mercoledì 23 gennaio 2019

PERCHÉ È COSÌ DIFFICILE ESSERE FELICI (RUSS HARRIS)

Per rispondere a questa domanda, proviamo a fare un viaggio indietro nel tempo.

La mente umana moderna, con la sua sorprendente capacità di analizzare, pianificare, creare e comunicare, si è evoluta in gran parte nel corso degli ultimi 100.000 anni, da quando la nostra specie, Homo sapiens, è comparsa per la prima volta sul pianeta.


Ma le nostre menti non si sono evolute per farci «sentire bene» e raccontare barzellette, scrivere poesie o dire «ti amo».

Le nostre menti si sono evolute per aiutarci a sopravvivere in un mondo pieno di pericoli.
Immagina di essere un primitivo cacciatore-raccoglitore.

Di che cosa hai bisogno, essenzialmente, per sopravvivere e riprodurti?
Di quattro cose: cibo, acqua, riparo e sesso.
Ma nessuna di esse è importante se sei morto.

Quindi, la priorità numero uno della mente dell’uomo primitivo era quella di prestare attenzione a tutto ciò che poteva costituire un pericolo e di evitarlo.

La mente primitiva era sostanzialmente un dispositivo per non farsi uccidere e si dimostrò di enorme utilità.
Più i nostri antenati diventavano bravi a prevedere ed evitare il pericolo, più a lungo vivevano e più figli facevano.

Perciò, di generazione in generazione, la mente umana è divenuta sempre più abile nel prevedere ed evitare il pericolo.

E ora, dopo 100.000 anni di evoluzione, la mente moderna è costantemente all’erta, impegnata a valutare e giudicare tutto ciò che incontriamo: è buono o cattivo? È sicuro o pericoloso? È dannoso o utile?
Oggi, tuttavia, la nostra mente non ci mette in guardia contro le tigri dai denti a sciabola o i pelosi mammut; i «nemici» sono invece perdere il lavoro, essere esclusi, prendere una multa per eccesso di velocità, rendersi ridicoli in pubblico, ammalarsi di cancro o mille e più altre preoccupazioni quotidiane.

Così trascorriamo un sacco di tempo a preoccuparci di cose che, il più delle volte, non succedono mai.

Un’altra cosa essenziale per la sopravvivenza di un uomo primitivo è l’appartenenza a un gruppo.

Se il tuo clan ti caccia via, non ci vorrà molto tempo perché i lupi ti trovino.
E allora, in che modo la mente ti protegge dall’esclusione dal gruppo? Confrontandoti con gli altri membri del clan.
Mi sto integrando con gli altri?
Sto facendo la cosa giusta? Sto contribuendo abbastanza?
Sono bravo come gli altri? Sto facendo qualcosa per cui potrei essere allontanato?
Ti suona familiare?

Le nostre menti moderne continuano a metterci in guardia rispetto alla possibilità di essere rifiutati e ci inducono a confrontarci con il resto della società.

Niente di strano, quindi, se dedichiamo tante energie a preoccuparci di piacere! Niente di strano se cerchiamo sempre dei modi per migliorarci o se ci deprimiamo perché «non siamo all’altezza».

100.000 anni fa dovevamo confrontarci soltanto con i pochi membri del nostro clan. Ma di questi tempi basta dare un’occhiata a un quotidiano, a una rivista o alla televisione per trovare immediatamente una miriade di persone più intelligenti, più ricche, più magre, più sexy, più famose, più potenti o più di successo di noi.
Quando ci confrontiamo con queste favolose creature mediatiche, ci sentiamo inferiori o delusi della nostra vita.
A peggiorare ulteriormente le cose, oggi le nostre menti sono così sofisticate che possono costruire un’immagine di fantasia della persona che idealmente ci piacerebbe essere, e poi ci confrontiamo con quella!

Che possibilità abbiamo? Finiremo sempre col sentire di non essere abbastanza.

Ora, per una qualsiasi persona ambiziosa dell’Età della pietra, la regola generale del successo è: prendi di più e migliora.
Migliori sono le armi e più cibo si potrà uccidere. Maggiori sono le riserve di cibo, maggiori saranno le possibilità di sopravvivere ai periodi di carestia.
Più il tuo riparo è solido, più sarai protetto dalle intemperie e dalle belve.
Più figli hai, maggiori saranno le probabilità che qualcuno raggiunga l’età adulta.

Non sorprende quindi che la nostra mente moderna cerchi continuamente «di più e di meglio»: più denaro, un lavoro migliore, più prestigio, un corpo migliore, più amore, un partner migliore.

E se ci riusciamo, se effettivamente otteniamo più denaro o un’automobile migliore o un corpo di aspetto migliore, allora siamo soddisfatti —per un po’.
Ma presto o tardi (e di solito è presto), finiamo per volerne di più.

Così, l’evoluzione ha modellato il nostro cervello in un modo che ci fa essere strutturati per soffrire psicologicamente: per confrontare, valutare e criticare noi stessi, per concentrarci su ciò che ci manca, per divenire rapidamente insoddisfatti di ciò che abbiamo e per immaginare ogni genere di scenario spaventoso, la maggior parte dei quali non si realizzerà mai.

Non c’è da sorprendersi che per l’uomo sia difficile essere felice!

(tratto da “La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere”, Russ Harris)
http://altrarealta.blogspot.it/