Quando non ci si aspetta più nulla da una relazione, si crea un legame profondo.

E. Baret: A un certo livello, per innamorarsi bisogna essere disperati. Quanto devo essere disperato per credere che qualcuno abbia il potere di darmi sicurezza! Qualcuno che può farsi investire domani...


D: Quindi ci si innamora solo se manca la presenza, se si sente un vuoto?


E. Baret: E' una proiezione. Un cane passa di lì, noi proiettiamo sul cane. È il cane della nostra vita, un cane fedele, un bel cane, non è come gli altri cani, ecc. Vedere il meccanismo di proiezione. Due anni dopo abbiamo un'opinione diversa sul cane. Eppure non è cambiato...
Osservate questo riflesso automatico che si ha di proiettare su tutti i cani che passano. Non possiamo impedirlo, ma a un certo punto ci accorgiamo di come funziona: abbiamo ancora questa aspettativa, questa speranza immaginaria di trovare sicurezza, conforto, affetto, amore nelle braccia di qualcuno - che è una negazione della nostra stessa integrità. Non è una critica.


A una certa età un bambino ha bisogno di essere allattato al seno: non ha scelta. Per un periodo della vita, questo immaginario, questo bisogno di essere amati è necessario.
Poi si cresce, e non si entra più in quel genere di sdolcinatezza, che importa se mi ami o no? Quando sono sul letto di morte, se qualcuno mi tiene la mano e mi dice "Ti amo, ti amo", che cosa mi può importare?.... È puramente immaginario.


La persona mi ama fino al momento in cui vede un altro cane e gli mette gli occhi addosso. Niente di più. Questo amore può tenerselo. Non ha consistenza, non preclude l'affetto, ma non si è obbligati ad immaginare, a pretendere di amare, di essere amati.


Quando non ci si aspetta più nulla da una relazione, si crea un legame profondo.


Dietro la speranza si nasconde il bisogno, la paura. La paura provoca il desiderio e, quando vogliamo, non diamo nulla. Dobbiamo renderci conto di questo. In una relazione profonda, diamo senza speranza di ritorno. Quando non abbiamo più aspettative, siamo presi da questo non bisogno. Finché chiedo, vivo la mia miseria.


Quando do, vivo la mia pienezza. Dare porta equilibrio. La minima aspettativa mi riporta all'infelicità. Essere felici perché qualcuno mi ama porta sofferenza. Una sofferenza costante perché il dubbio è sempre presente. Non si può mai essere sicuri al cento per cento.


Sono convinto di essere amato e, nel profondo, c'è uno piccolo specchio dentro di me che dice: "Forse non è del tutto così, forse domani sarà meno, forse passerà un altro cane"... Si sente sempre l'ansia. Quando me ne rendo conto, non sento più il bisogno di essere amato. Questa è la scoperta dell'amore. Questa è una buona notizia perché nessuno mi ha mai amato. Le persone care non possono amare, sanno solo volere. Immaginano di amare, ma vogliono qualcosa. La mia amica mi vuole molto bene, ma se vado a letto con la vicina, mi vuole molto meno bene. Ecco cos'è l'amore! Non hai bisogno di quel tipo di amore...


Quando mi rendo conto che non ho bisogno di essere amato, avviene una profonda trasformazione psicologica. In quel momento posso amare qualcuno senza chiedere. Non temo più nulla. Non amo più qualcuno per qualcosa.


Quando si ama veramente qualcuno, che la persona rimanga o se ne vada, lo si ama. È un amore incondizionato. Ma un amore con un contratto, "Ti amo se fai questo, non ti amo se fai quello", quell'amore può rimanere nel cestino.


Più si prende coscienza che non si ha bisogno di essere amati, più si scopre questo amore senza restrizioni. Si vive un non-marasma affettivo. Si resta presenti a ciò che c'è. Con un bambino, si è attenti, qualunque sia il suo stato di salute. Che un bambino nasca o muoia, si è presenti. La minima richiesta... e vivo il mio conflitto.


L'essere falso in me stesso è ciò che mi disturba. Quando pretendo di soffrire, rinuncio al presentimento di indipendenza. Mento a me stesso. Il disagio viene da lì. La non autonomia è la menzogna. Non è la sofferenza che soffro, è di ingannarmi. Quando sono insoddisfatto, mi illudo. Giustifico la mia infelicità inventando una causa, è falso. Bisogna avere la maturità di guardarlo.


Trovare un pretesto per il mio dolore indica una mancanza di umiltà che mi è necessaria per trovare la gioia di vivere. Quando me ne rendo conto e smetto di giustificare il mio malessere, può ancora esserci angoscia, un dolore molto grande, ma non lo attacco più alla situazione - se non in modo simbolico. È un momento di passaggio molto importante.


Se ho la maturità di non associare mai la mia sofferenza a nessuna considerazione, di viverla indipendentemente da qualsiasi contesto, solo sensorialmente, si risveglierà in me una sorta di grande aridità, di morte interiore. Morirò a tutte le mie relazioni affettive, sociali, amichevoli, intellettuali... Questo periodo è indispensabile. Un giorno questa tristezza si rivelerà il suo esatto opposto. Basta avere la maturità per viverla senza oggettivizzazione, senza situazione.


Quando torno alla mia immaginazione e pretendo di essere disperato "a causa di questo", ho perso la mia onestà, non ho più alcuna via d'uscita. Oggi tale causa mi colpisce e domani troverò un'altra ragione alla mia angoscia: è senza soluzione. Quando la sofferenza si libera dalle pretese situazioni, quando ho la maturità per provare una tristezza senza ragione, che nulla può colmare, la tristezza contiene la mia stessa morte. È un momento di grande intimità.


Ma il più delle volte cerco di tirare fuori la testa per respirare e non affogare in questa sofferenza. Al contrario, bisogna arrendersi: si rischia solo di morire e, senza questo, non si può nascere...


Eric Baret


(estratto e traduzione estemporanea: "De l'abandon")
http://altrarealta.blogspot.it/



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