IL MANICOMIO CHIMICO

«il problema in questo nuovo secolo moderno non è più il manicomio tout-court, il manicomio come lo conoscevamo, il manicomio concreto fatto di lacci, fasce, muri, sbarre, chiavistelli, porte, ma il vero manicomio si è fatto astratto, invisibile, inafferrabile, il vero manicomio, ora, si è trasferito direttamente nella testa, si è trasferito nei pensieri e in quelle vie neurotrasmettitoriali che li regolano, il vero manicomio, in questo nuovo secolo appena iniziato, sono i farmaci, il vero, pericoloso, subdolo manicomio è quello chimico (e ciò che lo precede, e lo giustifica, ovvero la diagnosi» Piero Cipriano (p. 35)

Sarebbe sbagliato pensare che l’invasione degli psicofarmaci riguardi soltanto “i malati”, visto che, sostiene Cipriano, agli psichiatri ed alle case farmaceutiche interessano anche altri soggetti. Da qualche tempo la diagnosi sembra sottostare all’urgenza burocratica di considerare “malattia” qualunque disagio psichico e, come abbiamo visto, la sua cura proposta, facilmente, prevede il ricorso ai farmaci. Oggi, mette in guardia l’autore, si può diventare pazienti psichiatrici senza saperlo; per ogni stato emotivo forte esiste “il farmaco giusto” e se, ad esempio, un lutto determina uno stato di tristezza prolungato, in un attimo questa può essere rubricata come depressione e curata attraverso psicofarmaci. Soprattutto in paesi come gli Stati Uniti, se un bambino, ad esempio, è diagnosticato iperattivo rischia di essere “curato” con farmaci che lo deprimono e questo stato depressivo, a sua volta, viene curato con farmaci eccitanti. A quel punto il bambino è arruolato all’interno del circuito farmacologico ed è condannato ad essere un giovane psicotico

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