lunedì 26 giugno 2023

La storia di Ali e della sfida con Foreman




Quella notte, Muhammad Ali ha paura.
È il 30 Ottobre 1974 e deve salire sul ring di Kinshasa, Zaire, e sfidare il campione del mondo dei pesi massimi George Foreman, più alto di 2 centimetri, più pesante di molti chili, più giovane di 7 anni e imbattuto.
Foreman viene da 40 vittorie su 40 incontri e i suoi colpi disintegrano gli avversari in poche riprese, tanto che il pubblico lo considera noioso, perché polverizza i rivali.
Se Ali sembra danzare sul ring, George è un picchiatore puro, si muove poco, ha la testa ferma e spara pietre di pugni.
Tutti gli Stati Uniti amano “Big George” Foreman, ex ragazzo rissoso convertito alla disciplina del ring.
Lo amano anche i bianchi, perché Foreman è il pugile nero che non parla di politica e schiavitù e guerra, fiero del suo essere americano. Foreman è il “nero buono” che vince per gli U.S.A., Ali è il “nero ribelle” che si chiamava Cassius Clay ma ha rifiutato il suo cognome "da schiavo". Ha preso un nome musulmano e rifiutato di combattere inl Vietnam.
“Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro” ha dichiarato e come disertore ha perso il titolo, costretto a 5 anni di stop nel momento migliore della sua carriera.
Per questo, al ritorno sul ring, Ali ha imposto di combattere in Africa, per trasformare un semplice incontro di pugilato in una sfida simbolica e mostrare agli americani che in Africa ci sono esseri umani come loro, persone che organizzano eventi, vivono, odiano, amano come tutte le altre.
Il match viene soprannominato “Rumble in the jungle” e si combatte alle quattro di notte, come in una rissa di strada.
Prima della sfida Ali ostenta sicurezza, provoca.
“Foreman non è nessuno. Non ha la minima chance. È un vecchio bulletto del Texas troppo cresciuto”.
In realtà Ali è consapevole della forza devastante del rivale e delle limitate possibilità di vincere.
Il suo team ha persino preparato una fuga in aereo per la Francia per curarlo subito, se le ferite riportate fossero troppo gravi.
Già al primo round Muhammad si rende conto che i colpi di Foreman sono ancora più micidiali del previsto, bordate da staccarti la testa o spezzarti le costole o un braccio.
Non solo, Foreman non è lento come pensava e Ali non può danzare come vorrebbe. Foreman gli toglie spazio e comandare la sfida. È solo questione di tempo per perderla.
Allora Muhammad decide di usare la forza di George contro George.
Di assecondarlo.
Se Foreman vuole tartassarlo di colpi lo farà, ma Ali cercherà di usarli a suo vantaggio per farlo stancare. Per incassare l’urto di quelle bombe, Ali sceglie di sfruttare le corde del ring come un elastico contro cui dondolarsi e attutire gli impatti.
E così si chiude, incassa, il corpo che rimbalza sulle corde.
Foreman continua a colpire e colpire, ma non riesce a mandare giù Ali,
George picchia più forte che può, ma – con il passare dei minuti - si innervosisce, si stanca.
Alla quinta ripresa Ali resiste a una spaventosa serie di ganci ai fianchi e poi contrattacca con una sequenza di diretti.
Alla sesta ripresa il diretto sinistro di Ali si abbatte sulla testa di Foreman che inizia a soffrire.
“È tutto qui quello che sai fare?” lo provoca Ali.
All’ottava ripresa Foreman prova la carta della disperazione e si scaglia su Ali come un toro, menando mazzate tremende, ma ormai il colosso è sfiancato, ha perso lucidità.
Pochi secondi prima che finisca il round, George finalmente scopre la guardia e Ali riesce a centrarlo alla testa.
Il gigante barcolla, si piega ed è chiaro che ormai sta crollando al tappeto.
Muhammad si avvicina ancora, carica il destro per scagliarlo sul viso ormai senza guardia di Foreman che sta proprio di fronte al suo guantone.
Ma non lo fa, trattiene il braccio e questo pugno che non mette a segno volutamente, forse, certifica più di tutti gli altri la sua grandezza.
Un attimo dopo, George Foreman crolla a tappeto, senza rialzarsi.
Ali è di nuovo campione del mondo, la folla impazzita lo porta in trionfo mentre su Kinshasa si abbatte un diluvio.
Muhammad, dopo l’incontro, scompare.
Nessuno sembra in grado di trovarlo, si vocifera sia già fuggito verso gli Stati Uniti.
Il primo giornalista che lo incontra lo ritrova quasi all’alba, nella notte africana, fuori dalla villa in cui alloggia, solo, senza staff, senza interviste o macchine fotografiche.
Sta semplicemente giocando con alcuni bimbi zairesi.
“Non ci sarà mai nessuno come lui” pensa il giornalista vedendo la scena.
E, forse, è proprio così.
Quanto a Foreman, esce distrutto dalla sconfitta.
Odia Ali, arriva ad accusarlo di aver fatto allentare le corde per batterlo, rivela tutta la sua fragilità e cade in depressione: senza il titolo di campione del mondo non sa più chi è e cosa fare della sua vita.
Si consola con sesso, auto lussuose, case, animali feroci comprati per diletto.
Combatte ancora, vince ancora, poi perde da un buon pugile poco noto, Jimmy Young
Ma negli spogliatoi ha un malore, si sente mancare.
Dice di trovarsi in un posto di disperazione e assenza, sospeso tra vita e morte. In quel posto sente la voce di Dio che gli chiede di cambiare la sua vita.
Il tremendo George Foreman si mette a baciare tutti in bocca negli spogliatoi e poi smette di combattere, si converte alla fede come “cristiano rinato”), predica per le strade, diventa ministro di culto, apre un centro per aiutare giovani con gravi problemi.
Per dieci lunghi anni Foreman si dedica ad aiutare gli altri e mantenere come imprenditore (produce una griglia per carne portatile, la "George Foreman's Grill) la sua numerosa famiglia che arriverà a 12 figli. Cinque maschi chiamati, modestamente, Georg
Poi, a 38 anni, Foreman torna sul ring affermando che la fede gli ha fatto capire che anche la boxe può essere un modo di onorare il Signore; secondo alcuni maligni sono egli ingaggi e le difficoltà finanziarie.
Big George compie un’incredibile ascesa e torna campione a 45 anni, 20 anni dopo la sua sconfitta con Ali.
“Ero diventato più consapevole, meno animale. Era come se avessi imparato da Alì a danzare anche io”.
Smette definitivamente a 48 anni con una carriera strabiliante alle spalle, e la sua griglia per carne vende milioni di pezzi.
La rivalità con Ali, viene cancellata già sul finire degli anni 70 da lunghe telefonate in cui si parla di boxe, ritorno sul ring, del Cristianesimo di George e l’Islam di Ali.
Alla notte degli Oscar del 1996 George Foreman accompagna il suo grande rivale Mohammad Ali indebolito dal Parkinson, aiutandolo a salire i gradini che li conducono sul palco.
“Ali è una persona e un uomo straordinario. Il più grande di tutti. Ho perso da un campione immenso. Non è più un nemico. Condannandomi, mi ha fatto rinascere”.
____
La storia di Ali e della sfida con Foreman, qui riportata in versione molto ridotta, è una delle venti contenute nel mio libro "Abbiamo toccato le stelle - Storie di campioni che hanno cambiato il mondo" uscito per Rizzoli, nel 2018.
Il libro è attualmente a circa dieci edizioni stampate. Si può ancora trovare in libreria oppure on line:
ROMANZO A DUE.
In realtà, quella notte, Muhammad Ali ha paura.
È il 30 Ottobre 1974 e deve salire sul ring di Kinshasa, Zaire e sfidare il campione del mondo dei pesi massimi George Foreman che è più alto di 2 centimetri, più pesante di diversi chili, più giovane di 7 anni e non ha MAI perso in carriera.
Foreman viene da 40 vittorie su 40 incontri e i suoi colpi micidiali disintegrano gli avversari in poche riprese, tanto che il pubblico lo considera noioso, perché ci mette troppo poco a polverizzare i rivali.
Se Ali si muove tanto sul ring e sembra danzare, George è un picchiatore puro, si muove poco, ha la testa ferma e spara pietre di pugni.
Tutti gli Stati Uniti amano “Big George” Foreman, ex ragazzo rissoso convertito alla disciplina del ring.
Lo amano anche i bianchi, perché Foreman è il pugile nero che non parla di politica e schiavitù e guerra, che è fiero del suo essere americano. Foreman è il “nero buono” che vince per gli Stati Uniti, Ali è il “nero ribelle”, è un ragazzo che si chiamava Cassius Clay ma ha rifiutato il suo cognome "da schiavo". Ha preso un nome musulmano e rifiutato di combattere in Vietnam.
“Nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro” ha dichiarato e come disertore ha perso il titolo ed è stato costretto a 5 anni di stop.
Il pugile migliore del mondo fermato nel momento migliore della sua carriera.
Per questo, al ritorno sul ring, Ali ha imposto di combattere in Africa, per trasformare un semplice incontro di pugilato in una sfida simbolica tra idee del mondo, per mostrare agli americani che in Africa ci sono esseri umani come loro, persone che organizzano eventi, vivono, odiano, amano come tutte le altre.
Il match viene soprannominato “Rumble in the jungle”, “Rissa nella giungla” e si combatte alle quattro di notte, come in una rissa di strada.
Prima della sfida Ali ostenta sicurezza, provoca il rivale.
“Foreman non è nessuno. Non ha la minima chance. È un vecchio bulletto del Texas troppo cresciuto”.
In realtà, appunto, Ali è ben consapevole della forza devastante del rivale e delle limitate possibilità che ha di vincere.
Il suo team ha persino preparato una fuga in aereo per la Francia per curare subito Muhammad, se le ferite riportate fossero troppo gravi.
Già al primo round Muhammad si rende conto che i colpi di Foreman sono ancora più micidiali del previsto, bordate da staccarti la testa o spezzarti le costole o un braccio.
Non solo, Foreman non è lento come pensava e Ali non può danzare come vorrebbe. Foreman riesce a togliergli spazio e comandare la sfida. Sarà solo questione di tempo per perderla.
Allora, dopo questo primo round di sofferenza immediata, Muhammad decide che deve usare la testa contro l’invincibile George.
Assecondarlo.
Se Foreman vuole tartassarlo di colpi lo farà, ma Ali cercherà di usarli a suo vantaggio. Di incassarli e farlo stancare. E per reggere l’urto di quelle bombe, Ali può sceglie di sfruttare le corde del ring come un elastico contro cui dondolarsi e attutire gli impatti.
E così Ali si chiude, incassa, il corpo che rimbalza sulle corde.
Foreman continua a colpire e colpire, ma non riesce a mandare giù Ali,
George picchia più forte che può, ma – con il passare dei minuti - si innervosisce, si stanca.
Alla quinta ripresa Ali resiste a una spaventosa serie di ganci ai fianchi e poi contrattacca con una sequenza di diretti.
Alla sesta ripresa il diretto sinistro di Ali si abbatte sulla testa di Foreman che inizia a soffrire.
“È tutto qui quello che sai fare?” lo provoca Ali.
All’ottava ripresa Foreman prova la carta della disperazione e si scaglia su Ali come un toro, menando mazzate tremende, ma ormai il colosso è sfiancato, ha perso lucidità.
Pochi secondi prima che finisca il round, George finalmente scopre la guardia e Ali riesce a centrarlo alla testa.
Il gigante barcolla, si piega ed è chiaro che ormai sta crollando al tappeto.
Muhammad si avvicina ancora, carica il destro per scagliarlo sul viso ormai senza guardia di Foreman che sta proprio di fronte al suo guantone.
Ma non lo fa, trattiene il braccio e questo pugno che non mette a segno volutamente, forse, certifica più di tutti gli altri la sua grandezza.
Un attimo dopo, George Foreman crolla a tappeto, senza rialzarsi.
Ali è di nuovo campione del mondo, la folla impazzita lo porta in trionfo mentre su Kinshasa si abbatte un diluvio.
Muhammad, dopo l’incontro, scompare.
Nessuno sembra in grado di trovarlo, si vocifera sia già fuggito verso gli Stati Uniti.
Il primo giornalista che lo incontra lo ritrova quasi all’alba, nella notte africana, fuori dalla villa in cui alloggia, solo, senza staff, senza interviste o macchine fotografiche.
Sta semplicemente giocando con alcuni bimbi zairesi.
“Non ci sarà mai nessuno come lui” pensa il giornalista vedendo la scena.
E, forse, è proprio così.
Quanto a Foreman, esce distrutto dalla sconfitta che la ha reso umano.
Odia Ali, arriva persino ad accusarlo di aver fatto allentare le corde per batterlo, rivelando tutta la sua fragilità, cade in depressione: senza il titolo di campione del mondo non sa più chi è e cosa fare della sua vita.
Lontano dai ring si consola con sesso, auto lussuose, case, animali feroci comprati per diletto.
Combatte ancora, vince ancora, poi perde da un buon pugile poco noto, Jimmy Young
Ma negli spogliatoi ha un malore, si sente mancare.
Dice di trovarsi in un posto di disperazione e assenza, sospeso tra vita e morte. In quel posto sente la voce di Dio che gli chiede di cambiare la sua vita.
Il tremendo George Foreman si mette a baciare tutti in bocca negli spogliato, smette di combattere, si converte alla fede come “cristiano rinato”), predica per le strade, diventa un ministro di culto, apre un centro per aiutare giovani con gravi problemi.
Nelle interviste George spiega che, in quell’ultimo incontro, il suo rivale Young ha cacciato via a pugni il Diavolo da lui.
Per dieci lunghi anni Foreman si dedica ad aiutare gli altri e mantenere come imprenditore (produce una griglia per carne portatile, la "George Foreman's Grill) la sua numerosa famiglia che arriverà a 12 figli. Cinque maschi chiamati, modestamente, George.
Poi, a 38 anni, arriva la notizia incredibile: Foreman torna sul ring affermando che la fede gli ha fatto capire che anche la boxe può essere un modo di onorare il Signore; secondo alcuni maligni sono le promesse degli ingaggi e le difficoltà finanziarie..
Big George compie un’incredibile ascesa che lo porta a battere Moorer e tornare campione del mondo a 45 anni, 20 anni dopo la sua sconfitta con Ali.
“Ero diventato più consapevole, meno animale. Era come se avessi imparato da Alì a danzare anche io”.
Smette definitivamente a 48 anni con una carriera strabiliante alle spalle per risultati e longevità, considerato uno più grandi pugili di sempre (e la sua griglia vende milioni di pezzi!)
La rivalità con Ali, viene cancellata già sul finire degli anni 70 dall'appoggio che Ali offre al suo ex rivale per quel ritorno sul ring che avverrà anni dopo.
Da quel momento in poi ci sono altre telefonate, incontri e lunghe conversazioni sul Cristianesimo di George e l’Islam di Ali, trasformando la rivalità in affetto.
Alla notte degli Oscar del 1996 George Foreman accompagna il suo grande rivale Mohammad Ali ormai indebolito dal Parkinson, aiutandolo a salire i gradini che li conducono sul palco.
“Ali è una persona e un uomo straordinario. Il più grande di tutti. Ho perso da un campione immenso. Non è più un nemico. Condannandomi, mi ha fatto rinascere”.
____
La storia di Ali e della sfida con Foreman, qui riportata in versione molto ridotta, è una delle venti contenute nel mio libro "Abbiamo toccato le stelle - Storie di campioni che hanno cambiato il mondo" uscito per rizzoli

 

Aggiungi al carrello