La padella e la brace di Marco Travaglio L’idea di avere in Siria un nuovo Califfato jihadista al posto della tirannide degli Assad riempie di entusiasmo gli scemi di guerra atlantoidi. Rimbambiden, Macron, Ursula, Metsola, Kallas e Zelensky esultano per la fine della dittatura senz’accorgersi che ne è già iniziata un’altra, che ci odia più della precedente. Repubblica e Stampa squadernano l’album fotografico del capo dei cosiddetti “ribelli” al Jolani, segnalandone la poetica somiglianza con Fidel Castro. Ma sul web c’è chi giura che il simpatico seguace di al Zarqawi e al Baghdadi, grande fan dei massacri delle Torri Gemelle e del 7 Ottobre, ricercato dagli Usa con taglia di 10 milioni come uno dei terroristi più pericolosi del mondo, ricordi anche Borat (al netto del costumino con sospensorio e bretelle), Che Guevara, Gesù e forse – parlando con pardòn – Draghi. Il Foglio tripudia per le “due vittorie dell’Occidente dietro la caduta di Assad” (non una: due). Sambuca Molinari gongola per “il successo della Turchia di Erdogan”, l’autocrate e macellaio di curdi che, essendo iscritto al club Nato, sfugge alla spiacevole distinzione “aggressore/aggredito”. Infatti anche la pulizia etnica di 120 mila armeni in Nagorno Karabakh a opera dei suoi complici azeri è stata, per Sambuca, un “successo”. Pensare che, siccome Assad era (anche) amico di Putin e dell’Iran, la sua caduta sia una benedizione, è roba da menti malate che scambiano la geopolitica per un derby di calcio. I mujaheddin erano belli e buoni quando combattevano (con le nostre armi) gli invasori russi, poi divennero “talebani” brutti e cattivi quando (sempre con le nostre armi) combattevano gli invasori Nato. Saddam era un caro amico quando combatteva (con le nostre armi, anche chimiche) gli ayatollah, poi divenne un puzzone quando, finite le nostre armi chimiche, inventammo che le avesse ancora per poterlo invadere ed esportare la democrazia in Iraq mettendo gli sciiti al posto dei sunniti. Solo che questi crearono il Califfato dell’Isis e ci toccò combatterli con l’aiuto di russi, iraniani e siriani, un po’ meno cattivi di prima, e col sacrificio dei curdi, poi mollati nelle grinfie di Erdogan. Intanto Obama e altri geni spasimavano per le Primavere Arabe, che però vinsero le elezioni in Egitto: allora le schiacciammo con il golpe di Al Sisi. Per non parlare della Libia dopo Gheddafi. Ora che si insediano a Damasco i reduci Isis&al Qaeda, con una decina di bande di tagliagole pronte a scannarsi per il potere, i soliti gonzi parlano di “Siria liberata”, “primavera siriana”, “jihadisti moderati” e “pragmatici”. Si illudono che, se uno è cattivo, il suo nemico sia buono. E che, se uno perde, l’altro vinca. Prima o poi capiranno che, nel nuovo caos mondiale, sono tutti cattivi e perdiamo tutti.

La padella e la brace
di Marco Travaglio

L’idea di avere in Siria un nuovo Califfato jihadista al posto della tirannide degli Assad riempie di entusiasmo gli scemi di guerra atlantoidi. Rimbambiden, Macron, Ursula, Metsola, Kallas e Zelensky esultano per la fine della dittatura senz’accorgersi che ne è già iniziata un’altra, che ci odia più della precedente. Repubblica e Stampa squadernano l’album fotografico del capo dei cosiddetti “ribelli” al Jolani, segnalandone la poetica somiglianza con Fidel Castro. Ma sul web c’è chi giura che il simpatico seguace di al Zarqawi e al Baghdadi, grande fan dei massacri delle Torri Gemelle e del 7 Ottobre, ricercato dagli Usa con taglia di 10 milioni come uno dei terroristi più pericolosi del mondo, ricordi anche Borat (al netto del costumino con sospensorio e bretelle), Che Guevara, Gesù e forse – parlando con pardòn – Draghi. Il Foglio tripudia per le “due vittorie dell’Occidente dietro la caduta di Assad” (non una: due). Sambuca Molinari gongola per “il successo della Turchia di Erdogan”, l’autocrate e macellaio di curdi che, essendo iscritto al club Nato, sfugge alla spiacevole distinzione “aggressore/aggredito”. Infatti anche la pulizia etnica di 120 mila armeni in Nagorno Karabakh a opera dei suoi complici azeri è stata, per Sambuca, un “successo”.

Pensare che, siccome Assad era (anche) amico di Putin e dell’Iran, la sua caduta sia una benedizione, è roba da menti malate che scambiano la geopolitica per un derby di calcio. I mujaheddin erano belli e buoni quando combattevano (con le nostre armi) gli invasori russi, poi divennero “talebani” brutti e cattivi quando (sempre con le nostre armi) combattevano gli invasori Nato. Saddam era un caro amico quando combatteva (con le nostre armi, anche chimiche) gli ayatollah, poi divenne un puzzone quando, finite le nostre armi chimiche, inventammo che le avesse ancora per poterlo invadere ed esportare la democrazia in Iraq mettendo gli sciiti al posto dei sunniti. Solo che questi crearono il Califfato dell’Isis e ci toccò combatterli con l’aiuto di russi, iraniani e siriani, un po’ meno cattivi di prima, e col sacrificio dei curdi, poi mollati nelle grinfie di Erdogan. Intanto Obama e altri geni spasimavano per le Primavere Arabe, che però vinsero le elezioni in Egitto: allora le schiacciammo con il golpe di Al Sisi. Per non parlare della Libia dopo Gheddafi. Ora che si insediano a Damasco i reduci Isis&al Qaeda, con una decina di bande di tagliagole pronte a scannarsi per il potere, i soliti gonzi parlano di “Siria liberata”, “primavera siriana”, “jihadisti moderati” e “pragmatici”. Si illudono che, se uno è cattivo, il suo nemico sia buono. E che, se uno perde, l’altro vinca. Prima o poi capiranno che, nel nuovo caos mondiale, sono tutti cattivi e perdiamo tutti.

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