ALVARO VITALI NON ERA UN GRANDE ATTORE.
Basta, non ce la faccio a stare zitto di fronte a questo carosello schifoso e ipocrita per Alvaro Vitali.
ALVARO VITALI NON ERA UN GRANDE ATTORE.
Ed è qui che sta la tragedia.
Negli anni ‘70 e ‘80, il cinema italiano era diventato un luna park a basso costo,
dove la Commedia Sexy all’Italiana e la peggio "commediazza" aveva sostituito il cinema di qualità,
la scrittura, il mestiere, la regia, l’arte.
Il sistema prendeva casi umani:
– nani,
– deformi,
– analfabeti di ritorno,
– gente senza alcun talento recitativo,
– gente che faceva rumori con la bocca,
– gente che metteva il culo in camera.
Li sbatteva su uno schermo, li vendeva come “attori comici”,
li usava per fare incassi facili,
e loro stessi finivano per crederci.
Alvaro Vitali non era un grande attore incompreso.
Era un ingranaggio di un sistema becero,
un sistema che sfruttava la deformità e la mediocrità come intrattenimento,
perché la gente andava in sala per guardare qualcuno peggio di loro,
per sentirsi meno soli, meno brutti, meno poveri.
E quando il sistema è cambiato?
Li hanno lasciati a terra.
Abbandonati, confusi, convinti di essere stati “grandi artisti”.
Senza capire di essere stati fenomeni da baraccone di un circo trash.
Non è cattiveria. È sociologia.
La stessa che oggi fa fare i TikTok a gente che scoppia di risate mentre balla come un idiota,
che umilia la propria dignità per “i like”,
che vende la propria miseria per due views.
E domani, quando TikTok cambierà algoritmo,
li butterà via come Kleenex usati.
Io so di cosa parlo.
Ho fatto l’attore, il regista, ho girato teatri veri,
ho letto copioni veri, ho lavorato con attori veri.
So cosa vuol dire essere un attore, un artista.
Non è stare davanti a una telecamera a scoreggiare,
non è ridere perché sei basso,
non è fare il buffone per un regista che ti paga per un ruolo grottesco.
Dustin Hoffman è un attore.
Renzo Montagnani è un attore.
Totò era un attore.
Eduardo era un attore.
Alvaro Vitali no.
Bombolo no.
Vanna Marchi no.
E smettiamola di fingere che lo fossero.
Smettiamola di “piangere” Alvaro Vitali oggi,
quando ieri ridevamo perché faceva “le puzzette con la bocca”.
Non c’è nulla di artistico in questo.
Il vero dolore non è che lo abbiamo dimenticato.
Il vero dolore è che non abbiamo mai capito la differenza tra arte e baraccone, tra artista e fenomeno da baraccone.
Il problema è il sistema che crea, usa e getta.
Ma anche un pubblico che consuma, ride, commenta, scrolla e poi dimentica.
Il problema è che oggi accade la stessa cosa con i social.
Con le dirette.
Con TikTok.
Con gli “influencer”.
Con chi si improvvisa esperto di IA, di spiritualità, di motivazione, di politica.
Con chi non ha nulla da dire, ma parla lo stesso.
Con chi non sa nulla, ma insegna lo stesso.
Alvaro Vitali è stato usato.
E non è colpa sua.
Ma non era un attore, e non è un eroe.
E non dobbiamo fingere che lo sia stato,
solo per sentirci migliori mentre postiamo “RIP 🕊️🥺”.
Perché se vogliamo davvero onorare la memoria di chi è stato usato e buttato,
dobbiamo cambiare noi, ora.
Smettere di idolatrare il trash.
Smettere di confondere viralità con talento.
Smettere di ridere di chi soffre.
Smettere di alimentare sistemi che creano nuovi Alvaro Vitali da buttare.
Perché oggi il sistema non è diverso.
Solo ha un feed che scorre più veloce.
Riposa in pace, Alvaro.
Sei stato usato da un sistema che non sapeva nemmeno cosa fosse l’arte.
E il sistema, oggi, è ancora qui.
E ride.
Alla fine, sapete che c’è?
Io ad esempio non sono diventato un attore famoso perché non ero un attore famoso.
Non ero Dustin Hoffman, non ero Brad Pitt.
E se lo fossi stato, avrei fatto i film che hanno fatto loro.
Non mi hanno chiuso le porte perché ero un genio incompreso,
non c’era nessun complotto per fermarmi,
non sono stato abbandonato perché facevo paura al sistema.
Ho fatto quello che potevo, con quello che ero, con quello che avevo.
Avrei potuto fare di più? Forse.
Avrei potuto fare di meno? Anche.
Ma la verità è questa, nuda e cruda:
Ognuno è esattamente dove può essere,
per quello che è,
per quello che ha saputo diventare.
Il resto sono favole che ci raccontiamo per non affrontare lo specchio.
Fine.
A. Braidotti
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