coscienza dell´ego questo c´è.
K.: Finché esiste il concetto dell´ Io, c´è tutto. Ci sono i desideri e la necessità della purificazione e l´idea della sporcizia e della qualità, c´è tutto quello di cui puoi parlare nel quadro dei concetti. Ma tutti questi concetti emergono solo quando l´Io emerge. Quando l´Io è preso per reale.
D.: Allora non esiste una preparazione?
K.: Per cosa? Per uno stato celestiale? Un paradiso? Un traguardo meraviglioso? Solamente l´idea che abbiamo perso qualcosa o che dobbiamo raggiungere uno scopo, dà origine all´inferno. Crea la convinzione che abbiamo un libero arbitrio, per mezzo del quale possiamo tendere verso una meta, ma sempre con grande fatica. Viene dall´idea di un Io. Il pensiero dell´Io è l´origine dell´immaginaria separazione. E la credenza di essere separati, è l´inferno. Con il pensiero dell´Io, ecco subito l´inferno. Questo è il sistema diabolico. Dia significa due. Dia-volo è colui che crea la dualità.
D.: Esiste il diavolo?
K.: Certo. L´io è il diavolo. Solo che l´Io...non esiste. E´ solo un´idea. Allora come posso far sparire questo Io che non esiste nemmeno? Cosa posso fare Io? Cosa può fare un´idea contro un´idea, un concetto contro un concetto, un´illusione contro un´illusione?
D.: Apparentemente non molto.
K.: Devo in fondo oppormi in qualche maniera?
D:: Si, almeno una presina di attività propria, per favore!
K.: Devo solo essere quello che sono.
D.: Era quello che temevo.
K.: Voglio dire essere prima del tempo, prima del diavolo, prima di Dio, prima di qualunque idea di esistenza. E questo lo sono in tutti i modi. Non posso `´farlo´´. Questo è prima di qualunque agire. Prima di qualunque esperienza. Questo è silenzio. E questo silenzio è prima del tempo, prima del movimento e del non-movimento. Qui non c´è più nessuno. C´è solo l´essere.
D.: O.K. Se qui non c´è più nessuno, allora nessuno deve fare più nulla. Ma qui c´è qualcuno!
K.: Tu siedi qui per incontrare te stesso. Per fare quest´esperienza.
D.: E´ proprio  quello che voglio dire. E per fare un´altra esperienza ho meditato.
K.: Le meditazioni, gli sforzi i metodi sono tutte cose meravigliose. Ramana dice: - Ogni passo che è stato fatto vi ha condotto a me.- Ed aveva ragione.
D.: Bene! Allora qui non mi sbaglio poi così tanto?
K.: Ci sono solo passi giusti. Solo sforzi giusti. Il Sé sa al cento per cento quello di cui ha bisogno, per trovare se stesso. In qualunque momento lo sa, al cento per cento e fa sempre il passo giusto verso se stesso.
D.: Lo credo volentieri. Ma perché sono seduto qui adesso?
K.: Perché il Sé ti ha fatto sedere qui.
Non puoi mai sbagliarti
D.: A volte ho la sensazione: adesso c´è la breccia, eccola finalmente!
K.: "Non ci sono mai stato così vicino come ieri sera!"
D.: Qualcosa del genere.
K.: E allora vuoi trattenere se possibile questa immersione o vicinanza. Questo voler trattenere la distrugge di nuovo. E quel che rimane è il desiderio.
D.: Si, e poi sono deluso.
K.: De-lusione sarebbe la fine dell´illusione. E´ quello che cerchi in fondo: l´assoluta delusione che ti fa rassegnare completamente alla ricerca. Ma finché siedi qui, sei ancora deluso.
D.: Sono seduto qui per accelerare un po´ la cosa.
K.: Chiunque pensi che qui egli trovi se stesso prima di qualche altro posto, si sbaglia.
D.: Allora non ho bisogno di venire qui! Allora posso fare tutto quello che voglio.
K.: Tu non puoi mai fare quello che vuoi.
D.: In questa faccenda ho esperienze diverse.
K.: Perché sei un personaggio recitato. Sei la mancanza d´aiuto e l´impotenza. Non c´è un secondo di cui disporre. Non esiste un essere che possa esercitare potere su un altro essere. L´onnipotenza di Dio è totale impotenza. Onnipotenza significa essere quello che è.
D.: Allora posso sedermi a casa e non far più niente.
K.: Ottimo. Però poi torna una volta o l´altra a raccontarmi com´è andata. E soprattutto se ce l´hai fatta.
D.: A dire il vero l´ho già tentato. Ma è difficile.
K.: Tutti lo provano ma nessuno ci riesce.
D.: Non si può non fare niente?
K.: Si può solo non fare niente. Tu non fai mai niente. Tutto si fa da sé!
D.: Allora posso anche non fare qualcosa di sbagliato.
K.: Tutto quello che fai è proprio giusto. Non puoi far qualcosa di erroneo, perché non hai mai fatto qualcosa, né avresti potuto farlo. Ecco la libertà! La libertà da un agente, da una persona che abbia mai fatto qualcosa o che avrebbe potuto fare qualcosa.
D.: Allora chi fa la guerra?
K.: Tu! E chi altro?
D.: Come?
K.: Tu sei responsabile.
D.: Ma hai appena detto...
K.:C´è la guerra e la pace perché ci sei tu. Sei la Sorgente di entrambe. Sei responsabile di tutto quello che esiste.
D.: Responsabile di tutto?
K.: Perché tu sei quello che è.
D.: Scusa, ma a chi parli adesso?
K.: Parlo a me stesso.
D.: Meno male!
K.: Come sempre. Parlo sempre a quello che intende, mai a quello che non intende. Non è forse qualcosa che s´intende da sé?
D.: No.
K.: Tutto quello che c´è sempre è il Sé. Quello che parla, ascolta, sta zitto...
D.: Allora mi sto ascoltando da solo anche adesso?
K.: Puoi solo ascoltare te stesso. Solo il Sé parla e solo il Sé può ascoltarsi.
D.: E che cosa dovrebbe portarci tutto questo?
K.: La conoscenza di sé.
Che decisioni posso prendere?
D.:Posso decidermi per la consapevolezza?
K.: Questa non è una decisione. E´ semplicemente un risveglio. Come ti svegli la mattina nel tuo letto. Non puoi decidere se ti svegli o meno. Nel momento del risveglio si decide.

L´Illuminazione ed errori simili - Il libro di Karl Renz 

KARL RENZ

Karl Renz nacque nel 1953 in una famiglia di contadini nelle montagne attorno al fiume Weser in Germania. Ebbe una formazione agricola e poi artistica. Dal 1980 vive come musicista e pittore a Berlino e nelle isole Canarie. Alla fine degli anni ´70 ebbe un´esperienza di morte e la realizzazione dell´immortalità. In questo stato di coscienza seguirono poi anni di dolorose emicranie e di altri mutamenti nel fisico. "L´eterno presente" si manifestò in ogni sua cellula o strato della sua coscienza e l´assenza di tempo divenne realtà. Così ne parla:"Una luce purissima iniziò a sgorgare dalla parte posteriore della testa riempiendo tutto il campo della mia percezione. Nell´assoluta accettazione di quello che era, il tempo si fermò. Solo rimase l´assoluta certezza che quello che sono veramente è prima del tempo." 
Karl Renz tiene i suoi "talks" o dialoghi in numerose città dell´Europa, in America del Nord e del sud, in Australia, India e Israele.
(Testi in inglese, tedesco e francese su www.karlrenz.com )

Di seguito alcuni capitoli di: L´Illuminazione ed errori simili - Il libro di Karl
Unica versione in italiano, traduzione di Isabella di Soragna  isabellads@freesurf.ch

Come ci riesce costui?
No grazie. Mai piu´ Karl Renz! Dopo venti minuti questo mi era perfettamente chiaro. A quel tempo Christian Salvesen ed io facevamo visita a parecchi maestri di satsang per il nostro libro "Arrivano gli illuminati". Proprio alla fine del giro ci proposero Karl Renz. Dovevamo includerlo nel libro perché aveva avuto l´esperienza del risveglio. Era penetrato in qualcosa che per noi era ancora impenetrabile. E poi aveva un pubblico fedele in varie città.
Che l´uomo non valesse gran che, a mio avviso, era chiaro. Parlava troppo. Non era silenzioso. Non prendeva il tempo di immergere a lungo il suo sguardo negli occhi di un astante. Non creava alcuna atmosfera spirituale. Era lì seduto come un conferenziere qualunque, senza fiori, senza candela, senza il ritratto di un saggio maestro, insomma senza il minimo segno di spiritualità. Avevo assistito a ben altri satsang!  Maestri con un´aura. Quelli che stanno all´inizio a lungo con gli occhi chiusi, finché il silenzio si allarga in ogni angolo della sala. Maestri che vedono nel profondo dell´anima del richiedente. Quasi santi, che rilasciano una parola quasi fosse una prelibatezza. Attorniati da musica, fiori, incenso ed icone di grandi maestri.
Niente di tutto questo con Karl Renz. Nessuna veglia. Nessuna atmosfera. Nulla di meditativo. Peggio ancora, era perfino anti-meditativo! Avevo meditato per vent´anni, ogni mattina ed ogni sera. Questa, mi disse Karl in poche parole,(kurzerhand) era una pratica assolutamente inutile! Un colpo di cancellino e via!  Ogni cammino un errore, ogni sforzo senza scopo, ogni ricerca un caso senza speranza. Così diceva lui. Gli altri astanti, verosimilmente una sorta di pubblico abbonato, rideva di cuore. Io invece, fui felice quando il dialogo si concluse. Ma poi mi senti "high", proprio subito dopo esser sceso in strada, mentre m´incamminavo verso casa. Poi nel mio appartamento. E ancora il giorno dopo. Era come se durante il colloquio mi avessero propinato una droga proibita di felicità! Un´iniezione di scacciapensieri. O una medicina rilassante. Incredibile. Doveva essere accaduto qualcosa al di fuori della chiacchierata.
Per assicurarmene sono tornato. E ancora. E da allora non perdo nessun colloquio se egli viene nei paraggi. Certo, parla sempre un po´ troppo per me. Due ore alla volta, interrotte solo dalle domande degli uditori. Alla fine egli sembra fresco come una rosa e ha l´aria di voler continuare. Gli uditori invece sono sfiniti. Sfiniti perché tutto quello che pensavano o proponevano era gettato al vento. Ogni argomento sollevato è scartato. (aushebeln)
Karl Renz non dà valore a nulla. Nessun sapere spirituale. Nessuna frase dorata di spiritualità. Nessuna conoscenza che provenga da profonde esperienze. Niente.  Alla fine del colloquio non rimane più niente. Niente resta, di quanto un brav´uomo abbia potuto pensare o credere prima. Assolutamente nulla. E questo è deprimente. Ma quanto ci si sente leggeri!
Occasionalmente si vedono persone cadere in stato di shock, poi alla fine ne escono per non ritornare mai più. Succede anche che in pieno dibattito, uno spettatore dall´aspetto irato ma silenzioso o in aperta protesta lasci la sala. La maggior parte però sembra divertirsi un mondo tanto quanto più a lungo procede il colloquio.  Si scatenano delle risa contagiose come all´asilo. All´inizio questo mi dava ai nervi. Se io mi preparo una domanda seria, mi spingo ad esprimerla e gli altri si sbudellano dalle risa, reagisco e mi irrito. Ed ancora adesso mi disturbano le buffonerie se ho la sensazione di non aver capito il perché del ridicolo.
Eppure è proprio così. Poiché la vera storiella nei dialoghi di Karl Renz è: colui che si sente imbarazzato sparisce. Colui che può reagire ed irritarsi non c´è più. Naturalmente lo spettatore è ancora lì seduto allo stesso posto. Però non lo si può più disturbare. Tutto quello che egli credeva di dover difendere si è eclissato. Quello che la persona sembra o crede di fare, la cosiddetta identità, volteggia e se ne va durante le conversazioni. Dunque tutta la rete di credenze, esperienze, immagini di sé. Sembrava complessa, ora semplicemente si scioglie. Le rappresentazioni di come deve essere il mondo, io stesso o gli altri, spariscono. Quello che avrebbe dovuto accadere per sentirmi felice, ma certo, che qualcosa comunque avrebbe dovuto succedere per soddisfarmi, perde significato. Alla fine resta quello che si suole nominare "presenza", una gaia chiarezza che non ha bisogno di nulla.
Suona bene! Ma come ci riesce costui? Lui sosterrà che non fa assolutamente niente. E in un senso è vero. Il maestro che ha riconosciuto la sua "vera natura", che ha anche osservato di essere lo schermo e non il film che vi si proietta, che egli è il cielo e non le nuvole che vi si rincorrono, che sa anche che egli è silenzio - quello non fa nulla. Non vuole niente, non ha intenti, egli è soltanto lì. Ma la sua presenza produce qualcosa verosimilmente. Egli assorbe in sé l´inquietudine. Qui valgono le parole di Paul Brunton su Ramana Maharshi: "Egli è un vuoto in cui i pensieri degli altri cadono". Basta così. Non serve più nient´altro.
Ma con Karl Renz c´è dell´altro. Questo spiega perché lo invitano in tanti paesi. Per questo si riempie la sala quando arriva in gennaio a Tiruvannamalai, la Mecca dell´Advaita. Li corrono americani, israeliani, australiani, inglesi e tedeschi e anche qualche indiano. E senza preoccuparsi troppo, nel suo inglese semplificato riesce a tener banco, come forse faceva da ragazzo quando stava nella rustica taverna dei suoi genitori contadini: è un attore, è una miniera di motti di spirito, un comico.
Un comico, soprattutto con le parole ed il loro senso profondo. Egli le torce, le strappa, gioca a bandiera con esse, scopre un doppio e terzo senso ed arriva - a volte ne è il primo a meravigliarsi - ad un significato che illumina. E´ il clown dell´illuminazione.
Se poi aggiungiamo che lì sotto si nasconde un Socrate, questo dà alla sua arte buffonesca un che di magico. Come il saggio filosofo greco, egli porta i coraggiosi ascoltatori che gli pongono domande fino all´"Aporia". Questo è l´amichevole appellativo filosofico per denominare la strada senza uscita. Socrate dimostrava a chiunque credesse di sapere qualcosa, come in realtà non sapesse nulla. Questo succede anche con Karl Renz. Chiunque si sieda ai suoi "talks" crede all´inizio di sapere qualcosa, crede per lo meno di aver capito un pochino o di aver fatto qualche progresso nel sentiero dell´illuminazione. Con spirito e senza mai cedere di una virgola, egli macina e sbriciola qualsiasi concetto al riguardo.
Qualunque domanda un astante ponga e in qualunque controversia egli si trovi, quell´uomo è un videogioco che vince sempre. Alla fine l´interrogante - e la persona che la pensava come lui - cede, quasi alleggerito. Ma la vittoria dell´uno e la sconfitta dell´altro sono la stessa cosa. Là ci si ritrova. Ecco la sensazione di leggerezza. Consiste nella constatazione liberatoria che è la mente stessa a porsi dei problemi e che poi si affanna a tentare di risolverli. E che la verità, l´essenza, il Sé si trova "prima" della mente. Allora la mente potrà pur continuare a girare in tondo come nella ruota del porcellino d´India, il Sé non se ne preoccupa.
Che questo Sé sia indiviso, che sia lo stesso nella persona dell´ascoltatore come nella persona del maestro, lo conferma Karl: "Parlo solo a me stesso". In inglese nomina i suoi interventi "Self talks" ossia "dialoghi del Sé" o "il Sé parla". E naturalmente il Sé ascolta anche. Infatti le differenze che si fanno sono solo differenze nel pensiero.
Questa è l´essenza del pensiero indiano Advaita ("a-dualistico", "non-dualistico") al quale si ricollega Karl Renz: la separazione è solo un´illusione, mantenuta solo dalla mente. Non appena i pensieri si riposano, ecco sparire la separazione. Sparisce anche il desiderio di volere qualcosa. La paura sparisce. "Gli altri sono l´inferno" diceva Jean Paul Sartre. Karl Renz fa una variante:"Finché credi che vi siano altri, vivi in inferno."
Inferno è forse un´esagerazione. Lo stress basta già.  Ma se c´è qualcosa che annulla quest´inferno, che pone fine allo stress, allora sono proprio questi dialoghi. Dialoghi con un insegnante che sa che l´inferno non esiste, che non esiste separazione. Naturalmente è soprattutto la presenza vivente di un insegnante a rigenerarci. Ma anche la sua presenza sulla carta stampata ha i suoi vantaggi. Prima di tutto non ci sono quelle pause quasi vuote che avvengono in ogni talk: lì abbiamo accorciato. In secondo luogo non dobbiamo sederci su dure sedie o perseverare scomodi accoccolati per terra. Terzo, possiamo interrompere quando vogliamo il fiume di parole di questo commediante e riprenderlo a tempo debito. E non è necessario pagare ogni volta 10 euro per l´entrata!
Il carosello 
Benvenuti! Benvenuti al mercato annuale! Come posso vedere sei già entrato nel carosello! Guidi alla grande! Hai un´auto coupè elegante. Hai un acceleratore e un freno, ma soprattutto un volante. Con questo puoi prendere ottime curve e così stai facendo. Strano però che l´auto giri sempre in tondo. Ti dirigi verso destra poi a sinistra, freni, acceleri, ma in fondo vai sempre in una sola direzione.
E´ così che guida il tuo Io. Il cosiddetto ego. Si dirige verso destra, verso sinistra e non è mai troppo contento del risultato."Adesso guardo come fanno gli altri" pensa. "Come guidano loro? Quello là in fondo come si mette in fila? Quello là si butta più deciso nella curva..." Allora anche tu lo imiti. E la corsa continua. Ogni tanto tutto il carosello si ferma. Una pausa breve. I tibetani lo chiamano "Bardo". Allora ti scegli un'altra vettura. "Stavolta prendo il cavallo perché ho voglia di cavalcare". Sei furbo. Oppure veramente saggio: prendi solo il piccolo monopattino perché, dopo tanti giri faticosi, ora sei pieno di modestia ed umiltà.
Certo, il tuo Io dopo tanti giri di manovella è maturato un sacco. E se per caso ti trovi a seguire la stessa direzione del carosello puoi dire trionfante: "Guarda come sono stato bravo! Adesso ho capito l´antifona!" Adesso hai capito come funziona tutto il gioco."Guardate, ora ho tutto sotto controllo!" Sei in armonia con il cosmo, in sintonia con la creazione. Un Io in simile accordo prende esattamente la direzione del carosello. "Guardate come dirigo bene il mio veicolo! Tutto il carosello si muove perché lo dirigo io talmente bene! Ma guardate, gu-ar-date!" Quando hai fatto abbastanza pratica e sei abile in quell´arte puoi anche dire agli altri come devono guidare:"Su, fate così come faccio io"!
Orai sei un autista completamente sveglio. Un paio di persone entusiaste dicono:"Andiamogli dietro!" Tanto vale prendere un mezzo di trasporto più capiente:"Salite tutti sul mio autobus e sedetevi dietro di me! Io sono in sintonia con il carosello!" Allora diventi un guru. Se vuoi agire ancora meglio in silenzio, puoi assumerti anche altri compiti, puoi anche prendere l´auto dei pompieri o l´ambulanza. Oppure segui solo l´ambulanza per sicurezza.
L´unica cosa importante è che tu mantenga la vigilanza. Che al momento giusto tu acceleri e freni al momento giusto. E soprattutto che tu guidi con grande destrezza. Questo aiuta tutti gli altri. In tal modo riesci non solo a mantenere la tua vettura perfettamente in strada, ma porti con te sulla via l´intero carosello! Se soltanto tutti guidassero come te! Hai tutto in pugno.
Finché una volta per caso, lasci andare il volante. Ma no!? Adesso sì che ti meravigli. Ma guarda, sa dirigersi anche da solo! Quest´attrezzo si muove anche da sé. Il Sé guida. Non hai bisogno di sforzarti. Puoi rilassarti e godertela. Comunque finisce sempre direttamente nella felicità.



 L´Illuminazione ed errori simili - Il libro di Karl