Ma dove sono finiti i giovani?




Vi racconto un frammento della mia storia. Nel 1984/85 frequentavo la prima liceo a Torino. Una mattina di novembre arrivo davanti a scuola e alcuni ragazzi più grandi mi dicono: «Oggi non si entra. C’è il picchetto. E se il preside non ci ascolta da domani inizia l’occupazione! Tu che fai ragazzino? Sei un primino vero?»



Che ero un “primino” ce l’avevo scritto in faccia. Ho sempre dimostrato molto meno della mia età. Se a cinquant’anni può anche fare piacere, vi assicuro che quando hai quattordici anni è una tragedia! Non che avessi particolari problemi, ero semplicemente piccolo... e se avessi deciso di iniziare a farmi la doccia tutti i giorni avrei anche potuto tentare l’accoppiamento con esponenti dell’altro sesso. Ma non successe.



Le scuole superiori sono un posto particolare, perché chi frequenta la prima classe è praticamente ancora un bambino che arriva dalla terza media (peraltro, una terza media degli anni ’80, non di oggi) mentre chi frequenta quarta o quinta è quasi un uomo. In quei cinque anni compi il passaggio più importante di tutta la tua vita. Vi dico solo che a quell’epoca qualche ragazza usciva dal liceo con un figlio!

Ovviamente, non poteva essere colpa mia.



Per me che frequentavo da pochi mesi, i ragazzi che avevo di fronte possedevano più autorità dei miei stessi genitori e se la giocavano alla pari con alcune divinità egizie. Non sapevo cosa significasse “picchetto” né “occupazione”. Sapevo che se tornavo a casa a quell’ora le prendevo da mia madre, ma se cercavo di sfondare il picchetto le prendevo da quelli più grandi. Di fronte a quell’intimazione il mio primo pensiero era stato di fingermi morto e dopo strisciare via senza essere visto. Poi mi sono allontanato e ci ho riflettuto un po’ su. Ho cominciato a chiedere a quelli della mia età che cosa stava succedendo.



Mi spiegarono che il preside si era permesso di vietare le uscite per andare in bagno in momenti differenti dal cambio-ora, perché alcuni erano stati sorpresi a fumare nei corridoi durante le lezioni. Intendiamoci, fumare nei corridoi della scuola all’epoca si poteva, ma non durante gli orari di lezione. Però l’uscita durante la lezione veniva considerata dagli studenti un sacrosanto inviolabile diritto... quindi adesso si sospendevano le lezioni e si protestava!

Lo so... era una cosa ridicola... ma negli anni precedenti e in quelli successivi – fino ai primi anni ’90 – il clima scolastico è stato più o meno quello.



Vi ho presentato questo spaccato di “vita da liceo anni ’80” perché ieri ho incontrato due ragazzi intorno ai quindici/sedici anni che passeggiavano in una via isolata della zona dove abito io, indossando la loro brava mascherina. Ne incontro in continuazione. Tutti ligi al dovere, anche quando non li vede nessuno, anche quando non c’è alcuna ragione logico/scientifica per indossarla. Ogni tanto mi viene voglia di afferrarli per le spalle e scuoterli, ma ho paura che si accascino come dai sacchi vuoti, come vestiti alla moda senza nessuno dentro. Mi appaiono di una fragilità inaudita.



Non hanno capacità critica. Credono a tutto ciò che dice il telegiornale, credono a tutto ciò che APPARE (filosoficamente, potremmo dire che sono ammalati di “realismo ingenuo”). Li percepisco estremamente DISTRATTI: fino a un anno fa organizzavano proteste per non impedire agli immigrati di entrare in Italia e adesso accettano di non poter uscire di casa dopo le 22!

È come se il bombardamento mediatico avesse provocato in loro una frattura rispetto alla realtà. Si battono per ciò che è “alla moda” (immigrazione, ambiente), ma non riescono a capire quando è il caso di intervenire per difendere invece qualcosa che non deve essere toccato a nessun costo.



L’unico timido tentativo di protesta si è avuto qualche settimana fa davanti ad alcuni licei, poche decine di studenti, tutti con la mascherina, tutti distanziati. Wow... che protesta... avevo quasi paura scoppiasse una guerra civile! Ho temuto si sparasse per strada come negli anni ’70!

Su un cartello c’era scritto: «Ridateci la scuola». Ma la scuola non ve la meritate (nemmeno con tutti i problemi che si portava dietro già da prima). La libertà si conquista, non si chiede, «a chi la chiede si risponde a sputi in faccia!» mi diceva il mio professore di italiano.



Sono stato un po’ duro? Beh... sì, forse sì. D’altronde, io sapevo bene che mi sarei incarnato in Italia... e sono sceso lo stesso. Traete voi le conclusioni.



Salvatore Brizzi

[Il mondo è bello, siamo noi ad esser ciechi]


http://altrarealta.blogspot.it/


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