INDIANI D'AMERICA: LUOGHI COMUNI DA SFATARE



Augh. Gli indiani salutavano invece con “hog”, che gli inglesi trascrivono con “haug” e gli italiani pronunciano (e scrivono) “augh”, sbagliando.

Bastone da colpi. Serviva a eliminare dalla battaglia gli avversari toccandoli, senza usare armi.

Grande capo. A parte figure carismatiche come l’irriducibile Cavallo Pazzo o il diplomatico Nuvola Rossa, nate dalla necessità di unirsi contro i bianchi, non c’erano veri capi. Esistevano esperti per la guerra (in genere nati sotto il segno dell’orso), esperti per trovare l’acqua, capi-caccia, capi costruttori di accampamenti, uomini di medicina e così via. Tutte le decisioni venivano prese dai consigli delle tribù. Il capo non veniva inteso all’occidentale, era un semplice portavoce. Si ritiene che la Costituzione americana abbia preso spunto anche dalla democrazia degli Irochesi.

Palo-totem. Lo usavano solo le tribù del nord-ovest. Non serviva per i prigionieri, ma a mostrare le effigi degli animali protettori degli avi che originarono la tribù. Pellerossa. Non erano rossi: per proteggersi dal sole alcune tribù si cospargevano di terra.

Pipa della pace. A un suo estremo aveva un’ascia vera, segno di equilibrio fra due opposti, la pace e la guerra. Serviva anche per comunicare con le divinità.

Scalpo. Un cimelio di cattivo gusto, inventato da francesi e inglesi per dare un premio per ogni indiano ucciso, poi adottato dalla resistenza indiana.

Segnali di fumo. Li usavano, ma avevano 1.100 fra lingue e dialetti, tanto che svilupparono un complesso linguaggio gestuale per capirsi fra tribù diverse. I Cherokee inventarono un alfabeto (68 segni fonetici), forse l’ultimo a comparire nel mondo in epoca moderna. Nel 1828 uscì il primo giornale in lingua scritta indiana, il Cherokee Phoenix, dedicato alla loro causa.

Tipì. Capanna tipica, ma solo degli indiani delle pianure. Quelli del sud abitavano in case di pietra.Al nord in capanne di legno.

Vecchi saggi. Le società indiane non erano assistenziali: i vecchi, benché molto ascoltati, se non autosufficienti erano un peso e in genere lasciavano il gruppo per andare a morire.

In pochi conoscono la storia di Edward S. Curtis, il leggendario fotografo che ha dedicato la sua vita (1868-1952) agli indiani d'America.
Tra la fine dell'800 e i primi decenni del '900, Curtis ha attraversato il vasto territorio degli Stati Uniti e del Canada per conoscere le popolazione degli Indiani d'America, registrarne le voci e i canti, raccontarne le storie e soprattutto fermare sulla pellicola, volti e ritratti.
In 25 anni di lavoro e di viaggi è riuscito a collezionare il più vasto materiale riguardante i Pellerossa. Si stima che scattò da 30 a 60 mila foto, sebbene ce ne siano giunte soltanto 2.200.

LA BIBBIA DEGLI INDIANI. La sua enorme opera, foto, appunti e racconti è raccolta in un'"agile" enciclopedia in 20 volumi, un testo fondamentale per chi vuole conoscere veramente gli Indiani. Al di là dei luoghi comuni che il cinema e i fumetti ci hanno trasmesso. Chi ha poco tempo e non riesce a leggerli tutti, ma allo stesso tempo vuole scoprire se davvero i Pellerossa collezionavano scalpi, facevano la danza della pioggia o andavano a caccia di balene, può dare un'occhiata alle foto qui sotto che sono bellissime (e anche un documento storico inestimabile)

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