LA FORNERO VIVE SU MARTE

Marco Cedolin

Quando si ascoltano le esternazioni dei ministri delgoverno Monti, molto spesso si ha la sensazione che le loro parole non provengano dallo stesso luogo in cui tutti noi con alterne fortune trasciniamo le nostre esistenze, ma da qualche lontano angolo della galassia o da uno dei milioni di mondi alternativi che popolano il transfinito.
Il ministro Elsa Fornero in particolare non manca occasione per dimostrare di vivere in un mondo tutto suo, evidentemente alieno a noi comuni mortali, popolato da creature mitologiche che neppure ci è dato immaginare.
Già da un paio di settimane, con l'evidente proposito di arricchire la propria saga, lacrima Fornero sta sommessamente proponendo a più riprese il ripensamento delle curve salariali, in funzione dell'età dei lavoratori......


Sostenendo d'ispirarsi al modello tedesco (anche in questo caso un universo che ci è alieno) la Fornero ritiene che i salari dovrebbero essere commisurati alla produttività del lavoratore e pertanto seguire una curva che raggiunge il proprio acme fra i 35 ed i 45 anni, per poi scendere gradualmente fino al momento della pensione, ormai collocata da ella stessa al limite della terza età.
In parole povere, prendendo ad esempio una creatura estinta da tempo, se una persona iniziasse a lavorare a 20 anni, per concludere la propria carriera a 65 (o 70?) la propria retribuzione sarebbe bassa all'inizio, in quanto l'inesperienza è indice di scarsa produttività, per poi salire gradualmente fino a raggiungere un tetto massimo intorno ai 40 anni, quando la produttività è al massimo, e poi ridiscendere di pari passo con l'età, fino a ritornare ad un pugno di euro quando la senescenza avrà intaccato in profondità le capacità produttive.


Lasciando perdere qualsiasi parallelismo con la Germania, dal momento che sarebbe esercizio privo di costrutto estrapolare e comparare singoli elementi di due sistemi lavoro assolutamente non assimilabili fra loro, quello che più colpisce in una proposta di questo genere è il pressapochismo che sta alla base del ragionamento e il non sense costituito dal ragionare in termini di ordinata matematica, all'interno di un mondo del lavoro che si è voluto trasformare in un caos privo di cordinate e di qualsivoglia ordine.


Il pressapochismo appare evidente nella presunzione di disegnare con fare meccanicistico presunte curve di produttività, senza tenere conto del fatto che si sta dissertando di esseri umani (con tutte le proprie peculiarità) e non di automobili e di un'infinità di mestieri, nell'ambito di ciascuno dei quali i lavoratori "renderanno" per forza di cose in maniera differente in funzione dell'età.
Un calciatore a 36 anni è alla fine della propria carriera, perché ha ormai perso l'agilità dei 20 anni, ma un avvocato di 60 anni spesso è all'apice della propria carriera, grazie all'esperienza maturata. Così tutti coloro che svolgono lavori dove è indispensabile la prestanza fisica potranno perdere qualche colpo con l'avanzare dell'età (in parte compensato dall'esperienza acquisita), al contrario di chi è impiegato in un mestiere dove l'esperienza ed il pelo sullo stomaco costituiscono un valore aggiunto assolutamente determinante.
Ammesso e non concesso che esista una curva standard di produttività per gli uomini, così come per le macchine, questa sarebbe insomma giocoforza differente a seconda del mestiere preso in considerazione. Ipotizzare una curva di produzione generalista ed adeguare ad essa le retribuzioni, oltre che un esercizio dissennato, rappresenterebbe la fonte di sperequazioni che non avrebbero assolutamente senso di essere


Il non sense si può apprezzare facilmente soltanto dando uno sguardo a quello che oggi in Italia è il mondo del lavoro.
Se escludiamo le generazioni del posto fisso, destinate ad estinguersi di pari passo con il loro pensionamento, oggi ipotizzare un percorso di lavoro continuativo per 45 anni sarebbe esercizio di pura follia. Il giovane generalmente esce dall'università quando già è vicino ai 30 anni (e la sua produttività dovrebbe essere in piena fase d'incremento) e privo di qualsiasi esperienza inizia a cimentarsi con lavori precari di vario genere, ciascuno dei quali con retribuzioni che certo non dipendono dalle disposizioni del governo, bensì dal fatto che viene ritenuto un incapace e lavoro non ce n'è. Superati i 30 anni (quando la sua produttività dovrebbe giungere al massimo) continua a confrontarsi con occupazioni a singhiozzo che non gli permettono di costruirsi una famiglia e neppure di accumulare esperienza di rilievo in un campo di competenza specifico. Arrivati a 50 anni continueranno ad inseguire qualche lavoretto a termine, sgrufolando a fatica fra le pieghe del precariato, senza neppure la prospettiva di godere un giorno della pensione, dal momento che il ministro Fornero l'ha eliminata, subordinandola a 45 anni di lavoro continuativo.


E le curve? E la produttività? Tutte ad albergare all'interno di quella lacrima di cui la Fornero ci ha fatto dono, stropicciandosi gli occhi su Marte, là dove vive, insieme alla famiglia ed al governo di suoi pari.

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