sabato 2 febbraio 2013

QUESTO HA SENSO RACCONTARE ADESSO


Gigetto, un mago di falegname che faceva il più raffinati calci da fucile da caccia che io abbia mai visto. In quella spoglia casa di campagna ci vivevano lui, settantottenne, e la ragazza, trentenne. Due appartamentini dirimpettai ricavati con poco da quel rudere. La ragazza, che dire, una campagnola di origine, veramente bella però, fine, ma soprattutto un gran cuore. Gigetto, che dire, mite, sempre gentile, mai una volta che mancasse se c’era da aiutare la ragazza, che so, riparare la caldaia, riattaccare la rete del giardino, sbloccare la porta del garage di latta arrugginita.
Che strano rapporto quei due, lei mi parlava di Gigetto, e io sempre mi sentivo trasportato in un  mondo dove esistono anime miti e anonime che però valgono il cielo. Gigetto, col sorriso sempre buono.
Il giorno in cui Gigetto si è ammazzato con uno dei suoi fucili, la ragazza ha trovato sul suo stuoino un biglietto di carta marrone e una moneta antica forata con un laccio come collana. Per lei.
E a me manca l’essere trasportato in un  mondo dove esistono anime miti e anonime che però valgono il cielo.
Questo ha senso raccontare adesso.




Massimo. Che figo, una faccia da modello californiano, un cervello bionico. Dopo 5 canne e magari qualche Ceres quello ti snocciolava tutta la cronologia degli amministratori della città degli ultimi 6 anni, partiti, incarichi, delibere fatte, date. Abbiamo fatto belle cose assieme.
Suo padre un giorno sbrocca, molla moglie e due figli e va a vivere nei cartoni sulle pensiline della stazione. Barbone.
Massimo? Si toglie l’orologio d’oro, si fa l’ultima doccia, e va a vivere accanto a suo padre per due anni, a puzzare, a mangiare nei bidoni dell’immondizia.
Lo recupera, poi a 32 anni stramazza per un infarto.
Questo ha senso raccontare adesso. 


Stefano non ha assolutamente fame. Siamo seduti nel salottino della pre-morte, ha la chemio al braccio. E’, credo, la diciottesima, non scherzo. Faceva il dj, poi dopo il cancro si era messo a farsi, poi si è messo a lavorare per i poveri. Vabbè, siamo lì, nella sala della pre-morte. Ci guardiamo in faccia, qualche parola, così, a caso.
A un certo punto una zanzara gli si posa sulla fronte sudata e color verdognolo. Lo punge. Lui si dà una pacca e le manda un accidente. Io gli dico: “Pensa la sfiga di quella zanzara, ti ha ciucciato il sangue più velenoso della terra, e fra 2 minuti è incenerita”.
E giù tutti a ridere, lì, in quel posto.
Questo ha senso raccontare adesso.