LA TRAGICA STORIA DI DOLCINO
Fra Dolcino è certamente uno dei pensatori più affascinanti della nostra storia. Ripropongo la sua storia traendola da vari link che la riportano. Ho fatto io un collage delle varie notizie che riguardano Dolcino e Margherita al fine di essere il più esaustivo possibile. Nei link che indico, comunque, si possono trovare altre notizie.
Riferimenti bibliografici on line utilizzati:
http://web.tiscali.it/teses/minibooks/storia/fradolcino.html
http://www.eresie.it/id334.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Fra_Dolcino
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/dolcino.html
Premessa
Tutto era cominciato con il Concilio di Lione (1274), che ereticizzava il dissenso, introduceva l’Inquisizione, imponeva una teologia di carattere teocratico che non poteva che scontrarsi con altre ed opposte istanze pure presenti da gran tempo tra il “popolo di Dio” e nella stessa Chiesa gerarchica.
La frattura prodotta da questo Concilio fu di portata storica: basti pensare che esso pose le basi per una successiva identificazione tra “eresia” e “magia - stregoneria”, dei cui frutti avvelenati patirà l’intera Europa con roghi isolati, dapprima, e con la caccia a streghe e stregoni poi e per lungo tempo (XV-XVII secolo).
Dolcino fu dapprima seguace e poi erede spirituale di Gherardino Segalello da Parma, passato alla storia per la penna non propriamente a lui favorevole di Salimbene de Adam. Gherardino aveva dato vita agli Apostolici, un movimento di penitenza e di ritorno alle origini dell’uguaglianza cristiana e della più stretta povertà francescana.
Mal gliene incolse, perché, dopo il carcere duro e la successività condanna a quello perpetuo, fu mandato a morte il 18 luglio del 1300, e a nulla gli valse la protezione del vescovo di Parma, Obizzo Sanvitali, che aveva cercato di proteggerlo ricorrendo all’espediente di farlo passare per “ydiota”, come potevano suggerire i comportamenti giullareschi di Gherardino, in tutto imitatore di Francesco, il secondo Cristo.
Vita e parte del pensiero
Dolcino Torielli (o Tornielli) nacque, intorno al 1250/1260, probabilmente a Prato Sesia (Novara) e si dice fosse il figlio illegittimo di un prete spretato. Crebbe a Vercelli educato dal maestro Sion. In gioventù fu probabilmente un francescano o perlomeno compì degli studi regolari, perché mostrò sempre una certa cultura e una buona conoscenza del latino e delle Sacre Scritture.
Nel 1290 entrò nel movimento degli apostolici di Gherardo Segarelli, ma per diversi anni non si fece particolarmente notare.
Il cambiamento avvenne nel 1300 dopo la morte sul rogo del Segarelli: la repressione da parte della Chiesa cattolica fu molto brutale e lo stesso Dolcino riparò per qualche tempo in Dalmazia. Da qui scrisse la prima delle sue lettere a tutti i seguaci del movimento, presentando la sua idea sullo sviluppo delle ere della Storia rielaborando le ben note teorie di Gioacchino da Fiore. Il concetto e semplice ed interessante: la setta degli Apostolici è totalmente spirituale, non vi sono vincoli esteriori. E' uno strumento di Dio per salvare le anime. I "cattivi" per Dolcino sono i preti ed i frati francescani e domenicani. Nell'interminabile lettera scritta da Dolcino si afferma che il quarto ed ultimo Stato della Chiesa è stato annunciato da segni inequivocabili. Tutti i religiosi (frati ed ecclesiastici) verranno sterminati da Federico d'Aragona, re di Sicilia; Bonifacio VIII sarà assassinato ed al suo posto andrà un Papa eletto da Dio ed allora tornerà la pace tra i Cristiani. Sempre all'interno della lettera sono elencati i sette angeli dell'Apocalisse
(L'angelo di Efaso fu S. Benedetto; L'angelo di Pergamo fu S. Silvestro;
L'angelo di Sardi fu S. Francesco; L'angelo di Laodicea fu S. Domenico, che aveva fondato l'ordine antieretico dei Domenicani; L'angelo di Smirne fu Gerardo;
L'angelo di Tiatira fu Fra Dolcino; L'angelo di Filadelfia sarebbe stato un Papa successore di Bonifacio VIII).
Una possibile immagine di Dolcino
Una possibile immagine di Margherita
Ben presto Dolcino fu nominato capo del movimento degli apostolici e nei primi mesi del 1303, egli trasferì il movimento sulle montagne del Trentino, vicino ad Arco sul Lago di Garda, dove conobbe Margherita di Trento, figlia della contessa Oderica di Arco ed educanda in un convento. La fanciulla sarebbe diventata la futura compagna di Dolcino, nella vita e nella morte.
La rigorosa coerenza nell'essere sempre aderente con l'azione da lui predicata, in tempi in cui questo esercizio - stando a quanto racconta la storia - era disatteso in primis proprio dai grandi prelati, fece sì che il seguito che raccolse durante l'incessante peregrinare in alta Italia (ben presto tramutatosi in vera e propria fuga dalle autorità) aumentasse giorno dopo giorno.
Come sempre avveniva in casi simili, molti - avvinti dalla sincerità e coerenza del predicatore di passaggio - decidevano di seguirlo, finendo anche per vendere ciò che possedeva per versare il ricavato nelle casse del trascinatore.
Perseguitato dalla Chiesa corrotta trovò sostegno e rifugio in svariati luoghi dell'Italia settentrionale, dove continuò a predicare le sue convinzioni. Gli inquisitori avevano ormai istituito numerosi processi contro Dolcino ed i suoi seguaci.
Dolcino non dovette scappare da Vercelli per via dei furti come viene spesso scritto, ma per ragioni politiche. L'instaurazione guelfa aveva appunto fatto scappare le famiglie ghibelline. Da Arco, Dolcino scrisse la seconda delle sue lettere agli apostolici dove pubblicò anche il numero di seguaci in Italia, oltre quattromila fratelli e sorelle, con i nomi degli esponenti di maggior rilievo. Ribadiva la sua profezia di sterminio di preti e monaci ad opera di Federico re di Sicilia e che nel 1305 avrebbe ottenuto giustizia e pace tra i Cristiani. Purtroppo però il suo gruppo era ormai alle strette. Dolcino pensò così di trovare rifugio tra le montagne dove trascorse la sua giovinezza. Pensava di potersi difendere, attendendo che le sue profezie si fossero avverate.
Tuttavia poiché la lunga mano dell'Inquisizione era giunta fino in Trentino con il rogo di tre apostolici, Dolcino decise nel 1304, per organizzare meglio la resistenza, di guidare i suoi seguaci (ben tremila persone) con una epica marcia attraverso le montagne lombarde fino in Val Sesia, la sua terra natia. Si dice che il nome di Campodolcino, un paese vicino a Chiavenna, sia una diretta testimonianza di questo esodo di massa dei dolciniani.
In Val Sesia i dolciniani si insediarono dapprima nella parte bassa della valle tra Gattinara e Serravalle, in località Piano di Cordova, nel feudo dei conti di Biandrate, e grazie all'apporto di servi fuggiaschi dei vescovi di Novara e di Vercelli, arrivarono ad essere una schiera di circa 4.000 persone. Si unirono anche diversi letterati provenienti da varie parti d'Italia (Bologna, Toscana e Umbria), come Bentivegna da Gubbio. Nei suoi spostamenti Dolcino continuò la sua predicazione ed aggregava persone al suo movimento. La sua grande abilità consisteva nell'essere efficace e convincente, sebbene dovesse agire di nascosto. Riuscì infatti a corrompere il rettore della chiesa di Serravalle.Successivamente sotto l'incalzare delle truppe dei vescovi di Novara e Vercelli, essi si spinsero più in su nella valle, nei possedimenti di un ricco valligiano, di nome Milano Sola, di Campertogno, un paese pochi chilometri prima di Alagna. Da lì, per difendersi meglio dapprima si trasferirono sulle pendici della Cima Balme ed infine in Val Rassa, vicino a Quare, su una montagna denominata Parete Calva, dove i superstiti (circa 1.500 persone) si asserragliarono per tutto l'inverno del 1304. Da qui scendevano per saccheggiare e rubare nei villaggi sottostanti.
Ogni azione malvagia compiuta dai dolciniani in questo periodo fu giustificata da Dolcino. Egli riteneva che essi fossero talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto contro i fedeli a Santa Romana Chiesa senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15) ed in questo essi assomigliarono molto ai Fratelli del Libero Spirito.
Ma nel rigido inverno del 1305 la morsa dell'assedio delle truppe cattoliche e dei valligiani fu talmente incisiva che Margherita di Trento, con inaspettato coraggio, decise lei stessa di guidare il gruppo in una disperata azione di sgancio dall'assedio attraverso montagne e passi innevati fino alla loro nuova roccaforte, il monte Rubello (oggi San Bernardo), vicino a Trivero, in provincia di Vercelli, dove giunsero nel Marzo 1306. Ranieri Avogadro di Pezzana, vescovo di Vercelli, nonché signore di Biella, organizzò le prime difese.
Nel frattempo, nello stesso 1306, volendo definitivamente farla finita con questa setta, il Papa Clemente V (1305-1314) aveva bandito una crociata, cui avevano aderito gli Inquisitori di Lombardia, l'arcivescovo di Milano, e Ludovico di Savoia. Addirittura furono reclutati uomini persino a Genova da inviare contro Dolcino.
Le bolle papali, emesse da Bordeaux, da papa Clemente V, il 26 agosto del 1306 fecero accorrere ancora più gente in difesa della Chiesa Romana. Veniva raccontato che gli uomini di Dolcino fossero spietati criminali, che raziassero, uccidessero, mutilassero ed incendiassero ogni cosa che trovavano sul loro cammino. Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l'eresia dolciniana - questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche - avrà rimessa la totalità dei peccati.
I dolciniani, completamente circondati e posti d'assedio dalle truppe cattoliche, resistettero per circa un anno. Con una resistenza disperata gli uomini di Dolcino riuscirono a respingere l'esercito, facendo anche diversi prigionieri, tenuti per il riscatto, ma poi, oramai ridotti in condizioni disumane (mangiavano carne di topi e di cani e ci furono perfino episodi di cannibalismo), dopo un ultimo assalto, costato la morte a 800 dolciniani, si arresero alfine nel 1307. La battaglia ebbe luogo il 23 Marzo (giovedì santo), l'esercito cristiano fece 140 prigionieri, trovando sulle montagne oltre 400 morti, dalla fame e dal freddo.
Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo di Bergamo, luogotenente di Dolcino, vennero catturati vivi e il 25 marzo furono portati al castello di Biella, dove Longino e Margherita furono arsi sul rogo il 1° Giugno 1307, nonostante i tentativi di alcuni nobili locali di salvare la vita della donna, facendola abiurare. Longino fu arso vivo sulle rive del Torrente Cervo. Dolcino fu costretto ad assistere al rogo della sua compagna (Darà - come dice un cronista anonimo del tempo - continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero") e successivamente portato a Vercelli per essere, a sua volta, arso (1° giugno del 1307). A sentenza emessa e prima che fosse giustiziato, Dolcino su sottoposto ad una sorta di tortura: incatenato su un carro tirato da due lenti buoi farà un interminabile percorso per le vie cittadine mentre due aguzzini con tenaglie arroventate strapperanno, di tanto in tanto, parti del suo corpo. Il cronista anonimo - che assistette alla scena - scrisse che "mai un solo lamento uscì dalla bocca del frate, e solo quando gli fu strappato il pene si sentì un verso rauco come di animale ferito". Quindi Dolcino fu issato sul rogo e arso vivo. Nonostante questa atroce tortura, Dolcino non si lamentò mai, eccetto quando si strinse nelle spalle all'amputazione del naso o quando sospirò profondamente al momento dell'evirazione. Nessuno di loro rinnegò le proprie dottrine, nemmeno durante le precedenti torture ed il rogo.
Uno tra i più crudeli inquisitori della storia della Chiesa, Bernardo Gui, disse:
"Dolcino radunò nella sua setta ereticale molte migliaia di persone di entrambi i sessi, da ogni dove, soprattutto in Italia settentrionale e in Toscana e nelle altre regioni vicine, e a loro trasmise una dottrina pestifera e predisse molti avvenimenti futuri con spirito, non tanto profetico quanto fanatico ed insensato, affermando e fingendo di avere da Dio delle rivelazioni e uno spirito profetico. Ma in tutte queste cose fu trovato falso, ingannatore ed illuso, insieme con Margherita, sua malefica ed eretica compagna nei delitti e nell'errore..." (Bernardo Gui, De secta illorum qui se dicunt esse de ordine apostolorum).
Agli esordi del ’500, qualcosa di simile accadrà in Valcamonica, dove intere comunità opporranno resistenza alla drammatica ridistribuzione della ricchezza messa in atto dal mercantilismo della recente dominazione veneziana.
Anche qui la guerra contadina sarà camuffata dai poteri forti (civile e religioso) come eresia e stregoneria, con relativi rituali sacrificali di decine di montanare/i arsi sulle pubbliche piazze.
Ma già molto prima, tra il secondo Duecento ed il primo Trecento, eretici e dissidenti avevano trovato buona accoglienza presso le vicinie di questa valle lombarda, poiché i due paradigmi di riferimento della vita comune, fondati sul principi dell’uguaglianza naturale e spirituale, e praticati attraverso la regola del solidarismo redistributivo di sopravvivenza, erano identici. Ne sono una riprova le forme di conduzione della comunità civile (vicinia-vicinanza-comunanza) e di quella dell’associazionismo religioso (confraternita), che presentano figure e modalità sostanzialmente identiche.
Ancora in Valcamonica, ma molto lontano dal tempo di fra’ Dolcino e all’interno di tutt’altra cultura religiosa, attorno alla metà del ’600, presso un’altra “setta”, quella dei Pelagini, anch’essi perseguitati e sradicati, si potrà ritrovare la certezza utopica dell’avvento di un “papa angelico”, un pontefice riformatore e rinnovatore della Chiesa stessa, nel capo e nelle membra.
Forse il tracciato di un’indagine storica dei ceti popolari sconfitti, se improntato nella direzione di scoprirne ed illustrarne anche le morfologie permanenti, potrebbe riportare in vita se non il panico che molti in tempi lontani provarono per fra’ Dolcino e gli Apostolici, per lo meno una più onesta attenzione verso la storia delle cosiddette classi subalterne e i loro progetti, perché mostrerebbe come la storia, almeno talvolta, andrebbe percorsa anche con i “se”, attraversata, cioè, da ipotesi utopiche che sono state sconfitte, ma non per questo sono liquidabili come morte o inefficaci.
La tragica vicenda di Dolcino suscitò l'interesse di diversi letterati nel corso dei secoli come Nietzsche che ha esaltato la figura di Dolcino come quella di un prototipo ideale del super-uomo, così come egli lo immaginava:"Dolce e spietato, al di sopra di ogni miserabile morale, praticamente l'individuo che può porsi al di là del bene e del male".
e Dante Alighieri, che lo descrisse nell'Inferno nel canto XXVIII ai versi 55-60
Siamo tra gli scismatici e seminatori di discordie e parla a Dante nientemeno che Maometto:
Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
S’egli non vuol qui tosto seguitarmi,
Sì di vivanda, che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch’altrimenti acquistar non saria a lieve.
Nel 1907 sul luogo della sua ultima resistenza fu eretto un obelisco commemorativo, che fu abbattuto a cannonate durante il fascismo per essere poi ricostruito negli anni '60.
La dottrina
Come si diceva, Dolcino si ispirò alle dottrine millenariste di Gioacchino da Fiore. Secondo Dolcino, la storia dell'umanità era contraddistinta da quattro periodi:
- Quello del Vecchio Testamento, caratterizzato dalla moltiplicazione del genere umano,
- Quello di Gesù Cristo e degli Apostoli, caratterizzato dalla castità e povertà,
- Quello iniziato al tempo dell'imperatore Costantino e di Papa Silvestro I, caratterizzato da una decadenza della Chiesa a causa dell'accumulo delle ricchezze e dell'ambizione,
- Quello degli apostolici Segalelli e Dolcino, caratterizzato dal modo di vivere apostolico, dalla povertà, dalla castità e dall'assenza di forme di governo ed esso sarebbe durato fino alla fine dei tempi.
Inoltre, nelle sue lettere, egli fece ampio accenno all'Apocalisse di Giovanni e in particolare ai sette angeli delle sette chiese, precursori della propria setta. Egli infatti attendeva il settimo angelo, cioè di un papa, finalmente eletto da Dio e non dai cardinali: questi ultimi sarebbero stati distrutti, assieme a Papa Bonifacio VIII (1294-1303), da Federico III d'Aragona e di Sicilia (1296-1337), re nel quale erano state riposte le speranze dei ghibellini italiani.
Nonostante le profezie di Dolcino su Federico III non si avverassero, Dolcino rimase sempre un riferimento per i suoi seguaci ai quali aveva predetto che, sotto questo nuovo papa, gli apostolici avrebbero potuto ricevere la grazia dello Spirito Santo e predicare e vivere in pace fine alla fine dei tempi.
La vicenda degli Apostolici si inscrive nella grande crisi della cristianità tra XIII e XIV secolo, ben rappresentata dalla disputa interna all'ordine francescano tra conventuali e spirituali. Da un lato i fautori di una canonizzazione e di un'equiparazione agli altri ordini monastici, dall'altro i partigiani dell'adesione letterale al messaggio e all'esempio di Francesco, che rifiutavano proprietà, beni, inserimento nella gerarchia e nel "sistema" Chiesa. Un conflitto che si trascinerà per oltre un secolo a suon d'inquisizioni, e da cui a loro volta si diramano altri conflitti e movimenti.
Tra questi, gli Apostolici di Gerardo Segarelli prima e di Dolcino poi predicavano e praticavano una separazione totale dalla Chiesa romana, vista come un'istituzione corrotta e putrescente, destinata ad essere abbattuta da un nuovo potere statale, un nuovo Imperatore, che avrebbe finalmente strappato la sposa di Cristo al suo declino, privandola delle proprietà e del potere secolare. In questo modo essa sarebbe tornata a essere santa, a occuparsi dello spirito. Posizione questa, condivisa da molti intellettuali dell'epoca, tra cui Dante Alighieri, solo per citarne uno.
Così, con più di duecento anni d'anticipo su Martin Lutero, gli Apostolici proclamarono il sacerdozio universale, ovvero la necessità che il cristiano dovesse vivere direttamente il rapporto con Dio, senza bisogno di una struttura ecclesiastica che pascolasse il suo gregge.
Dolcino e i suoi scelsero di praticare già questa nuova dimensione, di tagliare i ponti con la Chiesa e di vivere liberi e sciolti da ogni vincolo. Saldarono il loro credo con le istanze delle popolazioni povere delle valli alpine e alla lotta di quest'ultime contro i grandi feudatari ecclesiastici e i loro interessi. Diedero vita a un piccolo modello di società comunistica e – come avrebbe scritto Calvino due secoli più tardi riferendosi ad altri eretici – "libertina". Basti pensare al ruolo fondamentale che ebbero le emancipate figure femminili all'interno delle comunità apostoliche, prima fra tutte Margherita da Trento, la compagna di Dolcino. Ma anche al ruolo strategico che gli "eretici" svolsero nell'organizzare la resistenza montana contro le rappresaglie dei nobili. Non violenti per vocazione, i dolciniani scelsero di autodifendersi, quando il papa bandì la crociata contro di loro. Fino alle estreme conseguenze.
Il sacerdozio universale, l'idea di una Chiesa costruita dal basso, un certo "comunismo" cristiano, sono ad esempio capisaldi della Teologia della Liberazione che ancora oggi ha una parte politica assai importante in molte zone del mondo. Così l'idea di una fraternitas universale, posta dal cristianesimo e a cui tanti eretici si rifacevano, si ritrova sui vessilli della Rivoluzione francese in veste laica e resta ancora oggi uno dei parti migliori della cultura occidentale. Allo stesso modo l'idea di un ambito religioso separato da quello politico-istituzionale, una Chiesa che abbandona il potere secolare, si è potuta affermare tardi e anche in questo caso a prezzi altissimi, ma rimane più che mai epicentro della nostra peculiarità culturale.
Non solo. Oggi il sistema economico che l'Occidente ha esteso al mondo intero vive una crisi epocale. In questo passaggio, i movimenti di contestazione e rinnovamento che aspirano a un altro mondo possibile sono spesso propensi a ricercare altrove, in spazi geopolitici lontani dal nostro, elementi di una sensibilità diversa, che immetta sangue e idee nuove nel modo tradizionale, stantìo, che abbiamo di rapportarci alla politica. In tempi di globalizzazione questo non solo è assolutamente giustificato, ma anche giusto. Tuttavia dovremmo essere capaci di guardare alla nostra storia e leggere i germi di quelle alternative di pensiero, se non ancora pratiche, che ci hanno preceduto suggerendo altri percorsi. Questo senza bisogno di mancare a una doverosa storicizzazione e contestualizzazione delle esperienze passate. Quando ancora certe forme dello sfruttamento e dell'alienazione non erano che in potenza, qualcuno aveva immaginato un mondo diverso. Altri rapporti sociali, altre concezioni della vita associata, un altro destino per l'umanità.
http://www.fisicamente.net/SCI_FED/index-774.htm
http://altrarealta.blogspot.it/
Riferimenti bibliografici on line utilizzati:
http://web.tiscali.it/teses/minibooks/storia/fradolcino.html
http://www.eresie.it/id334.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Fra_Dolcino
http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/dolcino.html
Premessa
Tutto era cominciato con il Concilio di Lione (1274), che ereticizzava il dissenso, introduceva l’Inquisizione, imponeva una teologia di carattere teocratico che non poteva che scontrarsi con altre ed opposte istanze pure presenti da gran tempo tra il “popolo di Dio” e nella stessa Chiesa gerarchica.
La frattura prodotta da questo Concilio fu di portata storica: basti pensare che esso pose le basi per una successiva identificazione tra “eresia” e “magia - stregoneria”, dei cui frutti avvelenati patirà l’intera Europa con roghi isolati, dapprima, e con la caccia a streghe e stregoni poi e per lungo tempo (XV-XVII secolo).
Dolcino fu dapprima seguace e poi erede spirituale di Gherardino Segalello da Parma, passato alla storia per la penna non propriamente a lui favorevole di Salimbene de Adam. Gherardino aveva dato vita agli Apostolici, un movimento di penitenza e di ritorno alle origini dell’uguaglianza cristiana e della più stretta povertà francescana.
Mal gliene incolse, perché, dopo il carcere duro e la successività condanna a quello perpetuo, fu mandato a morte il 18 luglio del 1300, e a nulla gli valse la protezione del vescovo di Parma, Obizzo Sanvitali, che aveva cercato di proteggerlo ricorrendo all’espediente di farlo passare per “ydiota”, come potevano suggerire i comportamenti giullareschi di Gherardino, in tutto imitatore di Francesco, il secondo Cristo.
Vita e parte del pensiero
Dolcino Torielli (o Tornielli) nacque, intorno al 1250/1260, probabilmente a Prato Sesia (Novara) e si dice fosse il figlio illegittimo di un prete spretato. Crebbe a Vercelli educato dal maestro Sion. In gioventù fu probabilmente un francescano o perlomeno compì degli studi regolari, perché mostrò sempre una certa cultura e una buona conoscenza del latino e delle Sacre Scritture.
Nel 1290 entrò nel movimento degli apostolici di Gherardo Segarelli, ma per diversi anni non si fece particolarmente notare.
Il cambiamento avvenne nel 1300 dopo la morte sul rogo del Segarelli: la repressione da parte della Chiesa cattolica fu molto brutale e lo stesso Dolcino riparò per qualche tempo in Dalmazia. Da qui scrisse la prima delle sue lettere a tutti i seguaci del movimento, presentando la sua idea sullo sviluppo delle ere della Storia rielaborando le ben note teorie di Gioacchino da Fiore. Il concetto e semplice ed interessante: la setta degli Apostolici è totalmente spirituale, non vi sono vincoli esteriori. E' uno strumento di Dio per salvare le anime. I "cattivi" per Dolcino sono i preti ed i frati francescani e domenicani. Nell'interminabile lettera scritta da Dolcino si afferma che il quarto ed ultimo Stato della Chiesa è stato annunciato da segni inequivocabili. Tutti i religiosi (frati ed ecclesiastici) verranno sterminati da Federico d'Aragona, re di Sicilia; Bonifacio VIII sarà assassinato ed al suo posto andrà un Papa eletto da Dio ed allora tornerà la pace tra i Cristiani. Sempre all'interno della lettera sono elencati i sette angeli dell'Apocalisse
(L'angelo di Efaso fu S. Benedetto; L'angelo di Pergamo fu S. Silvestro;
L'angelo di Sardi fu S. Francesco; L'angelo di Laodicea fu S. Domenico, che aveva fondato l'ordine antieretico dei Domenicani; L'angelo di Smirne fu Gerardo;
L'angelo di Tiatira fu Fra Dolcino; L'angelo di Filadelfia sarebbe stato un Papa successore di Bonifacio VIII).
Una possibile immagine di Dolcino
Una possibile immagine di Margherita
Ben presto Dolcino fu nominato capo del movimento degli apostolici e nei primi mesi del 1303, egli trasferì il movimento sulle montagne del Trentino, vicino ad Arco sul Lago di Garda, dove conobbe Margherita di Trento, figlia della contessa Oderica di Arco ed educanda in un convento. La fanciulla sarebbe diventata la futura compagna di Dolcino, nella vita e nella morte.
La rigorosa coerenza nell'essere sempre aderente con l'azione da lui predicata, in tempi in cui questo esercizio - stando a quanto racconta la storia - era disatteso in primis proprio dai grandi prelati, fece sì che il seguito che raccolse durante l'incessante peregrinare in alta Italia (ben presto tramutatosi in vera e propria fuga dalle autorità) aumentasse giorno dopo giorno.
Come sempre avveniva in casi simili, molti - avvinti dalla sincerità e coerenza del predicatore di passaggio - decidevano di seguirlo, finendo anche per vendere ciò che possedeva per versare il ricavato nelle casse del trascinatore.
Perseguitato dalla Chiesa corrotta trovò sostegno e rifugio in svariati luoghi dell'Italia settentrionale, dove continuò a predicare le sue convinzioni. Gli inquisitori avevano ormai istituito numerosi processi contro Dolcino ed i suoi seguaci.
Dolcino non dovette scappare da Vercelli per via dei furti come viene spesso scritto, ma per ragioni politiche. L'instaurazione guelfa aveva appunto fatto scappare le famiglie ghibelline. Da Arco, Dolcino scrisse la seconda delle sue lettere agli apostolici dove pubblicò anche il numero di seguaci in Italia, oltre quattromila fratelli e sorelle, con i nomi degli esponenti di maggior rilievo. Ribadiva la sua profezia di sterminio di preti e monaci ad opera di Federico re di Sicilia e che nel 1305 avrebbe ottenuto giustizia e pace tra i Cristiani. Purtroppo però il suo gruppo era ormai alle strette. Dolcino pensò così di trovare rifugio tra le montagne dove trascorse la sua giovinezza. Pensava di potersi difendere, attendendo che le sue profezie si fossero avverate.
Tuttavia poiché la lunga mano dell'Inquisizione era giunta fino in Trentino con il rogo di tre apostolici, Dolcino decise nel 1304, per organizzare meglio la resistenza, di guidare i suoi seguaci (ben tremila persone) con una epica marcia attraverso le montagne lombarde fino in Val Sesia, la sua terra natia. Si dice che il nome di Campodolcino, un paese vicino a Chiavenna, sia una diretta testimonianza di questo esodo di massa dei dolciniani.
In Val Sesia i dolciniani si insediarono dapprima nella parte bassa della valle tra Gattinara e Serravalle, in località Piano di Cordova, nel feudo dei conti di Biandrate, e grazie all'apporto di servi fuggiaschi dei vescovi di Novara e di Vercelli, arrivarono ad essere una schiera di circa 4.000 persone. Si unirono anche diversi letterati provenienti da varie parti d'Italia (Bologna, Toscana e Umbria), come Bentivegna da Gubbio. Nei suoi spostamenti Dolcino continuò la sua predicazione ed aggregava persone al suo movimento. La sua grande abilità consisteva nell'essere efficace e convincente, sebbene dovesse agire di nascosto. Riuscì infatti a corrompere il rettore della chiesa di Serravalle.Successivamente sotto l'incalzare delle truppe dei vescovi di Novara e Vercelli, essi si spinsero più in su nella valle, nei possedimenti di un ricco valligiano, di nome Milano Sola, di Campertogno, un paese pochi chilometri prima di Alagna. Da lì, per difendersi meglio dapprima si trasferirono sulle pendici della Cima Balme ed infine in Val Rassa, vicino a Quare, su una montagna denominata Parete Calva, dove i superstiti (circa 1.500 persone) si asserragliarono per tutto l'inverno del 1304. Da qui scendevano per saccheggiare e rubare nei villaggi sottostanti.
Ogni azione malvagia compiuta dai dolciniani in questo periodo fu giustificata da Dolcino. Egli riteneva che essi fossero talmente perfetti da poter commettere qualsiasi atto contro i fedeli a Santa Romana Chiesa senza correre il rischio di peccare, secondo il detto di San Paolo: Tutto è puro per i puri (Lettera a Tito 1,15) ed in questo essi assomigliarono molto ai Fratelli del Libero Spirito.
Ma nel rigido inverno del 1305 la morsa dell'assedio delle truppe cattoliche e dei valligiani fu talmente incisiva che Margherita di Trento, con inaspettato coraggio, decise lei stessa di guidare il gruppo in una disperata azione di sgancio dall'assedio attraverso montagne e passi innevati fino alla loro nuova roccaforte, il monte Rubello (oggi San Bernardo), vicino a Trivero, in provincia di Vercelli, dove giunsero nel Marzo 1306. Ranieri Avogadro di Pezzana, vescovo di Vercelli, nonché signore di Biella, organizzò le prime difese.
Nel frattempo, nello stesso 1306, volendo definitivamente farla finita con questa setta, il Papa Clemente V (1305-1314) aveva bandito una crociata, cui avevano aderito gli Inquisitori di Lombardia, l'arcivescovo di Milano, e Ludovico di Savoia. Addirittura furono reclutati uomini persino a Genova da inviare contro Dolcino.
Le bolle papali, emesse da Bordeaux, da papa Clemente V, il 26 agosto del 1306 fecero accorrere ancora più gente in difesa della Chiesa Romana. Veniva raccontato che gli uomini di Dolcino fossero spietati criminali, che raziassero, uccidessero, mutilassero ed incendiassero ogni cosa che trovavano sul loro cammino. Chiunque indossi la veste con croce e si appresti a partire verso le valli del Novarese e Vercellese per combattere l'eresia dolciniana - questo il senso della disposizione delle autorità ecclesiastiche - avrà rimessa la totalità dei peccati.
I dolciniani, completamente circondati e posti d'assedio dalle truppe cattoliche, resistettero per circa un anno. Con una resistenza disperata gli uomini di Dolcino riuscirono a respingere l'esercito, facendo anche diversi prigionieri, tenuti per il riscatto, ma poi, oramai ridotti in condizioni disumane (mangiavano carne di topi e di cani e ci furono perfino episodi di cannibalismo), dopo un ultimo assalto, costato la morte a 800 dolciniani, si arresero alfine nel 1307. La battaglia ebbe luogo il 23 Marzo (giovedì santo), l'esercito cristiano fece 140 prigionieri, trovando sulle montagne oltre 400 morti, dalla fame e dal freddo.
Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo di Bergamo, luogotenente di Dolcino, vennero catturati vivi e il 25 marzo furono portati al castello di Biella, dove Longino e Margherita furono arsi sul rogo il 1° Giugno 1307, nonostante i tentativi di alcuni nobili locali di salvare la vita della donna, facendola abiurare. Longino fu arso vivo sulle rive del Torrente Cervo. Dolcino fu costretto ad assistere al rogo della sua compagna (Darà - come dice un cronista anonimo del tempo - continuo conforto alla sua donna in modo dolcissimo e tenero") e successivamente portato a Vercelli per essere, a sua volta, arso (1° giugno del 1307). A sentenza emessa e prima che fosse giustiziato, Dolcino su sottoposto ad una sorta di tortura: incatenato su un carro tirato da due lenti buoi farà un interminabile percorso per le vie cittadine mentre due aguzzini con tenaglie arroventate strapperanno, di tanto in tanto, parti del suo corpo. Il cronista anonimo - che assistette alla scena - scrisse che "mai un solo lamento uscì dalla bocca del frate, e solo quando gli fu strappato il pene si sentì un verso rauco come di animale ferito". Quindi Dolcino fu issato sul rogo e arso vivo. Nonostante questa atroce tortura, Dolcino non si lamentò mai, eccetto quando si strinse nelle spalle all'amputazione del naso o quando sospirò profondamente al momento dell'evirazione. Nessuno di loro rinnegò le proprie dottrine, nemmeno durante le precedenti torture ed il rogo.
Uno tra i più crudeli inquisitori della storia della Chiesa, Bernardo Gui, disse:
"Dolcino radunò nella sua setta ereticale molte migliaia di persone di entrambi i sessi, da ogni dove, soprattutto in Italia settentrionale e in Toscana e nelle altre regioni vicine, e a loro trasmise una dottrina pestifera e predisse molti avvenimenti futuri con spirito, non tanto profetico quanto fanatico ed insensato, affermando e fingendo di avere da Dio delle rivelazioni e uno spirito profetico. Ma in tutte queste cose fu trovato falso, ingannatore ed illuso, insieme con Margherita, sua malefica ed eretica compagna nei delitti e nell'errore..." (Bernardo Gui, De secta illorum qui se dicunt esse de ordine apostolorum).
Agli esordi del ’500, qualcosa di simile accadrà in Valcamonica, dove intere comunità opporranno resistenza alla drammatica ridistribuzione della ricchezza messa in atto dal mercantilismo della recente dominazione veneziana.
Anche qui la guerra contadina sarà camuffata dai poteri forti (civile e religioso) come eresia e stregoneria, con relativi rituali sacrificali di decine di montanare/i arsi sulle pubbliche piazze.
Ma già molto prima, tra il secondo Duecento ed il primo Trecento, eretici e dissidenti avevano trovato buona accoglienza presso le vicinie di questa valle lombarda, poiché i due paradigmi di riferimento della vita comune, fondati sul principi dell’uguaglianza naturale e spirituale, e praticati attraverso la regola del solidarismo redistributivo di sopravvivenza, erano identici. Ne sono una riprova le forme di conduzione della comunità civile (vicinia-vicinanza-comunanza) e di quella dell’associazionismo religioso (confraternita), che presentano figure e modalità sostanzialmente identiche.
Ancora in Valcamonica, ma molto lontano dal tempo di fra’ Dolcino e all’interno di tutt’altra cultura religiosa, attorno alla metà del ’600, presso un’altra “setta”, quella dei Pelagini, anch’essi perseguitati e sradicati, si potrà ritrovare la certezza utopica dell’avvento di un “papa angelico”, un pontefice riformatore e rinnovatore della Chiesa stessa, nel capo e nelle membra.
Forse il tracciato di un’indagine storica dei ceti popolari sconfitti, se improntato nella direzione di scoprirne ed illustrarne anche le morfologie permanenti, potrebbe riportare in vita se non il panico che molti in tempi lontani provarono per fra’ Dolcino e gli Apostolici, per lo meno una più onesta attenzione verso la storia delle cosiddette classi subalterne e i loro progetti, perché mostrerebbe come la storia, almeno talvolta, andrebbe percorsa anche con i “se”, attraversata, cioè, da ipotesi utopiche che sono state sconfitte, ma non per questo sono liquidabili come morte o inefficaci.
La tragica vicenda di Dolcino suscitò l'interesse di diversi letterati nel corso dei secoli come Nietzsche che ha esaltato la figura di Dolcino come quella di un prototipo ideale del super-uomo, così come egli lo immaginava:"Dolce e spietato, al di sopra di ogni miserabile morale, praticamente l'individuo che può porsi al di là del bene e del male".
e Dante Alighieri, che lo descrisse nell'Inferno nel canto XXVIII ai versi 55-60
Siamo tra gli scismatici e seminatori di discordie e parla a Dante nientemeno che Maometto:
Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
S’egli non vuol qui tosto seguitarmi,
Sì di vivanda, che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch’altrimenti acquistar non saria a lieve.
Nel 1907 sul luogo della sua ultima resistenza fu eretto un obelisco commemorativo, che fu abbattuto a cannonate durante il fascismo per essere poi ricostruito negli anni '60.
La dottrina
Come si diceva, Dolcino si ispirò alle dottrine millenariste di Gioacchino da Fiore. Secondo Dolcino, la storia dell'umanità era contraddistinta da quattro periodi:
- Quello del Vecchio Testamento, caratterizzato dalla moltiplicazione del genere umano,
- Quello di Gesù Cristo e degli Apostoli, caratterizzato dalla castità e povertà,
- Quello iniziato al tempo dell'imperatore Costantino e di Papa Silvestro I, caratterizzato da una decadenza della Chiesa a causa dell'accumulo delle ricchezze e dell'ambizione,
- Quello degli apostolici Segalelli e Dolcino, caratterizzato dal modo di vivere apostolico, dalla povertà, dalla castità e dall'assenza di forme di governo ed esso sarebbe durato fino alla fine dei tempi.
Inoltre, nelle sue lettere, egli fece ampio accenno all'Apocalisse di Giovanni e in particolare ai sette angeli delle sette chiese, precursori della propria setta. Egli infatti attendeva il settimo angelo, cioè di un papa, finalmente eletto da Dio e non dai cardinali: questi ultimi sarebbero stati distrutti, assieme a Papa Bonifacio VIII (1294-1303), da Federico III d'Aragona e di Sicilia (1296-1337), re nel quale erano state riposte le speranze dei ghibellini italiani.
Nonostante le profezie di Dolcino su Federico III non si avverassero, Dolcino rimase sempre un riferimento per i suoi seguaci ai quali aveva predetto che, sotto questo nuovo papa, gli apostolici avrebbero potuto ricevere la grazia dello Spirito Santo e predicare e vivere in pace fine alla fine dei tempi.
La vicenda degli Apostolici si inscrive nella grande crisi della cristianità tra XIII e XIV secolo, ben rappresentata dalla disputa interna all'ordine francescano tra conventuali e spirituali. Da un lato i fautori di una canonizzazione e di un'equiparazione agli altri ordini monastici, dall'altro i partigiani dell'adesione letterale al messaggio e all'esempio di Francesco, che rifiutavano proprietà, beni, inserimento nella gerarchia e nel "sistema" Chiesa. Un conflitto che si trascinerà per oltre un secolo a suon d'inquisizioni, e da cui a loro volta si diramano altri conflitti e movimenti.
Tra questi, gli Apostolici di Gerardo Segarelli prima e di Dolcino poi predicavano e praticavano una separazione totale dalla Chiesa romana, vista come un'istituzione corrotta e putrescente, destinata ad essere abbattuta da un nuovo potere statale, un nuovo Imperatore, che avrebbe finalmente strappato la sposa di Cristo al suo declino, privandola delle proprietà e del potere secolare. In questo modo essa sarebbe tornata a essere santa, a occuparsi dello spirito. Posizione questa, condivisa da molti intellettuali dell'epoca, tra cui Dante Alighieri, solo per citarne uno.
Così, con più di duecento anni d'anticipo su Martin Lutero, gli Apostolici proclamarono il sacerdozio universale, ovvero la necessità che il cristiano dovesse vivere direttamente il rapporto con Dio, senza bisogno di una struttura ecclesiastica che pascolasse il suo gregge.
Dolcino e i suoi scelsero di praticare già questa nuova dimensione, di tagliare i ponti con la Chiesa e di vivere liberi e sciolti da ogni vincolo. Saldarono il loro credo con le istanze delle popolazioni povere delle valli alpine e alla lotta di quest'ultime contro i grandi feudatari ecclesiastici e i loro interessi. Diedero vita a un piccolo modello di società comunistica e – come avrebbe scritto Calvino due secoli più tardi riferendosi ad altri eretici – "libertina". Basti pensare al ruolo fondamentale che ebbero le emancipate figure femminili all'interno delle comunità apostoliche, prima fra tutte Margherita da Trento, la compagna di Dolcino. Ma anche al ruolo strategico che gli "eretici" svolsero nell'organizzare la resistenza montana contro le rappresaglie dei nobili. Non violenti per vocazione, i dolciniani scelsero di autodifendersi, quando il papa bandì la crociata contro di loro. Fino alle estreme conseguenze.
Il sacerdozio universale, l'idea di una Chiesa costruita dal basso, un certo "comunismo" cristiano, sono ad esempio capisaldi della Teologia della Liberazione che ancora oggi ha una parte politica assai importante in molte zone del mondo. Così l'idea di una fraternitas universale, posta dal cristianesimo e a cui tanti eretici si rifacevano, si ritrova sui vessilli della Rivoluzione francese in veste laica e resta ancora oggi uno dei parti migliori della cultura occidentale. Allo stesso modo l'idea di un ambito religioso separato da quello politico-istituzionale, una Chiesa che abbandona il potere secolare, si è potuta affermare tardi e anche in questo caso a prezzi altissimi, ma rimane più che mai epicentro della nostra peculiarità culturale.
Non solo. Oggi il sistema economico che l'Occidente ha esteso al mondo intero vive una crisi epocale. In questo passaggio, i movimenti di contestazione e rinnovamento che aspirano a un altro mondo possibile sono spesso propensi a ricercare altrove, in spazi geopolitici lontani dal nostro, elementi di una sensibilità diversa, che immetta sangue e idee nuove nel modo tradizionale, stantìo, che abbiamo di rapportarci alla politica. In tempi di globalizzazione questo non solo è assolutamente giustificato, ma anche giusto. Tuttavia dovremmo essere capaci di guardare alla nostra storia e leggere i germi di quelle alternative di pensiero, se non ancora pratiche, che ci hanno preceduto suggerendo altri percorsi. Questo senza bisogno di mancare a una doverosa storicizzazione e contestualizzazione delle esperienze passate. Quando ancora certe forme dello sfruttamento e dell'alienazione non erano che in potenza, qualcuno aveva immaginato un mondo diverso. Altri rapporti sociali, altre concezioni della vita associata, un altro destino per l'umanità.
http://www.fisicamente.net/SCI_FED/index-774.htm
http://altrarealta.blogspot.it/
Io abito proprio dove Dolcino ha vissuto con i suoi seguaci, ci sono le rovine dell'assedio dei vescovili e altre cose e qui è più vivo che mai, cippo, festa, celebrazioni, vie a suo nome fondazione eccetera.
RispondiEliminaIl santuario di San Benardo (inguisitore massacratore di donne e bambine)eretto dove c'era l'insediamento di Dolcino è chiuso, le chiese con rari fedeli e Dolcino alla grande dopo 700 anni.
Sei grande Dolcino
Gianni
anche io sono un grande ammiratore di Dolcino
RispondiEliminaCosa che sanno pochi di Dolcino
EliminaLe donne erano in parità con gli uomini e potevano gestire la loro sessualità come meglio volevano.
Ci sono voluti 700 anni alle donne per riconquistare la libertà che le donne avevano con Dolcino
Gianni