IL FETO RICORDA LE VITE PRECEDENTI


"Già vidi migliaia d'altre matrici; ho consumato nutrimento d'ogni sorta, ho poppato al seno di
svariate mammelle. Prima nato, poi morto, rinasco continuamente. Ahimè, sono sprofondato in un
oceano di dolore e non riesco a scorgere una via di salvezza! Il frutto di quel che feci a chi m'era
compagno, buono o cattivo che fosse, quello solo devo scontare: da lungi sono scomparsi quelli che
han goduto e quelli che han sofferto per il mio agire. Potessi fuggirmene dal grembo di mia madre,
prenderei rifugio nello yoga e nello studio della dottrina che insegna la differenza tra la coscienza e
gli oggetti, la dottrina che distrugge ogni male ed elargisce il frutto della liberazione. Potessi
fuggirmene dal grembo di mia madre, m'abbandonerei al Sommo Signore oppure a Narayana, che
distruggono ambedue ogni male ed elargiscono il frutto della liberazione. Potessi fuggirmene dal
grembo di mia madre, senza posa mediterei sull'Assoluto imperituro." Ma ecco che, raggiunta
l'apertura degli organi genitali, oppresso dallo sforzo delle doglie, costretto a nascere con dolore, e
sfiorato dal tocco dell'aria esterna, non riesce più a serbare il ricordo delle nascite e delle morti, e si
scorda le sue precedenti azioni buone e malvagie.

Upanishad
Garbhopanisad 4

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