I CD DURANO POCO, ma un microbo è per sempre
L’umanità ha sempre cercato l’immortalità. Non potendola raggiungere letteralmente, ci si è accontentati di inseguirla attraverso l’eredità della memoria. Ma i supporti ci possono tradire
Se pensiamo all’immortalità come trasmissione di memoria, in fondo parliamo di messaggi in bottiglia che affidiamo al mare del tempo. La ricerca dell’immortalità si intreccia con una storia di tecnologie dei supporti cui affidare il proprio messaggio al futuro. Dalle pareti delle grotte alle tavolette di terracotta, dalle lastre di pietra a pelli e papiri… l’ironia della sorte è che spesso sono diventati immortali banali conti della spesa mentre sono andate perse opere fondamentali (basti pensare all’incendio della Biblioteca di Alessandria). Mai, nella storia dell’umanità è stato così facile provare ad essere immortali. Creare memoria da lasciare in eredità ai posteri, ad eventuali nostri futuri biografi. Dalla Nasa alla più scarsamente tecnologica delle zie abbiamo però tutti lo stesso problema: far durare le informazioni. Come salvare per l’eternità dati, immagini, filmati, emozioni? Il problema è serio. Nulla è eterno e immutabile. E la tecnologia guarda avanti e non indietro.
LE TECNOLOGIE MUOIONO
Buona parte dei dati raccolti dai satelliti della Nasa negli anni ‘60 si stanno perdendo: non solo i nastri magnetici originali stanno smagnetizzandosi, ma non esistono quasi più macchine in grado di leggerli. Chi ha investito soldi e tempo nel costruirsi una collezione di videocassette sa che la fine è vicina. Analoga sorte per i dati conservati sui primi floppy disk, quelli delle dimensioni di un 33 giri o quasi, ma anche i dischetti più recenti. Prima o poi capiterà ai Cd e ai Dvd, ai BluRay. E potremmo continuare citando le pellicole 8 mm, le Kodachrome e così via. Ma al di là dell’obsolescenza tecnologica c’è il problema della degradazione dei supporti. A differenza delle solide rocce dei nostri antenati, i supporti moderni hanno una durata limitata. Lastre e pellicole perdono le immagini, la carta ingiallisce, i supporti magnetici si smagnetizzano, gli stessi hard disk perdono dati e anche Cd e Dvd masterizzati in casa hanno una durata limitata. E gli esperti sanno bene che la buona vecchia carta (di buona qualità) mediamente dura molto, molto di più di un qualsiasi supporto digitale. Il che ha delle profonde implicazioni sui progetti di digitalizzazione delle biblioteche e delle collezioni.
Digitalizzare l’informazione dell’umanità appare inoltre un compito quasi impossibile: se la Libreria del Congresso americana ha raccolto in 200 anni di storia di una collezione di oltre 140 milioni di pezzi, si stima che una quantità equivalente di informazione venga oggi generata ogni 15 minuti, nel mondo. Ma anche archivi meno vasti hanno i loro problemi, come nel caso della Foundation Institute for Visual History and Education, un archivio dell’Università della Southern California che ha raccolto oltre 52.000 interviste video con sopravvissuti e testimoni della Shoah. 100.000 ore di video, 235.000 nastri in vent’anni. Una migrazione massiccia da vecchi Vhs e Beta ai nuovi formati digitali, per un inquietante totale di 8.000 Terabyte di dati. Milioni di dollari di investimento. Ed ogni tre anni tutto viene ricopiato un’altra volta.
POSSIAMO FIDARCI?
Secondo l’aneddotica (tutta da verificare), i supporti tecnologici creati dall’umanità per durare più a lungo sarebbero i messaggi per eventuali extraterrestri affidati dalla Nasa alle sonde Pioneer e Voyager. Una placca d’alluminio incisa per il primo (nulla di nuovo sotto il sole, un graffito), un disco di rame placcato oro con video, musiche, dati il secondo. Teoricamente costruito per durare un miliardo di anni (tanto, prima che qualcuno reclami…). Con tanto di campione radioattivo in copertina per permetterne una datazione a eventuali scopritori alieni. Un oggetto decisamente fuori mercato per il privato.
Se si studiano gli incerti dati disponibili sulla durata dei supporti, concludiamo che non c’è da fidarsi troppo. Un Cd o un Dvd potrebbe o dovrebbe durare da un minimo di un paio d’anni a forse 10, 20 o qualcosa di più… ma tutto dipende dalla marca, dalla qualità del prodotto, da come lo abbiamo usato e conservato. E quindi in sostanza potrebbe tradirci da un momento all’altro. Forse ancora peggio per gli hard disk e per le memorie allo stato solido (dalle chiavette Usb ai dischi Ssd) le cui durate possono essere parecchio variabili. Quanto valeva per i vecchi supporti cartacei, per le foto, per i dischi magnetici, vale anche per i nuovi media: lentamente tutto si disgrega. Anche supporti esoterici come i cosiddetti dischi eterni (Cd o Dvd costruiti con particolari metalli e tecnologie) non durano teoricamente più di 100 anni (anche qui, dura da verificare sul campo, la promessa del produttore…), a costi anche 100 volte superiori ai Cd da supermercato.
I PIÙ BRAVI COPIANO
In realtà non si conosce esattamente ladurata reale dei supporti, anche perché alcuni di questi sono sul mercato da relativamente pochi anni. È impossibile stimare esattamente la durata anche perché dipende dal produttore, condizioni in cui sono usati e quanto li si usa ogni giorno; e i dati (contraddittori) disponibili derivano da esperimenti e test di invecchiamento accelerato che cercano di simulare un passaggio del tempo che non abbiamo ovviamente tempo di attendere.
Se vogliamo salvare la memoria, c’è un’unica soluzione. Copiare. E continuare a copiare. Si chiama migrazione perpetua, un processo che occuperà tutta la nostra vita e anche quella dei nostri discendenti, se vorranno conservare questa immortalità di ricordi (o di dati aziendali). Copiare da un hard disk (ancora perfettamente funzionante) a un altro disco nuovo, tenere entrambe le copie e ripetere a distanza di qualche mese. Duplicare i Dvd su un altro disco fisso. Un lavoro impegnativo e costoso, che ci impegna, vita natural durante a rinnovare il rito del salvataggio, delle riconversione. Magari dandoci anche un’opportunità per rieditare, censurare, modificare la storia passata in una sua nuova e più adeguata versione. E facendoci rimpiangere i bei tempi in cui bastava spargere un po’ di colori sulle mura di una caverna per vivere sereni per il resto della nostra (breve) esistenza preistorica.
TUTTO FRA LE NUVOLE
Possiamo però delegare a terzi, nella cosiddetta nuvola, tutta questa operazione. Spesso, gratuitamente: Google, Picasa o Flickr, YouTube, Dropbox e la stessa Microsoft, oppure Amazon. Se non ci fidiamo di servizi consumer potremmo optare per costosi servizi professionali di archiviazione o addirittura di servizi superblindati e ad altissima sicurezza, come nel caso dei bunkerantiatomici svizzeri, riconvertiti in data center a prova di nucleare (il cui listino di prezzi è assolutamente segretissimo) e che magari ci creano meno patemi sulla privacy delle nostre vecchie foto di scuola. In questa continua ricerca dell’immortalità del dato e della memoria, si profilano all’orizzonte nuove ed affascinanti forme di memorizzazione. Quella tecnologicamente più prossima potrebbe essere quella della memorizzazione olografica.
Più a lungo periodo si immaginano innovazioni dal campo delle nanotecnologie, sia con dischetti da 100 TB che con più radicali invenzioni, che immagazzineranno i dati in microscopici tubicini o in nanosfere. Ma quello che è forse il traguardo ultimo potrebbe essere usare il più potente mezzo di archiviazione inventato dalla natura, il Dna. A quanto dicono alcuni scienziati, le informazioni che descrivono un essere umano contenute nel nostro Dna assommerebbero a 750 MB, poco più di un Cd-Rom, ma consideriamo che non c’è nemmeno una foto o un filmino – e sarebbero un manuale di circa 350.000 pagine (ma c’è chi porta questo dato ad un milione o anche più pagine). Un filamento di Dna può contenere di più, molto di più. E molti filamenti di Dna… una quantità pressoché infinita di dati. Essendo chiaro che sarebbe abbastanza complesso cercare di infilare filamenti di Dna 50.000 volte più sottili di un capello in un lettore di Cd, si devono trovare altri “lettori”, e la strada giusta pare siano i più umili tra i viventi: gli ubiqui batteri.
Già nel 2007 un team di scienziati giapponesi è riuscito a memorizzare in un batterio il testo “E=MC2 1905!” in omaggio ad Albert Einstein: un’informazione che potrebbe durare centinaia di migliaia di anni, riproducendosi col batterio. Un grammo di Escheria Coli dovrebbe riuscire teoricamente a contenere 900 TB. Insomma, forse la strada dell’immortalità che gli egizi cercavano in enormi piramidi, l’uomo del futuro la troverà in un umile microbo.
Se pensiamo all’immortalità come trasmissione di memoria, in fondo parliamo di messaggi in bottiglia che affidiamo al mare del tempo. La ricerca dell’immortalità si intreccia con una storia di tecnologie dei supporti cui affidare il proprio messaggio al futuro. Dalle pareti delle grotte alle tavolette di terracotta, dalle lastre di pietra a pelli e papiri… l’ironia della sorte è che spesso sono diventati immortali banali conti della spesa mentre sono andate perse opere fondamentali (basti pensare all’incendio della Biblioteca di Alessandria). Mai, nella storia dell’umanità è stato così facile provare ad essere immortali. Creare memoria da lasciare in eredità ai posteri, ad eventuali nostri futuri biografi. Dalla Nasa alla più scarsamente tecnologica delle zie abbiamo però tutti lo stesso problema: far durare le informazioni. Come salvare per l’eternità dati, immagini, filmati, emozioni? Il problema è serio. Nulla è eterno e immutabile. E la tecnologia guarda avanti e non indietro.
LE TECNOLOGIE MUOIONO
Buona parte dei dati raccolti dai satelliti della Nasa negli anni ‘60 si stanno perdendo: non solo i nastri magnetici originali stanno smagnetizzandosi, ma non esistono quasi più macchine in grado di leggerli. Chi ha investito soldi e tempo nel costruirsi una collezione di videocassette sa che la fine è vicina. Analoga sorte per i dati conservati sui primi floppy disk, quelli delle dimensioni di un 33 giri o quasi, ma anche i dischetti più recenti. Prima o poi capiterà ai Cd e ai Dvd, ai BluRay. E potremmo continuare citando le pellicole 8 mm, le Kodachrome e così via. Ma al di là dell’obsolescenza tecnologica c’è il problema della degradazione dei supporti. A differenza delle solide rocce dei nostri antenati, i supporti moderni hanno una durata limitata. Lastre e pellicole perdono le immagini, la carta ingiallisce, i supporti magnetici si smagnetizzano, gli stessi hard disk perdono dati e anche Cd e Dvd masterizzati in casa hanno una durata limitata. E gli esperti sanno bene che la buona vecchia carta (di buona qualità) mediamente dura molto, molto di più di un qualsiasi supporto digitale. Il che ha delle profonde implicazioni sui progetti di digitalizzazione delle biblioteche e delle collezioni.
Digitalizzare l’informazione dell’umanità appare inoltre un compito quasi impossibile: se la Libreria del Congresso americana ha raccolto in 200 anni di storia di una collezione di oltre 140 milioni di pezzi, si stima che una quantità equivalente di informazione venga oggi generata ogni 15 minuti, nel mondo. Ma anche archivi meno vasti hanno i loro problemi, come nel caso della Foundation Institute for Visual History and Education, un archivio dell’Università della Southern California che ha raccolto oltre 52.000 interviste video con sopravvissuti e testimoni della Shoah. 100.000 ore di video, 235.000 nastri in vent’anni. Una migrazione massiccia da vecchi Vhs e Beta ai nuovi formati digitali, per un inquietante totale di 8.000 Terabyte di dati. Milioni di dollari di investimento. Ed ogni tre anni tutto viene ricopiato un’altra volta.
POSSIAMO FIDARCI?
Secondo l’aneddotica (tutta da verificare), i supporti tecnologici creati dall’umanità per durare più a lungo sarebbero i messaggi per eventuali extraterrestri affidati dalla Nasa alle sonde Pioneer e Voyager. Una placca d’alluminio incisa per il primo (nulla di nuovo sotto il sole, un graffito), un disco di rame placcato oro con video, musiche, dati il secondo. Teoricamente costruito per durare un miliardo di anni (tanto, prima che qualcuno reclami…). Con tanto di campione radioattivo in copertina per permetterne una datazione a eventuali scopritori alieni. Un oggetto decisamente fuori mercato per il privato.
Se si studiano gli incerti dati disponibili sulla durata dei supporti, concludiamo che non c’è da fidarsi troppo. Un Cd o un Dvd potrebbe o dovrebbe durare da un minimo di un paio d’anni a forse 10, 20 o qualcosa di più… ma tutto dipende dalla marca, dalla qualità del prodotto, da come lo abbiamo usato e conservato. E quindi in sostanza potrebbe tradirci da un momento all’altro. Forse ancora peggio per gli hard disk e per le memorie allo stato solido (dalle chiavette Usb ai dischi Ssd) le cui durate possono essere parecchio variabili. Quanto valeva per i vecchi supporti cartacei, per le foto, per i dischi magnetici, vale anche per i nuovi media: lentamente tutto si disgrega. Anche supporti esoterici come i cosiddetti dischi eterni (Cd o Dvd costruiti con particolari metalli e tecnologie) non durano teoricamente più di 100 anni (anche qui, dura da verificare sul campo, la promessa del produttore…), a costi anche 100 volte superiori ai Cd da supermercato.
I PIÙ BRAVI COPIANO
In realtà non si conosce esattamente ladurata reale dei supporti, anche perché alcuni di questi sono sul mercato da relativamente pochi anni. È impossibile stimare esattamente la durata anche perché dipende dal produttore, condizioni in cui sono usati e quanto li si usa ogni giorno; e i dati (contraddittori) disponibili derivano da esperimenti e test di invecchiamento accelerato che cercano di simulare un passaggio del tempo che non abbiamo ovviamente tempo di attendere.
Se vogliamo salvare la memoria, c’è un’unica soluzione. Copiare. E continuare a copiare. Si chiama migrazione perpetua, un processo che occuperà tutta la nostra vita e anche quella dei nostri discendenti, se vorranno conservare questa immortalità di ricordi (o di dati aziendali). Copiare da un hard disk (ancora perfettamente funzionante) a un altro disco nuovo, tenere entrambe le copie e ripetere a distanza di qualche mese. Duplicare i Dvd su un altro disco fisso. Un lavoro impegnativo e costoso, che ci impegna, vita natural durante a rinnovare il rito del salvataggio, delle riconversione. Magari dandoci anche un’opportunità per rieditare, censurare, modificare la storia passata in una sua nuova e più adeguata versione. E facendoci rimpiangere i bei tempi in cui bastava spargere un po’ di colori sulle mura di una caverna per vivere sereni per il resto della nostra (breve) esistenza preistorica.
TUTTO FRA LE NUVOLE
Possiamo però delegare a terzi, nella cosiddetta nuvola, tutta questa operazione. Spesso, gratuitamente: Google, Picasa o Flickr, YouTube, Dropbox e la stessa Microsoft, oppure Amazon. Se non ci fidiamo di servizi consumer potremmo optare per costosi servizi professionali di archiviazione o addirittura di servizi superblindati e ad altissima sicurezza, come nel caso dei bunkerantiatomici svizzeri, riconvertiti in data center a prova di nucleare (il cui listino di prezzi è assolutamente segretissimo) e che magari ci creano meno patemi sulla privacy delle nostre vecchie foto di scuola. In questa continua ricerca dell’immortalità del dato e della memoria, si profilano all’orizzonte nuove ed affascinanti forme di memorizzazione. Quella tecnologicamente più prossima potrebbe essere quella della memorizzazione olografica.
Più a lungo periodo si immaginano innovazioni dal campo delle nanotecnologie, sia con dischetti da 100 TB che con più radicali invenzioni, che immagazzineranno i dati in microscopici tubicini o in nanosfere. Ma quello che è forse il traguardo ultimo potrebbe essere usare il più potente mezzo di archiviazione inventato dalla natura, il Dna. A quanto dicono alcuni scienziati, le informazioni che descrivono un essere umano contenute nel nostro Dna assommerebbero a 750 MB, poco più di un Cd-Rom, ma consideriamo che non c’è nemmeno una foto o un filmino – e sarebbero un manuale di circa 350.000 pagine (ma c’è chi porta questo dato ad un milione o anche più pagine). Un filamento di Dna può contenere di più, molto di più. E molti filamenti di Dna… una quantità pressoché infinita di dati. Essendo chiaro che sarebbe abbastanza complesso cercare di infilare filamenti di Dna 50.000 volte più sottili di un capello in un lettore di Cd, si devono trovare altri “lettori”, e la strada giusta pare siano i più umili tra i viventi: gli ubiqui batteri.
Già nel 2007 un team di scienziati giapponesi è riuscito a memorizzare in un batterio il testo “E=MC2 1905!” in omaggio ad Albert Einstein: un’informazione che potrebbe durare centinaia di migliaia di anni, riproducendosi col batterio. Un grammo di Escheria Coli dovrebbe riuscire teoricamente a contenere 900 TB. Insomma, forse la strada dell’immortalità che gli egizi cercavano in enormi piramidi, l’uomo del futuro la troverà in un umile microbo.
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