lunedì 27 agosto 2012

SE SOLO NON UDISSI IL RICHIAMO DELL'INFERNO, DI TANTO IN TANTO


Ha voglia Osho a ripeterci di “essere nel mondo, ma non del mondo...” Si vede che non è mai stato nella metropolitana di Milano (e nemmeno in quella di New York o di Londra) nelle ore di punta! A parte gli scherzi, sono atterrato in Italia dopo due anni di assenza, e mi sono accorto, ahimè, che qui non scherza nessuno: sono tutti così maledettamente seri! E poi corrono. A destra, a sinistra, gli uni sugli altri... Assomigliano ad un formicaio impazzito. Non smettono un momento di correre, né di essere seri. Dubito perfino che respirino. Ma andiamo per ordine: arrivo all’aeroporto di Roma ed è il rientro dalle cosiddette “vacanze”. Il terreno pullula di turisti spenti, bruciacchiati dal sole e dalla fretta di acchiappare i loro bagagli, che formano montagne inarrestabili, con strascico di ingombranti souvenir, più bambini strepitanti, che sembrano (o vengono trattati) come cose ancora più ingombranti. Ci sono i servizi di sicurezza col mitra, gruppi di suorine col crocefisso, tribù di extracomunitari col materasso, o con il frigorifero, sotto il braccio. Se vi ricordate il bar cosmico di “Guerre Stellari”, avrete capito di cosa sto parlando. Mio dio, mi sento straniero in terra straniera! Chi sono? Dove vanno? Che cosa vogliono? Cerco un barlume che me li faccia riconoscere – un sorriso, uno sguardo complice, un gesto consapevole. Macché! Sembrano robot un po’ sfilacciati, come se avessero perso qualche fuso...
Poi, volti amici ad aspettarmi, dopo una lunga dogana fatta di cani, documenti, materassi extracomunitari bisognosi di accertamenti, valigette diplomatiche, perfino – sembra incredibile – valigie di cartone legate con lo spago. Un respiro di aria pura, dei sorrisi, abbracci senza tempo, sguardi e non parole. Ci si annusa, perfino. Mi sento come se una pattuglia di “angeli” mi avesse salvato dall’inferno della necropoli. Mi lascio cullare dagli abbracci sin dentro il pulmino, dove mi aspettano lunghi silenzi colmi d’amore. Pian piano, anche la parola riprende il suo significato (nel frattempo in tutta Europa, la parola si è svalutata del tremila per cento: il che vuol dire che dove una volta bastavano dieci parole, adesso ce ne vogliono trecento, per comprare la stessa merce – ideologica). Se avete letto Re Nudo, capirete cosa voglio dire.
Oltre all’invasione della merce, spietata, ossessiva, delirante; è in corso un’invasione della parola, ma non della solita parola: patria, civiltà, libertà, progresso, informatica e altri feticci... No, la parola che si va diffondendo, straripando tra salotti buoni e salotti televisivi e inserti magazine, è la parola spirituale. Eh sì, dopo la moda della macrobiotica, la moda dell’ecologia e del politicamente corretto, la moda del fitness e dei massaggi, insorge la moda della spiritualità. Fioccano dibattiti, dotti interventi, special televisivi, addirittura interi magazine dedicati alla nuova spiritualità. Tutti sembrano avere qualcosa da dire, e lo dicono, usando toni sempre più apocalittici, del tipo “la mia meditazione lava l’anima che più bianca non si può” (ma anche “il mio guru è meglio del tuo”). Ognuno vanta l’unico metodo, l’unico insegnamento, l’unico cammino, l’unico verbo, l’unica possibilità di salvezza per l’anima tua. A Torino, per esempio, dove c’è una fiera del libro talmente enorme che potrebbe contenere mezzo milione di alberi (e li contiene infatti, ma tramutati in stupidi libri...) alla fiera di Torino, dicevo, ci sono stand interi – ma tanti – tutti dediti alla spiritualità, con migliaia e migliaia di titoli, che ci vorrebbero dieci vite di seguito, e con gli occhiali, per leggerli tutti. E secondo voi c’è qualcuno in giro che avrebbe voglia di reincarnarsi solo per leggere tutte quelle stronzate? Io non credo, non credo proprio! Certo che se il vero Tao non può essere detto, e ciò che è detto non è il vero Tao... questi editori d’assalto (al cielo) ce l’hanno messa proprio tutta a non dirlo, «sto Tao!» Ora, sono pur certo che il vero Tao non può essere né sedotto, né ingannato dalle menzogne, e né scalfito nella sua immutabile verità, però può essere sommerso da un diluvio di parole, da una valanga di libri pappamolla, sbrudulanti, con escrescenze linguistiche sempre più confusionarie... E come potrà mai raccapezzarsi, il vero assetato? Ammesso che ce ne sia uno.
Questa è la prima domanda. A cui non ho risposta alcuna. Spero che qualcuno mi aiuti, perché oltretutto mi sta sfuggendo il senso, e magari dovrò stare da queste parti, per molti mesi! Seconda domanda: “Ma davvero vi sembra tutto così normale? Mi sento come quel povero contadino che ritorna al paesello natio dopo molti anni. Lui lo scempio edilizio lo nota subito, perché gli arriva addosso in tutta la sua maestosità e il suo orrore in un solo momento, invece quelli che ci vivono, nel paesello fetente, non se ne accorgono, perché per loro lo scempio è stato uno stillicidio consumato giorno per giorno. Ed è così che si finisce per trovare tutto “normale”. Perfino il telefonino. Ma come fanno ad avercelo tutti? E ad averlo sempre attaccato all’orecchio? Lo so che si parla di alcuni milioni di telefonini “finti”, tanto per appropriassi dell’ultimo “status symbol”, ma io questa gente l’ho sentita parlare. Non con la moglie e i figli in una serata senza televisione, no. Li ho sentiti parlare al volante, sul tram, mentre attraversano la strada, nel negozio in cui fan compere. Ho visto persino un giovane con aria afflitta che camminava per la città col telefonino all’orecchio – entrambi muti – ed aspettava, con mestizia, che qualcuno lo chiamasse. Sarà mica il nuovo orsacchiotto, più che uno status symbol?
“Non si può più vivere, senza telefonino!” mi confessa drammaticamente una vecchia amica... Mi sta venendo da piangere, poi mi sovviene di un’altra, che mi informa frettolosa, “Scusa, ma non posso prendere il tuo numero di telefono, perché sono dentro la vasca da bagno!” Le chiedo se si porta dietro il telefonino anche quando va a fare la cacchina. Sembra cogliere un sospetto d’ironia, così mi risponde: “È un gran lusso, potersi portare il telefono ovunque!” “Credevo che il lusso fosse potersi fare un bagno caldo in santa pace, senza nessuno che ti rompa le scatole!” Si vede che abbiamo idee diverse sul lusso, e forse su molte altre cose...
Una bestemmia ripetuta fino all’autoconvincimento – una forma macabra di autoipnosi, “Non si può più vivere senza telefonino.” E ci credono tutti, allo stesso modo in cui si sono conviti che non si può vivere senza macchina, non si può vivere senza televisione, senza lavapiatti, senza CD, e ormai non si può più vivere senza DAT, e neppure senza computer. E se non ci credete, avreste dovuto vedere gli sguardi di commiserazione dei miei amici, nel vedermi scrivere queste due note con una vecchia Olivetti. “Dovresti ormai convertirti al computer” – mi ammoniscono seriamente – mentre io mi chiedo se c’è qualcosa di “religioso” nella loro visione del mondo. E tutto questo vi sembra normale? E questa è solo la seconda domanda. A cui non ho risposta alcuna.
Ve lo ricordate Mino Damato? È uno che dice di voler fare programmi culturali, di vera ricerca, in TV. Io accendo la televisione tutte le sere, perché voglio imparare il linguaggio delle tribù che mi ospitano in questi giorni, così mi imbatto in questo tipo, che con aria umil–saccente (cocktail che riesce solo a lui) dirige una trasmissione che ha per tema il dolore. Introduce il dotto argomento con questa dotta citazione, proveniente nientepopodimeno che da Stefano Rodotà; il simil–carneade di passato radicale, “Il dolore non tempra, non fortifica, non fa crescere, il dolore degrada!” Fine della trasmissione. Almeno per me. E se pensate che questa è la nostra intellighenzia, immaginiamoci il resto...
Eppure ti amo. E mi commuove questo tuo correre continuo, questo tuo incessante cercare e cercare, e non sai nemmeno cosa cerchi. Ed io che non ti posso aiutare... E si riaccende, dolente; il senso della mia impotenza. Molti anni fa, tornavo in Italia, venendo da Puna come adesso, e scrivevo a Osho, “Come posso aiutare la tua gente laggiù? Non saprei portar loro il silenzio della tua presenza. Pensi che un sorriso basterà?” Osho mi avvertì che ci sono solo due tipi di persone al mondo, quelli che gli sono a favore, e quelli che gli sono contro. E in ogni caso, sono entrambi la sua gente. Pertanto la cosa migliore da fare era non aiutare nessuno, altrimenti avrei potuto combinare qualche casino! Chiudo gli occhi e sento la sua voce dentro di me. “Quando tu sorridi, tutto il mondo sorride. Quando sei infelice, tutto il mondo è infelice.” Realizzo a un tratto che questo doloroso senso di impotenza non è altro che il risvolto negativo, o l’altra facciata, del mio desiderio di “potenza”: vorrei ancora cambiare il mondo, e soprattutto la comunicazione tra la gente. C’è un momento di quiete assoluta. Poi si apre un sorriso, ed esco con una risata da quell’inferno che sono “gli altri”. Sono in mezzo a una strada qualunque, e ti amo. Chiunque tu sia.
Ancora dentro di me le sue parole, “Se solo impari a vedere, ti accorgerai che tutta l’esistenza ti sorride così, esattamente così, ventiquattro ore al giorno...” Io ti seguirò. Cercherò di portare questo sorriso dentro di me, a ogni istante. In mezzo al traffico di auto, di telefonini e di parole... Se solo non udissi il richiamo dell’inferno, di tanto in tanto.

SW. Sarjano Osho time 1998/1 Altra Realta