giovedì 6 settembre 2018

CAPRI REVOLUTION





La rivoluzione, secondo Mario Martone, si fa sull’isola di Capri. Anzi si è fatta tra il 1900 e il 1913 nella comune nudista, vegetariana, artistica di Karl Diefenbach. Capri-Revolution, in Concorso a Venezia 75, è l’ulteriore aggiornamento di un discorso cinematografico a firma dell’autore de L’amore molesto, iniziato con Noi credevamo e proseguito con Il giovane favoloso, sul passato italiano che ci parla del (e al) presente, della storia di ieri che spiega molte questioni dell’oggi e prepara un nuovo futuro di probabile rottura. Non correte però subito su Wikipedia a cercare ulteriori informazioni. Sul pittore tedesco a Capri e soprattutto su quella comune idilliaca non trovate granché. Per una versione leggermente slittata in avanti nel tempo a ridosso del primo conflitto mondiale, incentrata fortemente sul rapporto uomo/natura, capace di guizzi visivi fantastici e alla rappresentazione di un’indipendenza sociale al femminile, basta la ricca e affascinante sintesi martoniana.


La giovane analfabeta capraia Lucia (Marianna Fontana), unica figlia in una famiglia contadina patriarcale, vede morire il padre che ha tentato la fortuna da operaio industriale e viene schiacciata dalla prepotenza maschilista dei due fratelli. Quando un giorno al pascolo con le capre, superata la montagna intravede corpi nudi danzare e osservare il tramonto lungo le scogliere rocciose, Lucia deciderà gradualmente di avvicinarsi a quel gruppo di “depravati”. Dapprima si scontra con il leader Seybu (Reinout Scholten van Aschat) che medita sotto un’imponente roccia a picco sul mare, poi si inserisce nel piccolo villaggio dove si mangia solo verdura, si sperimentano arte e musica, e soprattutto dove lei oltre a dare suggerimenti su come si costruisce una casa o si coltivano zucchine, impara a leggere, scrivere e a parlare l’inglese. La vicinanza dell’altrettanto giovane medico idealista giunto a Capri (Antonio Folletto), una sorta di socialista interventista e positivista, provoca in Lucia un altalenarsi di sensazioni intellettuali e sentimentali, e infine a compiere scelte pratiche che la porteranno a una definitiva indipendenza futura.

Capri revolution è una riflessione riuscita, profonda, coinvolgente, sulla liberazione di corpi ed individui dalle convenzioni politico-culturali. Una dialettica continua tra massimalismo e riformismo progressista, con il pacifismo di Seybu affiancato all’interventismo umanitario del medico. Una tensione viva e costruttiva tra materia e spirito, tanto che il medico parla di energia elettrica che arriva sull’isola mentre Seybu gli mostra un’opera d’arte dove dei limoni vengono collegati ad una lampadina fino a farla accendere (vera opera d’arte creata a Capri nel 1980 dall’artista Joseph Beuys). “Nel film i protagonisti sono giovani e ribelli, a testimonianza che il mio desiderio di raccontare l’Italia non è doma, che sento la spinta ad interrogarmi sul rapporto tra collettività ed individualità”

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