Il sogno di Licio Gelli
La separazione delle carriere era il sogno di Licio Gelli. È diventata un cavallo di battaglia di Berlusconi. E oggi è l’obiettivo principale del governo Meloni.
Alessandro Di Battista 
La separazione delle carriere era il sogno di Licio Gelli. È diventata un cavallo di battaglia di Berlusconi. E oggi è l’obiettivo principale del governo Meloni.
Nel 2026 andremo a votare su una riforma che prevede anche questo: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. È evidente che questa riforma non migliorerà minimamente il sistema giustizia, non aiuterà i cittadini ad avere tempi più veloci e soprattutto non aiuterà i magistrati a combattere la corruzione.
L’obiettivo profondo e a lungo termine della riforma è un altro. In tutti i Paesi dove è stata introdotta la separazione delle carriere — subito o dopo qualche anno — i pubblici ministeri sono finiti sotto il controllo dell’esecutivo, cioè del Ministero della Giustizia.
Per provare a convincerci che questa riforma sia giusta, raccontano tre balle.
La prima: “Dobbiamo fermare il continuo passaggio dei PM che diventano giudici e viceversa.”
Peccato che questo “continuo passaggio” non esista. Come hanno ricordato decine di volte Nino Di Matteo e Nicola Gratteri, questo fenomeno riguarda meno dell’1% dei magistrati. E soprattutto chi decide di farlo, deve cambiare distretto (regione). Secondo voi è normale che per un fenomeno così marginale vogliano stravolgere la Costituzione?
La seconda: “Serve perché giudici e PM fanno lo stesso concorso, quindi il giudice potrebbe essere condizionato”.
Falso. I dati lo smentiscono: le sentenze non dipendono affatto dalle richieste dei PM. Ci sono giudici che ogni giorno assolvono quando il PM chiede la condanna e condannano quando il PM chiede l’assoluzione.
E come ha detto Di Matteo ad un evento organizzato di recente dall’Associazione Schierarsi: “Seguendo la loro logica, dovremmo “separare” anche i giudici di primo grado da quelli d’appello”. Una follia.
La terza: “Ce lo chiede la gente”.
Davvero? Nel 2022, quando si è votato per abolire la legge sull’unicità delle carriere, è andato a votare il 20% degli aventi diritto (di cui il 25% ha votato NO).
La verità è solo una: il potere e i colletti bianchi temono le (già pochissime) indagini. Garantendo di fatto il controllo governativo della magistratura inquirente avremo una giustizia sempre più di parte. Del resto imporre un controllo governativo è quello che hanno fatto alla Rai e i risultati sono sotto gli occhi di tutti!
Alessandro di Battista
 
 
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