L'alcol è un incubo Ma la vera droga sono le nostre ansie
Bellocchio racconta il fondo della bottiglia e ci ricorda che tutti siamo prigionieri di riti, sostanze e persone..
«Sono un alcolizzato, sono un tossicodipendente, sono un omosessuale e sono un genio» disse Truman Capote senza farla tanto lunga. Mentre lunga sarebbe la lista di scrittori e artisti dipendenti da sostanze varie.
Baudelaire da alcol e oppiacei, come Cocteau, Stephen King dalla cocaina, William Borroughs dall'eroina, e via elencando. L'alcol, soprattutto, è la forma di dipendenza più diffusa, da Edgar Allan Poe a Dorothy Parker, da Charles Bukowsky a Michel Houellebecq. Nella musica poi non ne parliamo, se non sei drogato che rockstar sei?
Nel suo piccolo Violetta Bellocchio (non lasciatevi ingannare dal cognome credendo sia un'omonimia, è la nipote di Marco Bellocchio), ha appena pubblicato un memoir intitolato Il corpo non dimentica, nel quale racconta i suoi tre anni da alcolista. Pubblicato da Mondadori nella collana Strade Blu (blu come la blu sky, la metanfetamina «cucinata» da Walter White in Breaking Bad) voi direte: ma che ce ne frega della Bellocchio? Invece è un libro divertente. Dovrebbe essere tragico ma, perdonatemi, non ci riesco. La verità è che leggere delle dipendenze altrui rallegra e consola dalle proprie, e quindi, finché la Bellocchio soffre, non annoia. Tuttavia non ci sono solo le dipendenze da sostanze varie, sebbene nella nostra cultura il concetto di «dipendenza» sia guardato con sospetto moralistico a prescindere. Eppure senza dipendenza, dalle cellule procariotiche all'uomo, non c'è vita. Spesso non c'è neppure lavoro, chiamato appunto lavoro dipendente. Per questo ci è simpatico Doctor House, dipendente dalla Cuddy ma anche dal Vicodin (quanto Sherlock Holmes dalla cocaina), e ci piace perfino Dexter, dipendente dagli omicidi.
Mia madre dice sempre di non prendere ansiolitici e antidepressivi perché creano dipendenza, come se la serotonina non fosse una dipendenza naturale e la sua mancanza non portasse alla depressione naturale. Le mie amiche donne guardano la Xbox con sospetto («Sei dipendente dai videogiochi»), come se ci fossero altri modi più economici di poter essere Batman. Tanto ho l'alibi di essere uno scrittore, sono strumenti di lavoro, volendo mi scarico dalle tasse anche la tv via cavo. E poi, sinceramente, se togliamo le dipendenze, cosa ci resta? Restano le cose che facciamo ogni tanto perché non sono abbastanza interessanti da farle sempre.
Per esempio sui pacchetti di sigarette si legge «il fumo crea dipendenza» e non ho mai capito se è un avvertimento negativo o positivo, io d'istinto penso: fico. Invece la più bella risposta sul fumare l'ho avuta da Vittorio Feltri, quando gli ho chiesto: «ma quante sigarette fumi?», e lui «più che posso». Fumare fa male? Eppure si è dipendenti dal cibo e dall'ossigeno, ma nessuno ci dice di smettere di mangiare e di respirare. Il cibo e l'ossigeno non uccidono? Lo dite voi, a lungo termine tutto uccide. Più respirate, più invecchiate, tanto varrebbe non nascere. Infatti per Leopardi «è funesto a chi nasce il dì natale», quindi era contro le dipendenze, praticamente un salutista. Tra parentesi, oltre che da Ranieri, Giacomo era dipendente dai gelati, ma è morto di colera a Napoli (vedi Napoli e poi muori).
Intorno ho solo amici dipendenti da qualcosa, per fortuna. Alessandro Gnocchi è dipendente dalla musica rock, per un disco potrebbe uccidere. Antonio Franchini dalle arti marziali, se ogni giorno non picchia qualcuno in palestra sta male. Mario Desiati è dipendente dalla Puglia, poveretto. Il critico d'arte Gianluca Marziani è talmente dipendente dal suo feticismo che il suo account su Instagram sembra un negozio di scarpe femminili. Fulvio Abbate è dipendente dai video su Youtube di Fulvio Abbate, è quello messo peggio di tutti.
Gli sportivi e i religiosi, che non frequento, sono dipendenti rispettivamente dall'attività fisica (libera endorfine) e dalle preghiere rivolte ai propri idoli immaginari, e ormai tutti siamo dipendenti da Google, Facebook, Whatsapp e Twitter, non per altro io quando vado in un posto chiedo «C'è il wifi?», se non c'è non ci vado. Posso fare a meno della rete del letto ma non della rete di internet. Ci sono quelli, pochi, tipo Moresco e Coetzee, senza cellulare e senza mail, in realtà sono dipendenti dall'idea di non essere dipendenti dalla tecnologia, una schiavitù.
E l'amore? Non è una dipendenza? Andatelo a dire al giovane Werther, o a Madame Bovary, o a quei due tristissimi sfigati di Renzo e Lucia. E chissà quanta ossitocina e dopamina aveva in circolo il povero Don Rodrigo. Al cuor non si comanda, proprio perché è una droga potentissima. Per la verità non si comanda neppure al pene, ma se dici a una femminista che ti eccita senza amarla ti querela. Infine la mia psichiatra mi ha guardato male quando le ho chiesto se, per caso, non mi poteva prescrivere un inibitore selettivo della ricaptazione della dopamina, insomma volevo solo innamorarmi senza dover fare la fatica di sopportare una donna. A proposito, c'è la dipendenza dalla pornografia. Che però, tra tutte, è la più salutare: statisticamente uccide meno della dipendenza da una moglie.
Che stile! Davvero esilarante..., di più, travolgente... Poverino, lavora con sallusti e feltri e deve guardarsi allo specchio tutti i giorni, bisogna pur comprendere la frustrazione... E così gliele canta lui, con la pungente ironia del castrato in nuce. Averne amici così per imparare ad apprezzare la solitudine!!!
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