lunedì 28 gennaio 2019

la robotizzazione dell’umanità

Prima la radio, poi il telefono, e ora internet: una rete di informazioni e scambi avvolge il pianeta Terra. Per connettersi non serve più un computer, né occorrono particolari conoscenze informatiche. Il collegamento a internet è alla portata di tutti, è una nuova necessità. Non possiamo più fare a meno di un cellulare collegato alla rete. Senza esso ci sentiamo isolati, tagliati fuori dal mondo. È sbagliato aver paura del cambiamento, e sarebbe assurdo non riconoscere i benefici che questa innovazione ha portato nelle nostre vite. Non per questo bisogna accettare passivamente ogni novità, ed è lecito e prudente sospettare che dietro un’esca appetitosa possa nascondersi un amo. La velocità ha aumentato a dismisura il ritmo delle comunicazioni. Lo scambio di informazioni però non è soltanto tempestivo, ma anche frettoloso, compulsivo, spasmodico. L’individuo può collegarsi al mondo intero, ma la strada si può percorrere in entrambe le direzioni. Chiunque può contattarci. L’utente della rete è una preda ambita, in particolare da ditte commerciali e movimenti politici (e ormai la differenza fra i due si va assottigliando). L’attenzione del potenziale cliente è un bene limitato, e la competizione per accaparrarsela non risparmia trucchi e colpi bassi. È necessario che il messaggio sia accattivante e semplice. Dev’essere breve, perché nessuno ha tempo e voglia di leggere un testo lungo. Non deve richiedere ragionamenti complessi per essere compreso. L’applicazione aggressiva di queste regole di comunicazione porta a un bombardamento di piacevoli banalità. Ci si abitua in fretta, anzi, è una vera e propria assuefazione. Una serie infinita di gratificazioni, senza alcun impegno intellettuale. La mente è come un muscolo: per farla funzionare occorre tenerla allenata. La comunicazione semplice e premasticata non comporta alcuno sforzo di comprensione, e così il pensiero si atrofizza. Si innesca un circolo vizioso: il pubblico perde la capacità di ragionare, le aziende adeguano il loro linguaggio semplificandolo ulteriormente. È una china rischiosa. La capacità di linguaggio influenza direttamente il modo in cui si pensa. Un linguaggio veloce e superficiale forma un popolo che non è in grado di sviluppare un pensiero autonomo. Non ci si sofferma, non si critica. Le idee si impoveriscono. Le convinzioni personali diventano uno slogan. Ai maghi neri della comunicazione va bene così: un simile pubblico non ha difese immunitarie contro le loro manipolazioni. La gente si riduce a una massa priva di cervello, che risponde in maniera meccanica agli stimoli di pochi pifferai spregiudicati. Ecco il maggior pericolo: l’anima smette di esser viva e autonoma, si meccanizza. Il battito del cuore diventa un ritmo sordo e regolare, come i cilindri di un motore a scoppio. I racconti di fantascienza ci hanno abituato all’idea della rivolta dei robot. La tecnologia si ribella contro l’uomo, la creazione artificiale si ribella contro il demiurgo umano. Il rischio più concreto e immediato non è però la ribellione degli automi contro l’umanità, ma la robotizzazione dell’umanità. La morale che diventa un calcolo di interessi. La volontà che si spegne, il libero arbitrio che cede il passo a un riflesso pavloviano. L’indifferenza, un’empatia sempre minore. L’individuo che si dissolve e diventa una macchina.

(Francesco Boer)
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