SIAMO SCHIAVI DI SCHEMI MENTALI IMPRESSI NELLA TESTA E ABBIAMO PAURA DI CAMBIARLI

Crediamo di essere liberi. Ma non lo siamo affatto. Siamo schiavi. Lo so: stai pensando che sei schiavo del lavoro. Del tuo capo. Dell’ufficio. Dell’azienda. Del sistema. Delle banche. Del fisco. Della famiglia. Dei tuoi mille obblighi professionali, sociali e familiari… Ma c’è un’altra schiavitù, ben peggiore e molto più subdola. Una schiavitù di cui non ti rendi conto. E di cui ti esorto a prendere consapevolezza. Ci sono catene che ti tengono prigioniero senza che tu nemmeno te ne accorga. E non puoi diventare la persona che desideri essere, né avere ciò che desideri possedere, se non te ne liberi.
Si tratta delle catene degli schemi mentali che da anni, forse da sempre, hai impressi nella testa. Sono modelli di comportamento marchiati a fuoco; non sulla tua pelle, ma nel tuo animo. Sei, siamo tutti programmati per comportarci in un certo modo. Per agire in un certo modo. E per reagire in un certo modo. E il momento in cui ce ne accorgiamo è il momento in cui iniziamo a piegare le sbarre della gabbia in cui ci siamo lasciati rinchiudere.
Sei perplesso? Qualche esempio, tratto dalla mia esperienza familiare, ti chiarirà il concetto. E sono certo che conosci famiglie in cui è capitato qualcosa di simile. Mia madre è stata molto dura con me quando ero bambino: mi picchiava quando non prendevo bei voti. O quando non facevo bene il letto. O lasciavo sporco il bagno. O arrivavo a casa in ritardo. Mi amava. Tantissimo. E lo faceva per amore. Ma il suo era un amore che si esprimeva in forme sbagliate. Perché? Perché suo padre, a sua volta, era stato severissimo con lei. La prendeva a cinghiate ogni volta che sbagliava. Anche lui per amore. Convinto che fosse il modo migliore per educare i figli. Perché? Ormai hai capito l’antifona: perché suo padre, il nonno di mia madre e mio bisnonno, era stato un cerbero con lui. In quanto suo padre, a sua volta… e così via, fino a chissà quale generazione.
Alcuni dei nostri comportamenti avevano una loro spiegazione nel momento in cui vennero adottati, ma l’hanno persa nel tempo. Eppure continuiamo a seguirli. Per abitudine. Per pigrizia. Per paura di cambiare. Per rispetto ad antiche tradizioni, e alle autorità che ne impongono l’osservanza. Accade nelle religioni. Nei costumi popolari. Nelle liturgie. E anche nelle famiglie. Subito dopo le nozze, una volta trasferito nella nuova casa, un marito nota che la moglie taglia le due estremità dell’arrosto, la testa e la coda, prima di metterlo in forno a cucinare. Le chiede il perché. Lei gli risponde che lo faceva sua madre. Incuriosito, il marito telefona alla suocera. La quale, a sua volta, dice che lo faceva sua madre. Sempre più perplesso, e desideroso di chiarire un mistero intergenerazionale, il marito chiama la nonna della sposa. E lei: “Da giovane tagliavo la testa e la coda dell’arrosto perché il mio forno di allora era troppo piccolo per contenerlo tutto“.

Di Mario Furlan

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