LA VITA COME UN ALGORITMO

Benvenuto nel mondo dove un agente sociale ha deciso chi sei e comprato il tuo tempo, dove il lavoro è automazione e l’intelligenza è praticamente solo artificiale. Il paradigma è l’algoritmo del capitale. La percezione di una minaccia è il nuovo progresso. Sono i bot, i profili fake sui social network, è la “gig economy” di Uber dove il boss è un algoritmo e i lavoratori sono gestiti attraverso il loro stesso smartphone. Sono le società che studiano i trend attraverso i dati internet. È la "sentiment analysis", bellezza. Ma sono le storie che ci raccontiamo a determinare le nostre percezioni, molto più di tante inascoltate analisi scientifiche. E guidare questo storytelling è la nuova faccia del capitalismo.

Lo aveva raccontato Zygmunt Bauman a “I diavoli”: «La prima cosa che balza alla mente quando viene menzionato il “progresso” è la prospettiva che sempre più posti di lavoro per gli esseri umani siano destinati a scomparire per essere sostituiti da computer e robot; come se si trattasse dell’ennesima collina ripida da oltrepassare nel corso di una battaglia per la sopravvivenza che ha necessariamente bisogno di essere combattuta. La maggior parte dei Millennials si aspetta che il futuro porti un peggioramento delle loro condizioni di vita, invece di aprire la strada a ulteriori miglioramenti, così come accaduto ai loro padri, che gli hanno insegnato a esigere e lavorare in questa direzione. Una tale visione di un “progresso” vissuto come inarrestabile fa presagire la minaccia di una perdita, invece di auspicare nuove conquiste; ed esso ora viene associato più ad una dislocazione sociale e ad una degradazione delle proprie condizioni, che alla possibilità di un avanzamento e di una evoluzione».

Dunque, sono le storie che ci raccontiamo a determinare le nostre percezioni, molto più di tante inascoltate analisi scientifiche. E a guidare questo storytelling è la nuova versione del capitalismo.

Ma come in ogni tumultuosa fase di passaggio, se è certo ciò che ci si lascia alle spalle, non è altrettanto certo ciò che si ha davanti. E quando l’immagine dell’avvenire pare troppo nitida, sorge il dubbio che a renderla tale provveda un inganno prospettico. Ovvero, quel “reincantamento del mondo”, figlio di un certo feticismo tecnologico, di uno storytelling intriso d’ottimismo e di una concezione “mitico-utopica” dei paradigmi scientifici, che può ottenebrare persino il pensiero critico.
Gli approdi, infatti, non sono mai perfettamente visibili all’orizzonte, anche se lo sguardo lungo e la lettura tendenziale paiono accorciare le distanze.
Da “Il capitalismo è morto. Anzi no”

http://www.idiavoli.com/2016/11/30/la-vita-come-un-algoritmo-capitalismo-robot/









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