LA FILOSOFIA JEDI E LE TEORIE DELLA FISICA QUANTISTICA

La Forza è stata descritta nei film come un “campo di energia” che permea l’universo, presente in tutti suoi elementi, dagli esseri viventi agli alberi alle pietre. Curiosamente, questo campo di energia sarebbe costituito dai “midichlorian”, corpuscoli la cui presenza in misura maggiore alla norma in un essere vivente permette ad esso di controllare la Forza e diventare un Jedi. Naturalmente Lucas ha inserito quest’ultimo concetto solo nel 1999 con La Minaccia Fantasma allo scopo di ridurre l’appeal metafisico della filosofia Jedi; ma il fatto che la Forza sia al contempo un campo di energia e un’insieme di particelle (molecole? cellule? componenti subatomici?) non costituisce di per sé un paradosso. Tutti coloro che hanno studiato elementi di fisica alle scuole superiori sanno che la luce ha una natura molto particolare, caratterizzata dalla cosiddetta “dualità onda-particella”: essa assume comportamenti descrivibili a volte come l’effetto di un’onda a volte come l’effetto di un insieme di particelle definite “fotoni”, ossia quanti di luce, pacchetti di energia. La luce è entrambe le cose e nessuna di esse: assume una delle due caratteristiche a seconda della strumentazione usata per osservarla. Questo fenomeno caratterizza tutte le particelle elementari (elettroni, protoni ecc.). Il paradigma olistico, teorizzato da fisici quali David Bohm e Frijiof Capra, è una visione particolare della realtà che può essere sintetizzata dall’affermazione di Bohm: “La parte nel tutto, il tutto nella parte”. In un suo articolo del 1975, Bohm scrisse: «Si è condotti a una nuova concezione di totalità ininterrotta che nega l’idea classica della possibilità di analizzare il mondo in parti esistenti in maniera separata e indipendente… Anzi, diciamo che la realtà fondamentale è l’inseparabile interconnessione quantistica di tutto l’universo e che le parti che hanno un comportamento relativamente indipendente sono solo forme particolari e contingenti dentro a questo tutto». Ci si può quindi rendere conto che il paradigma olistico – o “paradigma olografico” perché ispirato alla tecnica degli ologrammi – considera l’universo come una sorta di tutto indifferenziato costituito non dalle sue singole parti (quark e altre particelle subatomiche) ma dalle interazioni tra di esse. Il celebre discorso di Yoda ne L’Impero Colpisce Ancora fa riferimento a questa teoria già sostenuta dalla filosofia taoista a cui la meccanica quantistica ha conferito una robusta dignità scientifica





Dai tempi di Einstein, il “santo Graal” della fisica contemporanea consiste nella tanto sospirata “Teoria del Tutto”. Essa consisterebbe in una teoria capace di riassumere tutte le forze fondamentali della natura, che sono quattro: forza elettromagnetica, forza nucleare debole, forza nucleare forte, forza di gravità. Queste quattro forze sono i collanti dell’universo, nel senso che riescono a spiegare le interazioni tra tutte le parti che lo costituiscono. La forza elettromagnetica spiega le interazioni tra cariche elettriche e magnetiche; la forza nucleare debole lega i leptoni e i quark, cioè le particelle subatomiche; la forza nucleare forte è quella che lega insieme i costituenti del nucleo atomico; la forza di gravità lega tutti i corpi dotati di massa, dai granelli di sabbia alle galassie. Gli sforzi per unire queste diverse forze hanno finora raggiunto importanti risultati: è stata infatti raggiunta una descrizione unificata delle prime due forze, quella elettromagnetica e quella nucleare debole, che ora sono accomunate dalla definizione di “interazione elettrodebole”. Le verifiche condotte al CERN, grazie all’acceleratore di particelle LEP, hanno inoltre confermato definitivamente la teoria oggi nota come “Modello Standard”; tale modello ha unito l’interazione elettrodebole con la forza nucleare forte consentendo quindi un’unificazione di tre delle quattro forze fondamentali. Resta esclusa però la quarta forza, quella gravitazionale, oggi descritta attraverso la teoria della relatività di Einstein che, diversamente da quanto avviene con le tre forze summenzionate, non descrive la realtà in termini quantistici. Buona parte dei fisici oggi è alle prese con l’enorme sforzo teorico di far rientrare anche la forza di gravità nell’ambito del Modello Standard. Se ciò avvenisse, saremmo in grado di descrivere con una sola teoria matematica l’intero universo e le sue interazioni. Come ha scritto Stephen Hawking nel suo Dal Big Bang ai buchi neri, riusciremo a comprendere la mente stessa di “Dio”, cioè l’essenza ultima dell’universo. Non sfuggirà al lettore l’analogia della Teoria del Tutto con la Forza lucasiana: un’energia che rende possibili le interazioni di tutte le componenti dell’universo altro non è che quell’energia di cui le quattro forze fondamentali sono solo espressioni particolari.

Nell’universo di Star Wars la Forza non si limita, tuttavia, a fungere da legame per tutte le diverse parti che compongono l’universo; essa dà anche allo Jedi la possibilità di interagire con essa al punto da modificare la realtà attraverso fenomeni tipicamente noti nell’ambito delle pseudo-scienze come “percezione extrasensoriali” o ESP, in primis telecinesi e telepatia. La meccanica quantistica sostiene il principio secondo cui l’osservatore, lungi dal porsi in maniera distaccata da ciò che osserva, contribuisce in maniera fondamentale alla costruzione della realtà che osserva: più che osservatore si parla quindi di partecipatore. Riassumendo le straordinarie scoperte sperimentali in proposito, la meccanica quantistica porta a sostenere che non esisterebbe nemmeno una realtà ontologica, data, ma la realtà deriverebbe dalla presenza dell’osservatore-partecipatore che contribuisce a crearla. È noto ad esempio che gli elettroni che circondano il nucleo atomico non sono minuscole sferette che ruotano in orbite stabili come i pianeti intorno al sole, ma costituiscono la cosiddetta “nuvola elettronica” composta da orbitali atomici. Questi orbitali sono regioni di spazio all’interno delle quali le probabilità di trovare un elettrone è massima. Ma, esattamente, dove si trova l’elettrone all’interno dell’orbitale? Si trova laddove noi vogliamo che si venga a trovare: allorquando l’osservatore si accinge a misurare la posizione dell’elettrone all’interno dell’orbitale, ecco che l’elettrone compare dove questi è andato a cercarlo. L’equazione che descrive la regione di spazio dove esiste la massima probabilità di trovare una particella assume il nome di “funzione d’onda”. Quando l’osservatore va a compiere la misurazione, la funzione d’onda “collassa” e lo stato di probabilità precedente si tramuta in una certezza. Non abbiamo più X possibilità di trovare in quella regione di spazio una particella; la troviamo e basta. In pratica, il mondo subatomico si trova in un perenne stato di “angoscia esistenziale”: le particelle che lo compongono non sono finché noi non vogliamo che siano, e fino ad allora si mantengono in un perenne stato probabilistico oscillando tra la possibilità di essere e di non essere. Il paradosso più straordinario della fisica contemporanea al riguardo assume il nome di “paradosso EPR” o “Entanglement quantistico”. Il paradosso EPR, il cui termine deriva dalle iniziali di Einstein, Podolsky e Rosen, cioè i fisici che per primi lo proposero nel 1935, fu posto con l’intento di demolire in buona parte le tesi sopra menzionate riguardo il ruolo chiave dell’osservatore nel mondo quantistico, tesi sostenute dalla cosiddetta “interpretazione di Copenaghen” della fisica quantistica teorizzata da Niels Bohr e Werner Heisenberg. S’ipotizzi che una particella, decadendo, si scinda in due sub-particelle che schizzano via in direzioni opposte; essendo nate dalla stessa particella madre, le due sub-particelle avranno in comune certe proprietà, ad esempio lo spin, cioè il senso di rotazione della particella. Per la legge della conservazione del momento angolare, le due sub-particelle hanno spin opposti: se la particella A ha spin 1/2, la particella B ha spin -1/2. Ma se ci poniamo la domanda “è la particella A o B ad avere spin 1/2?” abbiamo bisogno di osservare una delle due per accertarcene. Il paradosso sta nel fatto che per la meccanica quantistica sia A che B non hanno uno spin certo finché noi non osserviamo una delle due, ma hanno eguali possibilità (50%) di avere o spin 1/2 o spin -1/2. La cosa incredibile è che, quando l’osservatore si accerta che ad esempio A ha spin 1/2, la particella B, anche se si trova ora ad anni-luce di distanza, assumerà nel medesimo istante spin -1/2. In pratica il limite posto da Einstein riguardo la velocità della luce è infranto, A e B sono unite da una sorta di collegamento “non-locale” che supera la velocità della luce ed è istantaneo.
Questa sorprendente teoria, poi confermata decenni dopo da diversi esperimenti, rende chiaro l’assunto secondo cui la realtà sarebbe “costruita” dall’osservatore. È possibile, con uno sforzo di pura fantasia, trovare un’attinenza tra questa teoria e quel bellissimo momento ne L’Impero Colpisce Ancora in cui Leia riesce a sentire la voce di Luke, pure a grande distanza, grazie alla Forza? O, sempre nello stesso film, in cui Luke su Degobah avverte la sofferenza dei suoi amici su Bespin? O quello in cui Obi-Wan, in Una nuova speranza, avverte una perturbazione nella Forza dovuta alla distruzione di Alderaan avvenuta a centinaia di anni-luce? Naturalmente è pura speculazione. Nel suo La funzione d’onda della realtà (2006), l’italiano Fausto Intilla si chiede: «Ma che cosa si trasmette attraverso la non-località [cioè l’effetto entanglement]? Un’intuizione? Un pensiero? Un significato? Un’emozione?». La comunità scientifica non è ancora in grado di dare una risposta. Alcune teorie molto curiose sono state proposte, tra gli altri, dal fisico italiano new age Fabrizio Coppola e dall’americano John Hagelin. Benché queste teorie siano state osteggiate da buona parte della comunità scientifica a causa del loro utilizzo promozionale in favore della pratica della “meditazione trascendentale”, il loro assunto di base è comunque da prendere in considerazione per le loro affascinanti speculazioni. In pratica, il campo unificato che costituisce il substrato della realtà, quel campo che sarebbe descrivibile attraverso la Teoria del Tutto e che riunisce in sé le forze fondamentali dell’universo, godrebbe di una curiosa proprietà, quella della consapevolezza. Coppola nel suo Ipotesi sulla realtà (1991) sostiene: «La “consapevolezza” non sarebbe il prodotto precario e quasi accidentale di un meccanismo biologico complesso (sistema nervoso e cervello), ma sarebbe una proprietà fisica fondamentale ed universale (presente a livello latente e primordiale nel campo unificato). Il cervello avrebbe invece la funzione di evidenziare ed elaborare questa straordinaria proprietà». È un’ipotesi suggestiva che consente di spiegare il rapporto misterioso tra l’osservatore cosciente e l’universo, rapporto che rappresenta un continuo paradosso nelle teorie della meccanica quantistica. Come sostengono Coppola, Hagelin e numerosi altri teorici vicini alla Maharishi University of Management (l’istituzione americana che studia questa ipotesi, fondata dal fisico e maestro indiano Maharishi Mahesh Yogi), il cervello umano potrebbe riuscire attraverso particolari tecniche di meditazione a fondersi con il campo unificato e diventare un tutt’uno con esso. Il cervello, come un laser, avrebbe l’effetto di rendere coerente e “in fase” la coscienza latente dell’universo, potendo così inoltre acuire le facoltà mentali di un soggetto. Secondo Hagelin, «il campo unificato della pura coscienza auto-interagente ed il campo unificato della moderna fisica teorica sono uno e lo stesso. In altre parole, il livello più profondo dell’esperienza umana, la pura coscienza, costituisce l’esperienza diretta soggettiva del campo unificato che attualmente viene esplorato dalla fisica teorica moderna». I sostenitori della meditazione trascendentale di Maharishi ritengono che intorno al soggetto che medita si venga a creare una sorta di campo, definito “campo Maharishi”, capace di produrre effetti positivi sul prossimo. Esperimenti pratici al riguardo si sprecano anche se vanno presi con l’ovvio beneficio del dubbio. Secondo Coppola ed altri, un esperimento di meditazione collettiva compiuto da 7000 persone nel 1983 per tre settimane produsse un “effetto Maharishi globale” che ridusse la virulenza dei conflitti nel mondo e produsse un simultaneo rialzo di tutti i mercanti finanziari. Nel febbraio 2007 Maharishi Mahesh Yogi ha inviato in sedici Paesi europei, tra cui l’Italia, alcune migliaia di esperti di meditazione trascendentale con lo scopo di creare effetti benefici alle popolazioni nazionali.
Il lettore avrà subito fatto i dovuti collegamenti con la Forza di Star Wars senza troppa difficoltà. Si potrebbe sostenere che un “effetto MaharishI” è alla base della capacità degli Jedi di modificare le volontà altrui, attraverso una diretta interazione tra la coscienza dello Jedi e il campo unificato, cioè la Forza; lo Jedi, fondendosi con la Forza (il campo unificato), riuscirebbe a modificare la realtà che lo circonda. Quando Qui-Gon Jinn, attraverso la Forza, modifica il risultato del dado lanciato da Watto così da permettere la liberazione dalla schiavitù di Anakin, egli agirebbe attraverso gli effetti della meccanica quantistica. Il fisico Paul Davies nel suo Dio e la nuova fisica (1983) fa in effetti un esempio sconcertante: durante una partita a carte, sappiamo che il nostro avversario sta per calare un asso. Ma quale asso? Di cuori? Di picche? Lo sapremo soltanto quando il giocatore calerà la carta; e se accettassimo l’idea che la realtà è costruita dall’osservatore, l’asso diventerà di cuori o di picche soltanto allorquando lo vedremo. Prima si trovava in un limbo probabilistico tra le due possibilità. È chiaro il paradosso insito in ciò: il giocatore che possiede l’asso sa già, prima di calarlo, che questo è un asso di cuori o di picche. Allora quale dei due osservatori ha la precedenza? Se accettassimo la Forza di Star Wars potremmo dire che lo Jedi ha la precedenza perché, potendo interagire con il campo unificato attraverso la mente, può modificare la realtà e anche la percezione della realtà da parte dell’osservatore “dalle mente debole”. Più realisticamente, l’esempio di Davies non avviene nella realtà e ciò porta alcuni fisici a sostenere che i paradossi della meccanica quantistica non si applicano nella realtà macroscopica. Ma questo ambito c’interessa poco.

Il noto fisico Roger Penrose, nel suo geniale La mente nuova dell’imperatore (1989), parla della straordinaria capacità umana dell’intuito. Diversamente da quanto avviene a livello cosciente nella nostra mente con il pensiero, l’intuito oltrepassa le normali leggi del tempo e anche dello spazio. Penrose cita testimonianze di scienziati ed artisti i quali al momento dell’intuizione riescono ad abbracciare con la mente l’intera portata di un’idea: Mozart riusciva, in un istante d’intuizione, a percepire nella sua interezza una sinfonia da comporre (pur lunga magari un’ora); dei fisici avevano in un istante la comprensione di una teoria la cui spiegazione avrebbe richiesto centinaia di pagine di trattati. Secondo Penrose, «il forte senso della validità di un lampo d’ispirazione… è connesso in modo molto stretto alle sue qualità estetiche. Una bella idea ha molta più probabilità di essere giusta di una brutta idea». Ma da cosa deriverebbe la bellezza di un’idea? Forse dalla sua attinenza alla realtà. Qualcosa chiaramente falso, che ci risulta evidente essere non coerente, non è bello. L’intuizione potrebbe apparirci vera immediatamente, anche se a livello cosciente non l’abbiamo ancora analizzata in dettaglio, perché proviene dal substrato della realtà stessa, dal campo unificato al quale la nostra mente sarebbe legata. Penrose è molto vicino a questa tesi (benché egli non parli assolutamente di “campo unificato” o cose del genere) sulla base della sua concezione platonica del reale, secondo cui le verità matematiche scaturirebbero da una sorta di astratto “mondo delle idee”, avrebbero quindi validità assoluta a priori. Quando Luke Skywalker spegne il computer del suo caccia nell’attacco alla Morte Nera, egli si fida – come lo incita a fare Obi-Wan – del suo intuito, della capacità di fondersi con la Forza a livello sub-cosciente. Anche i sostenitori della “meditazione trascendentale” ritengono che la fusione tra mente e campo unificato avverrebbe a livello subcosciente, quando attraverso la meditazione il soggetto smette di percepire se stesso e ciò che lo circonda.

Cosa si può dire sulla capacità della Forza, sostenuta da Palpatine, di “creare la vita stessa”? È una capacità che in Star Wars appare evidente allorquando Qui-Gon sostiene che Anakin sarebbe nato dalla Forza, dalla volontà dei midichlorian. Naturalmente questo è un ambito nel quale le nuove forme di religiosità new age fanno spesso sentire la loro voce: non va dimenticato che tutte le religioni basano la loro forza sulla naturale paura umana della morte. È questa paura che spinge Anakin a compiere la sua conversione al Male. Paul Davies, riprendendo le tesi sostenute da Fritjof Capra nel suo Il Tao della Fisica (1975), sostiene la necessità di comprendere la vita attraverso il paradigma olistico, come già con l’universo. Per capire cos’è la vita non dobbiamo analizzare i singoli componenti degli esseri viventi – organi, cellule, atomi – ma l’essere vivente nel suo complesso, l’insieme cioè delle interazioni tra i suoi componenti. Sono le interazioni tra i suoi elementi componenti a far sì che un essere esista, viva: «È assurdo dire che un essere umano è nulla più che un insieme di cellule, le quali non sono altro che frammenti di DNA eccetera, i quali a loro volta sono soltanto raggruppamenti di atomi – e concludere infine che la vita non ha importanza né significato. La vita è un fenomeno olistico». Questa evidente coincidenza tra realtà fisica e vita, entrambi da interpretare in maniera olistica, ci consente di capire meglio che il ruolo dei viventi nell’ordine cosmico. Capra, nell’introduzione al suo libro, racconta l’esperienza che lo ha portato a scrivere Il Tao della Fisica: mentre stava seduto in riva all’oceano, in un pomeriggio di fine estate, egli percepì il profondo legame tra lui stesso e la realtà che lo circondava: «Sedendo su quella spiaggia… “vidi” scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si creavano e distruggevano particelle con ritmi pulsanti; “vidi” gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo partecipare a questa danza cosmica di energia; percepii il suo ritmo e ne “sentii” la musica». È un’esperienza che ovviamente non va interpretata alla lettera, ma nel senso dell’improvvisa intuizione del fisico del fatto che la realtà altro non è che un tutto al quale l’essere umano partecipa in maniera integrante. Capra nel suo volume sostiene l’interpretazione di Copenaghen della fisica quantistica: «L’osservatore umano costituisce sempre l’anello finale nella catena dei processi di osservazione e le proprietà di qualsiasi oggetto atomico possono essere capite soltanto nei termini dell’interazione dell’oggetto con l’osservatore. Ciò significa che l’ideale classico di una descrizione oggettiva della natura non è più valido. Quando ci si occupa della materia a livello atomico, non si può più operare la separazione cartesiana tra l’io e il mondo, tra l’osservatore e l’osservato. Nella fisica atomica, non possiamo mai parlare della natura senza parlare, nello stesso tempo, di noi stessi». La vita, l’universo e tutto quanto – per citare la celebre espressione dello scrittore di fantascienza Douglas Adams – sarebbero quindi inestricabilmente collegati. Come la vita possa diventare protagonista dei paradossi della meccanica quantistica lo si piò intuire attraverso il paradosso del gatto di Schrodinger: poniamo in una scatola un gatto vivo insieme a una fiala di veleno. Un martelletto è destinato a rompere la fiala allorquando il relais collegato al martelletto rilevi il decadimento di un atomo radioattivo, che ha eguali possibilità di decadere o non in un arco di tempo dato, poniamo un’ora. Poiché l’atomo, nel corso di ques’ora, ha il 50% di possibilità di decadere o no, e quindi così facendo di far morire o lasciare in vita il gatto, quale delle due possibilità sarà avvenuta lo scopriremo solo quando apriremo la scatola e osserveremo lo stato del gatto. Il gatto, in altre parole, finché non apriamo la scatola, si troverebbe in uno stato indefinito tra la vita e la morte; solo la nostra osservazione porterebbe l’atomo radioattivo a “scegliere” tra le due possibilità, decadere o no, sancendo così il destino del gatto prima che noi apriamo la scatola, ma solo dopo che la scatola sia stata aperta. È un evidente paradosso che dimostra l’impossibilità di far interagire i meccanismi quantici delle particele subatomiche con fenomeni macroscopici. Ma è chiaro che se accettassimo la possibilità di un simile paradosso, l’osservatore cosciente avrebbe un ruolo chiave nel “creare” la vita o la morte.
Nell’articolo La Forza lucasiana e l’estremo oriente taoista, Francesco Vacca cita la tesi della professoressa Anne Collins Smith, docente di filosofia e studi classici presso la Susquehanna University in Pennsylavania, USA. Quando, in Una nuova speranza, Luke si affida alla Forza per distruggere la Morte Nera, Lucas cita chiaramente l’insegnamento del taoismo di affidarsi «alla Forza/Tao che scorre dentro di sé». Uno dei più grandi maestri del taoismo, Huai Nan-tzu (morto nel 122 a.C.), disse: «Colui che segue l’ordine naturale fluisce nella corrente del Tao». La somiglianza con l’insegnamento Jedi «senti la Forza scorrere in te» è più che evidente. Sulla scorta delle tante tesi sopra riferite, seguire l’ordine naturale delle cose vorrebbe dire far sì che la nostra mente si fonda con l’universo di cui è parte, lasciando che la realtà fluisca e noi con essa. Gli insegnamenti del taoismo e della meccanica quantistica sono davvero molto vicini, e la filosofia Jedi messa a punto da Lucas basa la sua “forza” proprio sull’universale validità delle sue asserzioni. Dobbiamo allora affidarci al culto della Forza o alla “meditazione trascendentale” del maestro Maharishi Yogi? Ciò vorrebbe dire compiere lo stesso errore di “Scientology” di tutte quelle pseudo-religioni che argomentano la loro validità su basi scientifiche. Non bisogna mai scindere la realtà dalla fantasia; questo non vuol dire che alcune delle tesi anche molto bizzarre sopra esposte siano tutta fantasia. Possono anche considerarsi vere, «da un certo punto di vista». Ma le religione sono dogmatiche e non accettano più di un solo punto di vista. La filosofia Jedi non potrebbe perciò mai essere una religione, tutt’al più un insegnamento basato sulla solidarietà universale in virtù di quella massima di Gesù Cristo, troppo spesso ignorata dallo stesso cristianesimo, “ama il prossimo tuo come te stesso”.

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