Michela Murgia, la scrittrice ribelle de che




Il 10 agosto l’anima della scrittrice Michela Murgia ha lasciato il suo corpo. Non la conoscevo, per cui mi ha incuriosito il battage mediatico che oramai dura da giorni. Innanzitutto, viene dipinta come una donna che “ha affrontato con estremo coraggio” la sua malattia. Questa espressione, utilizzata spesso dai media, non l’ho mai capita: ma perché... le altre persone affrontano il cancro da fifoni? Si nascondono per non essere trovati? A me risulta che il cancro tiri fuori il coraggio da chiunque; l’unica differenza sta nel fatto che chi non è famoso non può rilasciare dichiarazioni che poi vengono ascoltate da milioni di persone.








Viene anche dipinta come una ribelle e “una persona scomoda per le sue idee”. Scomoda per le sue idee? Non conoscendola come scrittrice non posso pronunciarmi sul suo valore come tale, per cui ho cercato informazioni sulla persona, per capire da dove deriva tanta venerazione e tanta “scomodità sociale”. Ho subito immaginato che fosse schierata contro la fornitura di armi all’Ucraina e fermamente contraria alla conseguente espansione della Nato verso Oriente; ho pensato fosse molto attiva nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla scomparsa di milioni di bambini (ogni anno) nel mondo; ho visualizzato la nostra Michela in prima linea nel cercare di fermare lo sfruttamento delle riserve auree e diamantifere africane da parte delle banche occidentali (fenomeno che mantiene nella fame diversi popoli). Ma la nostra Martina Luther Queen (non voglio fare discriminazioni gender!) non aveva tempo da impiegare in questi futili temi.



Ho scoperto, invece, che la nostra beneamata si è occupata di problemi ben più urgenti e “scomodi” per il sistema socio-politico occidentale: ha lottato affinché venisse adottato lo schwa (il linguaggio inclusivo di genere, cioè la “e” capovolta alla fine delle parole, in modo da non far sentire discriminato nessuno... ma storpiando così la lingua italiana). Le sue campagne per i diritti umani si sono inoltre concentrate sul favorire l’aborto e l’omogenitorialità.



Insomma, la filosofia tanto osannata dai media – e di cui la Murgia è stata paladina – è la solita filosofia della volontà opposta alla natura (decido io di che sesso voglio essere, decido io se un bambino può nascere oppure no) e dei diritti opposti ai doveri (è nostro diritto avere un bambino, anche se siamo due uomini).



Ripeto, il mio non è un giudizio sull’artista, ma unicamente una riflessione sul comportamento dei media mainstream e della fascia intellettualmente meno fortunata degli italiani, i quali riescono a vedere la ribellione dove c’è solo conformismo e la libertà dove c’è il rifiuto delle leggi naturali e della disciplina interiore.



Come avrà capito chi mi segue da tempo, mi affascinano i fenomeni sociali (vedi Grande Fratello o Festival di Sanremo) e i relativi comportamenti delle masse. Fa parte del mio lavoro conoscere l’uomo in toto, sia come individuo sia inteso come folla. Detto questo, vedere in tv Elly Schlein (una donna la cui faccia mi ricorda Yasser Arafat da giovane!) e Roberto Saviano... insieme... al funerale della Murgia, non ha avuto un buon effetto sulla mia fisiologia generale. Per carità, non che io non apprezzi le abitudini delle forme di vita inferiori, ma sentire Elly Schlein e Paola Turci cantare “Bella Ciao” mi ha fatto proprio senso: emettevano gli stessi suoni di chi si accorge che non gli si è aperto il paracadute.



In ogni caso... buon viaggio, Michela. Che Dio sia soddisfatto di te.



Salvatore Brizzi

[Il mondo è bello, siamo noi ad esser ciechi]

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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