UPPALURI GOPALA KRISHNAMURTI

 I primi anni
Uppaluri Gopala Krishnamurti (9 luglio 1918 - 22 marzo 2007) nacque nella città di Masulipatam, in India, nella famiglia Uppaluri, da cui acquisì il cognome. Crebbe nella vicina città di Gudivada. La madre morì sette giorni dopo la sua nascita ed egli fu portato dal nonno materno, un avvocato di famiglia bramina, molto interessato alla società 
Teosofica.
(A U.G. è stato spesso raccontato che la madre, appena prima di morire, aveva detto di lui che egli era nato per un destino incommensurabilmente grande. Il nonno aveva preso molto seriamente la cosa ed aveva lasciato il suo lavoro di avvocato per dedicarsi all’educazione di U.G. I suoi nonni ed i loro amici erano convinti che egli fosse uno Yoga Brashta
(1), cioè uno che era venuto in contatto con l’illuminazione nella sua vita passata).

Nella "Mistica dell'Illuminazione" U.G. racconta della sua primissima infanzia.

- Sono cresciuto in un’atmosfera molto religiosa. Mio nonno era un uomo di grande cultura. Lui conobbe madame Blavatsky 
(2a) (la fondatrice della Società Teosofica (2b)), il colonnello Olcott, (2c) e più tardi la seconda e la terza generazione di Teosofi. Furono molti i teosofi che visitarono la nostra casa. Mio nonno era un grande avvocato, molto ricco, colto ed anche molto ortodosso. In lui si sommavano due culture l’ortodossia da una parte e la teosofia dall’altra. Egli non riuscì mai a trovare un equilibrio tra le due tendenze e quello fu l’inizio dei miei problemi.
Egli aveva lasciato il suo lavoro ed aveva dedicato tutto se stesso a creare una atmosfera profonda per educarmi nel migliore dei modi, ispirandosi alla Teosofia. Così, ogni mattina, mi trovavo tra persone che leggevano le 
Upanishad, Panchadasi, Nayshkarmya Siddhi, (3) I commentari, i commentari dei commentari e così via, dalle quattro di mattina fino alle sei di sera e, questo bambino, di cinque, sei, sette anni, doveva sentire tutte quelle cose. L’istruzione era così intensa che quando raggiunsi il settimo anno di età, potevo ripetere a memoria, molti passaggi del Panchadasi o del Nyshkarmya Siddhi, o di altri testi.
Molti uomini ritenuti santi visitavano la nostra casa. Molti appartenenti all’ordine di Ramakrishna, 
(4) ed altri vennero a trovarci, dato che il nonno aveva voluto una specie di casa aperta a tutte le persone pie. Così, la prima cosa che scoprii, quando ero molto giovane, fu che erano tutti ipocriti. Loro parlavano di quelle “cose”, credevano in quelle “cose”, ma la loro vita non rispecchiava quello che dicevano e credevano. La loro vita era vuota. Quello fu l’inizio della mia ricerca.
Mio nonno soleva meditare, (Egli è morto e non voglio dire nulla di brutto su di lui), per una o due ore, in una stanza separata. Un giorno un infante, di circa un anno e mezzo o due, scoppiò a piangere per qualche ragione. Mio nonno uscì dalla stanza di 
meditazione ed iniziò picchiarlo finché non divenne quasi blu. - E questo era un uomo che meditava due ore al giorno – Quell’esperienza ha creato in me, (non mi piace usare termini psicologici ma non c'è scampo ad essi), una sorta di esperienza traumatica. Pensavo: - Ci deve essere qualche cosa di assurdo riguardo a questa pratica della meditazione. Le vite di chi medita sono assolutamente vuote. Quelli che meditano dicono cose meravigliose, si esprimono in modo molto bello. Ma cosa dire circa il loro comportamento? C'è qualche paura nevrotica nelle loro vite: loro parlano di cose che non sono inerenti a come agiscono. Cosa c'è di sbagliato in loro? –
Le cose andarono avanti in questo modo ed io ero ne ero coinvolto: - C’era qualche cosa in quello che professavano che non riuscivo a capire. - 
Budda, Gesù, i grandi maestri, tutti avevano parlato di Moksha, (5) di liberazione, di libertà. Cosa significava? Volevo scoprirlo da me stesso. Il loro insegnamento mi era inutile, eppure ci doveva essere qualche persona in questo mondo che era un’incarnazione, un apostolo di queste cose. - Se ce n’è io la voglio trovarla da me stesso - mi dissi.
(Da giovane U.G. praticò ogni tipo di austerità e cercò davvero la "liberazione". Egli spese sette estati sull'Himalayas con Swami Shivananda 
(6) studiandoYoga e praticando la meditazione).

Poi molte cose sono successe. C’era un uomo chiamato Shivananda Saraswati in quei giorni - egli era un evangelista dell’
Induismo. Tra l’età di 14 e 20 anni, (sto saltando molti particolari), io solevo andare ad incontrarlo e con lui praticai ogni tipo di austerità. Ero così giovane ma ero determinato a trovare se esisteva una cosa come la liberazione, e, se esisteva, la volevo per me stesso. Io volevo provare a me stesso e agli altri che in una persona spirituale, non poteva esserci nessuna ipocrisia.
Crescendo il sesso diventò un tremendo problema per me che ero un giovane uomo. Mi dicevo: - Il sesso è qualche cosa di normale, una cosa biologica, un urgenza del corpo umano. Perché tutte queste persone vogliono rinunciare al sesso e sopprimere qualche cosa di così naturale, qualche cosa che è parte della vita, al fine di raggiungere qualche altra cosa? Il sesso è più reale, più importante per me che la liberazione, la Moksha e tutto il resto. Questa è la realtà -
Pensavo a dei e dee e facevo sogni erotici. Mi succedevano questo tipo di cose e perché avrei dovuto sentirmi colpevole? Era così naturale ed io non avevo nessun controllo - La meditazione non mi aveva aiutato, gli studi non mi avevano aiutato, le mie discipline non mi avevano aiutato. Mi astenevo da cibi con spezie o piccanti, ma non serviva -
Poi un giorno, trovai Shivananda che mangiava un mango nascosto dietro una porta ed allora mi dissi: - Qui c’è un uomo che si è negato tutto nella speranza di raggiungere qualche altra cosa, ma quell’uomo non può controllarsi. Anche lui è un ipocrita - Non voglio dire nulla di cattivo su di lui, ma quel tipo di vita non era per me.
Quando avevo 21 anni arrivai ad un punto in cui sentii in maniera molto forte che - Budda, Gesù, Ramakrishna e tutti i mistici e santi, avevano imbrogliato e deluso se stessi e deluso gli altri. Questo, vedi, non poteva essere assolutamente il punto. - “Dov’è quello stato di cui hanno parlato e che hanno descritto quelle persone? Quelle descrizioni sembravano non avere nesso con me, e col modo con cui io funzionavo. Tutti dicevano: “Non arrabbiarti” ed io ero rabbioso tutto il tempo. Io ero pieno dentro di me di cose brutali - così quello che dicevano doveva essere falso. Il mio pensiero era: - Quello che mi dicono è falso, e renderà falso anche me. Io non voglio vivere una vita di falsità. Io sono avido e loro stanno parlando di non avidità. C’è qualche cosa di sbagliato da qualche parte. Questa avidità è un qualche cosa di reale, qualche cosa di naturale per me. Quello di cui stanno parlando è innaturale –
2L’incontro con Ramana Maharshi
A quel punto discussi di queste cose con un mio amico. Lui disse che io ero praticamente un ateo, scettico su tutto, ed eretico. Egli disse: - C’è un uomo a Tiruvannamali vicino a Madras chiamato 
Ramana Maharshi andiamo a vederlo. Lui è un’incarnazione vivente della tradizione indiana.
Io non volevo vedere più nessun santo; dentro me pensavo: - Sono tutti uguali. Se ne hai visto uno li hai visti tutti. Tutti ti dicono impegnati di più ed otterrai la tua meta, invece per me, quelle pratiche accrescevano solo le mie esperienze e queste esperienze chiedevano di perpetuarsi nel tempo. Quindi i santi sono tutti “ripetitori”. Essi ripetono solo quello che c’è nei testi sacri. Io non voglio leggere, non voglio più esperienze. Loro stanno provando a condividere un’esperienza con me, ma io non sono interessato all’esperienze. Le esperienze vanno e vengono e non c’è differenza per me tra un’esperienza religiosa ed una sessuale o qualsiasi altra esperienza.
Tuttavia con esitazione, riluttanza e senza entusiasmo, andai a vedere Ramana Maharshi. Quel mio amico mi condusse là. Egli mi aveva detto: - vai là almeno una volta, qualche cosa ti succederà - Egli mi aveva parlato di lui e mi aveva dato anche un libro – India segreta - di Paul Brunton 
(7) così io lessi il capitolo relativo a questo uomo ed alla fine acconsentii ad andare.
Ramana era seduto là, quando fui in sua presenza la prima sensazione fu: - Come può aiutarmi quest’uomo che è seduto a leggere fumetti, che taglia verdure per la mensa, e che fa un sacco di cose normali? Egli non può certo aiutarmi. - Ad ogni modo mi sedetti. Non successe nulla. Lo guardavo e lui mi guardava. Quello che avevo letto - in sua presenza sentirai il silenzio, le tue domande scompariranno, il suo sguardo ti cambierà - rimanevano storielle per me. Io ero seduto là ed avevo un mucchio di domande dentro di me. Domande stupide che non erano affatto scomparse. Ero seduto da due ore e le domande non scomparivano. - Ok, mi dissi, lasciami fare qualche domanda -
Siccome a quei tempi ero molto interessato alla liberazione (moksha) che era parte del mio back-ground culturale io dissi: - si suppone che lei sia un uomo liberato – (io non feci realmente quella premessa) - Può darmi quello che lei hai? –
Io gli feci la domanda ma lui non rispose, così dopo qualche momento io ripetei la domanda. Sto chiedendo: - qualsiasi cosa lei abbia, può darla anche a me? -
Egli rispose: - Io posso dartela ma tu sei pronto a riceverla?
Oh ragazzi, per la prima volta un uomo stava dicendo che lui aveva qualche cosa che io no potevo ricevere. Nessuno prima di allora aveva detto: - Io posso dartela - ma quest’uomo non solo diceva: - io posso dartela, ma dubitava pure che io potessi riceverla -
Io dissi a me stesso: - se c’è un individuo in questo mondo che può riceverla, quello sono io, visto che ho fatto così tanto cammino spirituale, (Sette anni di Sadhana 
(8)). Lui può pensare che io non posso prenderla, ma io posso prenderla. Se non posso riceverla io chi altri può riceverla? - Quello era il mio pensiero a quel tempo, sai, (ridendo), avevo molta auto stima.
Io non rimasi con lui, non lessi nessuno dei suoi libri, gli chiesi solo poche altre domande: - Si può essere liberi in maniera intermittente? –
Egli disse: - O sei libro o non lo sei affatto – Ci fu un’altra domanda che ora non ricordo a cui lui rispose: - non ci sono gradini che ti conducono là - Ma io ignoravo tutte queste cose e quella risposta non significò nulla per me.
Andandomene pensai: - quanto è arrogante mi chiede se io posso riceverla. Perché non dovrei poter riceverla, qualsiasi cosa sia? - Quella divenne la mia domanda, una domanda naturale. In quel modo la domanda formulava se stessa - Cos’era quello stato che tutta questa gente: Budda, Gesù ecc. avevano conseguito? Ramana è in quello stato? Si pensa di si, io non lo so, ma quell’uomo è un essere umano come me. In cosa differisce da me? –
Quello che gli altri dicevano, o quello che lui diceva non aveva peso per me. Io pensavo: - Tutti possono fare quello che lui fa. Cose c’è dunque di altro? Egli non può essere molto diverso da me. Anche lui è nato da genitori. Lui ha le sue idee particolari su queste cose. La gente dice che gli è successo qualche cosa, ma in che modo è diverso da me? Cose c’è in lui? Cos’è quello stato? - Quella era diventata la mia domanda fondamentale.
Quella domanda andò avanti e avanti dentro di me. - Io devo trovare quello stato. Nessuno me lo può dare, sta solo nelle mie mani. Devo andare in questo “mare sconosciuto” senza un compasso, senza una barca, senza neppure una zattera di salvataggio. Io devo trovare da solo qual è lo stato in cui quell’uomo è - “Volevo così intensamente questa cosa che avrei dato la mia vita per essa”.
(Verso i vent'anni U.G. si iscrisse all'Università di Madras dove studiò psicologia, filosofia, misticismo e scienze, ma non completò mai gli studi. Nel 1941 all'età di 23 anni iniziò a lavorare per la Società Teosofica e visitò la Norvegia, il Belgio, La Germania e gli Stati Uniti. Tornato in India sposò Kusuma Fumari, una donna di origine bramina).

 Il periodo di Londra
(Nel contempo U.G. viaggiava per tutto il mondo come conferenziere. Nel 1955 lui e sua moglie ed i 4 figli andarono negli Stati Uniti alla ricerca di una cura per il figlio più grande malato di “polio”. Nel 1961 i suoi soldi finirono ed egli sentì un tremendo sollievo che non poteva e non voleva controllare, la cosa durò per 6 anni e finì con la calamità, (come egli chiama il suo ingresso nello stato naturale). Il suo matrimonio si incrinò. Lui mise la sua famiglia su un aereo per l’India ed andò in Inghilterra. Arrivò là col cuore leggero ed iniziò a girare per la città. Per tre anni visse come un barbone vagabondando per le strade. I suoi amici lo vedevano andare in giro col capo basso, ma lui dice che a quei tempi la sua vita gli sembrava perfettamente naturale. Coloro che hanno una visione mistica di questi eventi hanno voluto descrivere quegli anni come: - l’oscura notte dell’anima – ma nel modo di vedere di U.G. non c’era nessuna lotta eroica contro la tentazione, nessun anima che lottasse contro gli istinti, nessun culmine poetico, ma semplicemente agiva in accordo al suo sentire).

Un giorno ero seduto in Hyde Park. Un poliziotto venne e mi disse: - Tu non puoi rimanere qui. Devi andare via - Dove sarei andato? Cosa avrei fatto? Non avevo soldi – pensai ho solo 5 penny nelle tasche ed un idea mi balenò nella testa: - vai alla missione di Ramakrishna - Era giusto un pensiero che nasceva dal nulla o dalle mie proiezioni, ma non avevo altra meta che vagabondare e quel pensiero era comparso spontaneamente, così presi la metropolitana fino al capolinea. Da lì procedetti a piedi fino alla missione per incontrare lo Swami. Chi mi ricevette mi disse che non potevo vederlo subito, erano le dieci di notte. Io dissi al segretario che dovevo vederlo in ogni caso. In qualche modo lui arrivò ed io gli diedi un album che conteneva informazioni sul mio passato. Le mie conferenze, i commenti del New York Times sulle mie conferenze e tutto il mio back ground. Per qualche motivo avevo tenuto quell’album che il mio manager aveva fatto fare per me in America. “Questo ero io e questo sono io ora”. Allora lui disse: - Cosa cerchi? – Io dissi: - vorrei andare nella sala di meditazione e rimanere là per tutta la notte. Egli disse: - quello non è possibile. Noi abbiamo una regola che non permette a nessuno di usare la sala di meditazione dopo le otto di sera - Risposi che allora non avevo nessun posto dove andare. Lui disse: - ti riserverò una stanza in albergo, stai in hotel per questa notte e domani torna qui – Così passai la notte in albergo.
Il giorno successivo tornai verso mezzogiorno. I monaci stavano mangiando e diedero il pranzo anche a me. Per la prima volta da tanto tempo facevo un pasto reale. Avevo persino perso l’appetito non sapevo più cosa fossero la fame o la sete.
Dopo pranzo lo Swami mi chiamò e mi disse: - Stavo cercando una persona esattamente come te. Il mio assistente, che faceva il lavoro editoriale, si è ammalato ed è in ospedale. Io devo redigere il numero che celebra il centenario di Vivekananda 
(9). Tu sei l’uomo giusto per raggiungere questo obbiettivo. Tu puoi aiutarmi. Gli risposi che non potevo più scrivere nulla. Magari ai tempi sapevo farlo ma ora ero un uomo finito. - Non posso esserle di aiuto in quel senso – Dissi e lui rispose: - no, no, no assieme possiamo fare qualche cosa –
Aveva disperatamente bisogno di qualcuno che ne capisse di filosofia indiana. Avrebbe potuto avere qualsiasi aiutante avesse voluto, ma egli disse: “no, no, no vai bene tu”. Riposati un po’; rimani qui, io mi prenderò cura di te – Gli risposi che non volevo un lavoro intellettuale. Gli dissi: - dammi una stanza ed io laverò i piatti, o farò qualche altra cosa ma non quel tipo di lavoro - Egli rispose: “no, no, no, ho bisogno di quello”, così io provai a fare qualche cosa, non per mia soddisfazione, non per soddisfare lui, ma in qualche modo, insieme, riuscimmo a completare il numero col centenario.
Spesso solevo sedermi nella sala di meditazione, sorprendendomi per quelle persone che meditavano. - Perché stanno tutti facendo cose così sciocche? - In quel periodo tutte le idee spirituali erano uscite dal mio pensiero. Ma io ebbi un’esperienza molto strana in quel centro di meditazione. Qualsiasi cosa fosse una mia proiezione o altro, i fatti sono questi: - per la prima volta io sentì una cosa particolare. Ero seduto, senza fare nulla, guardando, quasi con compatimento, gli altri che meditavano, quando sentii qualche cosa di molto strano. C’era qualche tipo di movimento dentro il mio corpo. All’improvviso sentii una specie di energia che si sprigionava dalla zone del pene ed usciva dalla testa come se ci fosse un buco. Si muoveva in circolo, in senso orario e quindi in senso anti-orario. Fu una cosa molto divertente ed io non la collegai a nulla di particolare. Mi consideravo finito. Qualcuno mi nutriva, qualcuno mi curava, non avevo nessun pensiero per il futuro, eppure dentro di me c’era ancora qualche cosa. Dopo tre mesi mi dissi: - devo partire, non posso fare questo tipo di cose – Per commiato lo Swami mi diede del denaro, 40 o 50 sterline ed io partii.
Avevo ancora il mio biglietto di ritorno in India, così andai a Parigi, e lo vendetti guadagnando un po’ di soldi perché era stato pagato in dollari. In tutto avevo circa 150 sterline. Rimasi a Parigi per tre mesi, girando per le strade come avevo fatto a Londra. L’unica differenza era che ora avevo qualche soldo in tasca. Ma lentamente i soldi finirono. Dopo tre mesi pensai che dovevo andare ma non volevo tornare in India. Per qualche motivo non ci volevo tornare. Per via della famiglia, dei bambini, mi spaventava l’idea di tornare in India, quello complicava la situazione, perché se tornavo loro sarebbero venuti da me. Finalmente mi ricordai di un vecchio conto che avevo in una banca Svizzera a Zurigo, e pensai che magari c’era ancora qualche soldo depositato. L’ultima risorsa era andare in Svizzera, prendere i soldi e vedere cosa sarebbe successo. Uscii dall’albergo, presi un taxi e dissi al conducente: - portami alla stazione di Lyon – Ma il treno da Parigi a Zurigo, partiva dalla stazione dell’Est, e non so perché gli avevo chiesto di portarmi alla stazione di Lyon, ma da lì presi un treno per Ginevra.

 Il periodo Svizzero
Arrivai a Ginevra con 150 Franchi da spendere e rimasi in albergo sebbene non avessi più soldi. Quando arrivò il conto dissi che non potevo pagare così la sola cosa che mi rimaneva da fare era andare al Consolato Indiano e chiedere che mi rimandassero in India. Capisci: - ero finito – Anche le mie resistenze a tornare in India erano finite così mi presentai al consolato con il mio Album con le mie referenze. C’era scritto: - uno dei migliori relatori che l’India avesse prodotto - con le opinioni di Norman Cousins 
(10) e di Radhakrishna sul mio talento. Il vice console disse: - Non possiamo mandarti in India a spese del governo indiano. Cerca di farti mandare dei soldi dall’India e nel frattempo vieni a stare da me. Così feci e fu al consolato che conobbi Valentie de Kerven (11). Lei faceva la traduttrice, ma quel giorno mancava l’addetta al ricevimento, e lei la sostituiva. Iniziammo a parlare e da lì diventammo molto amici. Lei disse: - se vuoi rimanere io posso trovarti una sistemazione. Non devi tornare in India se non ci vuoi andare – Dopo un mese il console mi mandò via, ma lei riuscì a sistemarmi in Svizzera. Lasciò il suo lavoro. Lei non è ricca, aveva solo pochi soldi di pensione, ma per noi erano sufficienti per vivere.
Quindi andammo a Saanen: Quel luogo aveva un significato per me. Io ero stato lì nel 1953 mentre stavo attraversando quelle zone con mia moglie. Ricordo che quando avevo visto questo posto, qualche cosa dentro di me disse: - scendi dal treno e rimani per un po’ qui - Così rimanemmo una settimana e ricordo che dissi a me stesso: - Questo è il luogo dove mi piacerebbe trascorrere il resto della mia vita – A quei tempi ero pieno di soldi, ma mia moglie non voleva stare in Svizzera, per via del clima e per via di molte altre cose che ci erano successe, così andammo in America. Ora quel sogno si stava realizzando. Andammo a Gstaad perché io avevo sempre voluto vivere lì. Poi 
J. Krishnamurti, per qualche motivo, scelse Saanen, per i suoi incontri estivi. Io vivevo là, non ero più interessato a lui e non ero più interessato a quel tipo di ricerca. Valentie, che era già con me prima del mio quarantanovesimo compleanno, può confermarti che non parlavo mai con lei di queste cose. –
Durante quel periodo (che io chiamo l’incubazione), dentro di me succedevano un mucchio di cose. – Avevo continui mal di testa, dolori terribili qui nel cervello. Non so quante migliaia di aspirine presi in quei tempi. Niente mi dava sollievo. Non era un’emicrania, un mal di testa comune. Era terribile. Pigliavo decine di aspirine e 15, 20 caffè ogni giorno per liberarmi dal dolore. Un giorno Valentie disse: - Ma come? prendi 20 caffè al giorno, sai che significa in termini di soldi? Sono tre o quattrocento franchi al mese. Non possiamo permetterceli – Ma era una cosa veramente terribile per me.
In ogni caso ricordo che in quel periodo mi succedevano un mucchio di stranezze. Ricordo che toccandomi il corpo si formava come una luminosità fosforescente. Valentie a volte usciva dalla stanza a vedere perché pensava che ci fossero i fari delle macchine che illuminavano la stanza. Ogni volta che andavo a letto c’erano queste scintille di luce, (ridendo), ed era così divertente per me. - Cos’era? – Era elettricità, per questo dico che il corpo umano è un campo elettromagnetico. All’inizio pensai che ciò dipendesse da ciò che indossavo che generava elettricità statica, ma poi smisi di usare indumenti sintetici. Ero un vero scettico ed eretico dalla testa ai piedi. Non credevo in nulla e anche se avessi visto un miracolo accadere davanti a me, non l’avrei accettato – questo era il mio sentire.
Nell’aprile del 1967 mi capitò di essere a Parigi, mentre anche J. Krishnamurti era là. Alcuni dei miei amici mi suggerirono di andare ad ascoltare il mio vecchio amico che era qui e stava tenendo i suoi discorsi. Pensai: – Ok – sono tanti anni che non lo sento, quasi venti anni, proviamo ad andare a sentirlo. Quando andai là mi chiesero due franchi per entrare. Io dissi: - non sono pronto a pagare due franchi per sentire J. Krishnamurti - Dissi ai miei amici, - andiamo a fare qualche cosa di più divertente – Così andammo alle 'Folies Bergere' a vedere uno spogliarello. In quel posto ebbi delle strane esperienze: - guardavo lo spettacolo e non sapevo se ero io che stavo danzando o se c’era la danzatrice fuori di me che danzava – Era una cosa molto strana, sentivo il movimento dentro di me (questa ora è diventata una cosa naturale). Non c’era divisione, non c’era nessuno che guardava la danzatrice. Questa esperienza particolare di assenza di divisione tra me e le danzatrici andò avanti per un po’ – poi noi uscimmo dal teatro.
La domanda “cos’è quello stato?” continuava ad avere un’intensità tremenda per me – non un’intensità emotiva. Più io mi sforzavo di trovare una risposta, più i miei tentativi erano frustrati e più l’intensità cresceva. Io uso spesso la similitudine della “paglia nel riso”. Se si da fuoco alla paglia presente nel riso, il fuoco continua ad andare avanti all’interno; dall’esterno non si vede nessun fuoco, ma se lo tocchi ti brucia. Esattamente allo stesso modo quella domanda stava andando avanti dentro di me. – Cos’è quello stato? Io devo raggiungerlo. – Krishnamurti aveva detto: - tu non hai possibilità – ma io continuavo a voler conoscere quella risposta. Volevo conoscere quello stato in cui furono Budda,
Shankara (12) e tutti gli altri maestri.
Poi, nel Luglio del 1967 subentrò un’altra fase. Krishnamurti era ancora in Saanen a tenere i suoi discorsi. I miei amici mi condussero là dicendo: - Ora l’ingresso è libero, perché non andare a sentirlo? – Acconsentii. Mentre lo ascoltavo ebbi la netta sensazione che lui stava descrivendo il mio stato e non il suo. Mi dissi: - Perché voglio conoscere il suo stato? Egli sta descrivendo qualche cosa, un movimento, una consapevolezza, un silenzio, affermando che in quel silenzio non c’è la mente, ma c’è solo azione. “Io sono in quello stato”. Cosa diavolo ho fatto in questi trenta, quaranta anni, stando a sentire tutte queste persone e struggendomi nel tentativo di capire il suo stato o lo stato di qualcun altro, fosse esso Budda o Gesù? Io sono in quello stato – Così uscii dalla tenda senza voltarmi più indietro.
Poi, molto stranamente, la domanda - “cos’è quello stato?” - si trasformo in un altra domanda: - Come faccio a sapere che sono in quello stato? Lo stato di Budda, quello stato che avevo voluto così tanto e di cui avevo chiesto a tutti? – mi dicevo: - io sono in quello stato. Ma come faccio a saperlo? –
 La calamità
Il giorno successivo, (era il quarantanovesimo compleanno di U.G.) ero seduto su di una panchina, sotto un albero e stavo guardando uno dei posti più belli di tutto il mondo, “i sette monti e le sette valli del Saanenland”. Ero seduto e non è esatto dire che avevo quella domanda, è più giusto dire che l’intero mio essere era quella domanda: - Come faccio a sapere che sono in quello stato? C’è qualche divisione dentro di me, come se ci fosse qualcuno che conosce di essere in quello stato. La conoscenza di quello stato. Quello che ho letto, quello che ho sperimentato, quello che ho sentito – E’ la stessa conoscenza che sta guardando quello stato ed è solo questa conoscenza che sta proiettando quello stato. Io dissi a me stesso. Guarda, vecchio mio, dopo 40 anni non ti sei mosso di un passo, sei sempre al punto di partenza. E’ la stessa conoscenza che hai delle cose che proietta la tua mente là quando tu chiedi queste domande. Sei nella stessa situazione e stai facendo le stesse domande: - Come faccio a saperlo? – Perché è la conoscenza della descrizione dello stato di quelle persone che ha creato questo stato per te. Stai imbrogliando te stesso. Sei un maledetto folle. Ma c’era ancora qualche sensazione che quello fosse realmente “lo stato”.
Per la seconda domanda “Come so che sono in questo stato?” non avevo nessuna risposta: era come un “loop” che continuava ininterrotto. Poi all’improvviso la domanda scomparve. Non successe nulla semplicemente la domanda scomparve. Io non dissi a me stesso: - mio dio ora ho trovato la risposta – Anche quello stato scomparve. L’idea di essere nello stato di Budda o di Gesù – era scomparsa. L’intera faccenda era finita per me e quello è tutto. Da quel punto in vanti io non dissi mai a me stesso: - ora ho la risposta a quelle domande – Tutto era finito. E non era il vuoto, il nulla, la vacuità, nessuna di queste cose. La domanda scomparve e quello è tutto.
(Secondo U.G. la sparizione della sua domanda fondamentale con la scoperta che non c’erano risposte, fu un fenomeno fisiologico, lui dice: - un’improvvisa esplosione interiore che fece esplodere ogni cellula, ogni nervo, ogni ghiandola nel suo corpo. E con quell’esplosione l’illusione che vi fosse continuità nel pensiero e che ci fosse un centro che coordinava il tutto e collegava i pensieri, scomparve.)

A quel punto il pensiero non poteva più essere collegato. I collegamenti erano rotti per sempre. La continuità era finita ed il pensiero aveva ripreso il suo ritmo naturale. Ora non ho più domande perché non c’è più posto per le domande dentro di me. Le domande che ho ora sono molto semplici. Ad esempio: - Qual’è la strada per Hyderabad? – cioè le domande per funzionare in questo mondo. E le persone hanno le risposte per questo tipo di domande. Per quell’altro tipo di domande nessuno ha le risposte e siccome non esistono le risposte, non esistono neppure le domande.
Nel mio cervello non c’è più spazio per nulla. Per la prima volta diventai cosciente della mia testa con tutte le cose ammassate in essa. Queste “vasana”, 
(13) (le impressioni passate), o comunque vogliate chiamarle, provano a mostrarsi qualche volta, ma le cellule cerebrali sono così “ammassate” che non gli danno l’opportunità di mostrarsi. La dualità, la divisione, non può più esistere. E’ un’impossibilità fisica, non c’è nulla da fare riguardo a questo. Questo è il perché io affermo che quando quell’esplosione avviene, (uso la parola esplosione perché è come un’esplosione nucleare), produce una reazione a catena. Ogni cellula nel vostro corpo, le cellule nel centro stesso delle vostre ossa, devono subire questo “cambiamento”. Non vorrei usare la parola cambiamento, ma è un cambio irreversibile. Non esiste il dubbio di tornare indietro. Non c’è il dubbio di ri-cadere, è un qualche tipo di alchimia assolutamente irreversibile.
E’ come un’esplosione nucleare, vedi – Frantuma il corpo intero. Non è una cosa facile; è la fine dell’uomo – Un “distruzione” che fa saltare ogni cellula, ogni nervo, ogni atomo, nel vostro corpo.

Brani stralciati da: www.well.com/user/jct/mystiq1.htm e tradotti da Pierluigi Piazza


http://www.riflessioni.it/enciclopedia/u-g-krishnamurti.htm

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