Renzi e le tecniche di manipolazione. Così seduce e inganna gli italiani
- Ottieni link
- X
- Altre app
Di Marcello Foa
Matteo Renzi è un giocoliere delle parole e non è certo un caso se da ragazzo era soprannominato “il bomba” ovvero colui che la spara grosse. Il “physique du rôle” d’altronde ce l’ha: tutto guizzi, smorfie, moine. Il premier è dotato di un ego così ipertrofico da impedirgli di capire quando non è il caso ovvero quando la sua naturale teatralità sfocia nel grottesco e, sovente, nel ridicolo.
Ognuno di noi arrosirrebbe se venisse fotografato in pose che evocano più le gag di Mr Bean che la postura consona a un primo ministro. Lui no.
Ed è permaloso, tenace, combattiero, replica colpo su colpo, come ha dimostrato con la scenetta del gelato in risposta agli sberleffi dell’Economist.
L’uomo è fatto così. Ma se fosse solo un istrione di strada oggi non sarebbe Primo Ministro. L’istinto – per far carriera a questi livelli – non basta. Ci vuole anche del metodo. Che non è certo farina del suo sacco.
Per giudicare Renzi non basta esaminarlo con i parametri della politica italiana, bisogna ricorrere a quelli dello spin ovvero delle tecniche che da oltre un ventennio consentono a leader politici anglosassoni ma non solo, di brillare sulla scena politica, dissimulando i loro veri obiettivi politici (ed economici) con una strategia di comunicazione volta a sedurre e a distrarre il pubblico. Da Tony Blair a Bill Clinton a Barack Obama, passando per il primo Nicolas Sarkozy, per l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e persino per l’ex presidente americano George Bush, inetto nella comunicazione, ma che grazie alle alchimie del suo “stregone” Karl Rove è riuscito a farsi eleggere due volte.
Matteo Renzi è il primo politico italiano che ha raggiunto il potere usando le stesse tecniche e non a caso – a quanto si deduce dalle biografie più autentiche, quelle non agiografiche – ha frequentato gli stessi referenti internazionali, soprattutto anglosassoni.
Discorso lungo, questo che non posso liquidare in un post. Qui mi limito a rilevare due tecniche tipiche dello spin.
Nella fase di creazione del consenso, Renzi ricorreva sistematicamente agli ossimori ovvero alla capacità di accostare termini o concetti in contrastro tra loro. Esempi:
Io sono contro la disoccupazione, però non si può negare che di fronte a certi comportamenti il licenziamento è giusto.
Io da uomo di sinistra riconosco i diritti dei lavoratori, però non possiamo dimenticare quelli degli imprenditori.
Io, da cattolico, sono per la famiglia tradizionale, però non posso non essere solidale con i gay.
In questa maniera Renzi è riuscito a piacere quasi a tutti: a cattolici e atei, alla sinistra chic e alla destra borghese perchè attraverso l’ossimoro ogni ascoltatore si sentiva rassicurato nelle sue convinzioni più profonde e ognuno pensava: Renzi è uno dei nostri.
Poi, una volta al governo, ha applicato la teoria dell’annuncio, sul modello di Tony Blair e del suo bravissimo e spregiudicato spin doctor Alistair Campbell, i quali dovendo “nutrire” la stampa e sapendo che pubblico e giornalisti hanno la memoria corta, si inventarono letteralmente le notizie, prediligendo quelle di facile comprensione, familiari al grande pubblico e sensazionaliste. Quasi tutte naturalmente risultarono dei bluff, però servivano a Blair per passare come un innovatore, movimentista, uno che “cambiava le cose”.
Sia chiaro: in 10 anni a Downing Street Blair ha comunque lasciato il segno, ma se non avesse fatto ampio uso dello spin non sarebbe passato alla storia come un grande comunicatore e probabilmente sarebbe finito rosolato dalla stampa.
Avete capito a chi si ispira Matteo Renzi?
Dubito fortemente che abbia la capacità innovativa di Tony Blair – anche perchè se anche volesse cambiare davvero, le ganasce dell’Unione europea e di Maastricht scatterebbero immediatamente, impedendoglielo – ma sul fronte dello spin può considerarsi il suo italico erede.
Ricordate i primi mesi a Palazzo Chigi? Era una sequenza di annunci roboanti: “una riforma al mese”, prometteva (“A marzo facciamo la riforma del lavoro, ad aprile della Pubblica amministrazione, a maggio del fisco…” e così via). Roboanti quanto alla luce dei fatti inconsistenti. Non ha concluso nulla, però le riforme le ha vestite bene, consapevole della forza degli slogan. Decreto Sblocca Italia, Bonus 80 euro, Rivoluzione Giustizia, Miliardi per le Grandi Opere, condite con frasi del tipo:
“Non lasceremo il futuro ai gufi e a chi scommette sul fallimento. Siamo al lavoro”.
“Se l’Italia deve cambiare, nessuno può chiamarsi fuori. Nessuno può tirarsi indietro. Vale per tutti i settori”.
“Dobbiamo giocare all’ attacco, non in difesa. Scegliere il coraggio, non la paura”
Così irresistibilmente generiche e volte a suscitare un consenso esclusivamente emotivo. Chi vuole essere dalla parte dei gufi? Chi non vuole cambiare? Chi non ha coraggio?
Nella conferenza stampa odierna il velocista Matteo ha scoperto improvvisamente le virtù del mezzofondo e ha presentato il decreto “Passo Dopo Passo”. L’uomo che voleva cambiare l’Italia in cento giorni ora ne chiede mille, per essere giudicato, udite, udite, nel maggio 2017. Ma naturalmente la colpa non è sua: è dei gufi, dei disfattisti, dei paurosi.
Lui è il pifferaio senza paura. Il dramma è che, a quanto pare, incanta ancora gran parte degli italiani. Per ora.
http://altrarealta.blogspot.it/
Commenti
Posta un commento