“MANGI QUEL CHE VUOLE”!
È la risposta abituale degli oncologi al paziente che chiede istruzioni su cosa mangiare per aiutare le terapie e favorire la guarigione, risposta spesso accompagnata da un invito a mangiare bistecche per tenersi su. Molti siti di centri oncologici ancora sciorinano suggerimenti per un’alimentazione ipercalorica, con gelati, pasticcini, carni e formaggi, raccomandazioni non sostenute da alcuna prova scientifica, anzi in contrasto con le conoscenze sul metabolismo della cellula tumorale.
Da più di 90 anni si sa che le cellule tumorali consumano almeno 20 volte più glucosio delle cellule normali. Non bruciano, infatti, completamente la molecola del glucosio ossidandola in anidride carbonica e acqua, ma la scindono in due molecole di acido lattico, proprio come fanno i muscoli quando non hanno abbastanza ossigeno, con la differenza che le cellule tumorali si comportano così anche in presenza di ossigeno. La ragione di questo comportamento è che le cellule tumorali utilizzano l’acido lattico per costruire nuove proteine, nuovi grassi, nuove cellule.
Così facendo, producono poca energia (solo due unità di energia per ogni molecola di glucosio invece che 38), mentre hanno bisogno di molta energia per moltiplicarsi. Devono quindi disporre di più glucosio. Dopo il 1953, l’anno della pubblicazione della struttura a doppia elica del DNA, la linea di ricerca sul metabolismo delle cellule tumorali si inaridì. L’interesse per il metabolismo della cellula tumorale risorse negli anni ’80 con l’invenzione della PET, che utilizza glucosio radioattivo per studiare la diffusione del tumore nel corpo.
Fu una rivoluzione nelle tecniche diagnostiche, ma non risvegliò l’interesse del mondo oncologico per la peculiarità metabolica delle cellule tumorali, che le rende dipendenti da una disponibilità illimitata di glucosio.
Nel 2002 pubblicammo la prima osservazione che il rischio di ammalarsi di cancro al seno aumenta significativamente, fino a raddoppiare, con l’aumentare della glicemia (anche all’interno dell’intervallo di normalità). Erano gli anni del grande entusiasmo per la mappatura del genoma umano e il nostro articolo non risvegliò alcun interesse. Confermammo l’osservazione con una casistica più ampia nel 2006 e dimostrammo anche che il rischio di cancro al seno è tanto più alto quanto più la dieta è ricca di cibi che fanno aumentare la glicemia. Negli stessi anni pubblicammo che le donne con sindrome metabolica, definita dalla presenza di adiposità addominale, dislipidemia, ipertensione e iperglicemia, hanno un rischio più che doppio di sviluppare un cancro al seno e che le pazienti con sindrome metabolica hanno un rischio più che doppio di recidiva.
La dieta macrobiotica, cioè una dieta basata prevalentemente su cereali integrali, legumi e verdure, riduce i parametri della sindrome metabolica. È noto che la sindrome metabolica è associata a uno stato infiammatorio cronico, rilevabile con i livelli plasmatici di proteina C reattiva, che favorisce la proliferazione delle cellule tumorali.
Finalmente, nel 2013, 2014 e 2015, confermammo che nelle donne che hanno avuto il cancro al seno la glicemia alta e la sindrome metabolica sono associate a un maggior rischio di sviluppare metastasi e che la sindrome metabolica è molto rara in chi rispetta le raccomandazioni alimentari del Codice Europeo per la Prevenzione del Cancro (fare quotidianamente attività fisica, basare la dieta quotidiana su cereali integrali, legumi, verdure e frutta, evitare i salumi, evitare le bevande zuccherate, limitare le carni rosse e i cibi industriali ricchi di grassi e zuccheri). Scorrendo la letteratura scientifica degli ultimi anni si scopre che per quasi tutti i tipi di tumore sono stati pubblicati studi che mostrano che alti livelli plasmatici di glicemia e proteina C reattiva, anche se all’ interno dei limiti di normalità, sono associate a prognosi peggiore.
Mi auguro che questa abbondanza di dati rassicuri i colleghi che si occupano di curare il cancro e altre malattie croniche circa l’opportunità di dare indicazioni alimentari ai pazienti per tener bassa la glicemia e l’infiammazione.
Da più di 90 anni si sa che le cellule tumorali consumano almeno 20 volte più glucosio delle cellule normali. Non bruciano, infatti, completamente la molecola del glucosio ossidandola in anidride carbonica e acqua, ma la scindono in due molecole di acido lattico, proprio come fanno i muscoli quando non hanno abbastanza ossigeno, con la differenza che le cellule tumorali si comportano così anche in presenza di ossigeno. La ragione di questo comportamento è che le cellule tumorali utilizzano l’acido lattico per costruire nuove proteine, nuovi grassi, nuove cellule.
Così facendo, producono poca energia (solo due unità di energia per ogni molecola di glucosio invece che 38), mentre hanno bisogno di molta energia per moltiplicarsi. Devono quindi disporre di più glucosio. Dopo il 1953, l’anno della pubblicazione della struttura a doppia elica del DNA, la linea di ricerca sul metabolismo delle cellule tumorali si inaridì. L’interesse per il metabolismo della cellula tumorale risorse negli anni ’80 con l’invenzione della PET, che utilizza glucosio radioattivo per studiare la diffusione del tumore nel corpo.
Fu una rivoluzione nelle tecniche diagnostiche, ma non risvegliò l’interesse del mondo oncologico per la peculiarità metabolica delle cellule tumorali, che le rende dipendenti da una disponibilità illimitata di glucosio.
Nel 2002 pubblicammo la prima osservazione che il rischio di ammalarsi di cancro al seno aumenta significativamente, fino a raddoppiare, con l’aumentare della glicemia (anche all’interno dell’intervallo di normalità). Erano gli anni del grande entusiasmo per la mappatura del genoma umano e il nostro articolo non risvegliò alcun interesse. Confermammo l’osservazione con una casistica più ampia nel 2006 e dimostrammo anche che il rischio di cancro al seno è tanto più alto quanto più la dieta è ricca di cibi che fanno aumentare la glicemia. Negli stessi anni pubblicammo che le donne con sindrome metabolica, definita dalla presenza di adiposità addominale, dislipidemia, ipertensione e iperglicemia, hanno un rischio più che doppio di sviluppare un cancro al seno e che le pazienti con sindrome metabolica hanno un rischio più che doppio di recidiva.
La dieta macrobiotica, cioè una dieta basata prevalentemente su cereali integrali, legumi e verdure, riduce i parametri della sindrome metabolica. È noto che la sindrome metabolica è associata a uno stato infiammatorio cronico, rilevabile con i livelli plasmatici di proteina C reattiva, che favorisce la proliferazione delle cellule tumorali.
Finalmente, nel 2013, 2014 e 2015, confermammo che nelle donne che hanno avuto il cancro al seno la glicemia alta e la sindrome metabolica sono associate a un maggior rischio di sviluppare metastasi e che la sindrome metabolica è molto rara in chi rispetta le raccomandazioni alimentari del Codice Europeo per la Prevenzione del Cancro (fare quotidianamente attività fisica, basare la dieta quotidiana su cereali integrali, legumi, verdure e frutta, evitare i salumi, evitare le bevande zuccherate, limitare le carni rosse e i cibi industriali ricchi di grassi e zuccheri). Scorrendo la letteratura scientifica degli ultimi anni si scopre che per quasi tutti i tipi di tumore sono stati pubblicati studi che mostrano che alti livelli plasmatici di glicemia e proteina C reattiva, anche se all’ interno dei limiti di normalità, sono associate a prognosi peggiore.
Mi auguro che questa abbondanza di dati rassicuri i colleghi che si occupano di curare il cancro e altre malattie croniche circa l’opportunità di dare indicazioni alimentari ai pazienti per tener bassa la glicemia e l’infiammazione.
Ma, se la gente sta bene non torna certo dal dott/prof: la saggezza cinese aveva già trovato la soluzione..."Paga il medico finchè sei sano, smetti di pagarlo finchè sei ammalato!".
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