PSICOSI DI MASSA

Le cause della psicosi cronica e della schizofrenia, e più in generale della pazzia, sono palesi, ma la psichiatria le considera oscure perché essa stessa ne è affetta, come l’intera società.
Le diverse espressioni della pazzia, salvo quelle dovute a cause fisiologiche, sono quasi sempre di matrice culturale.
Basti pensare che la psicosi (alla radice una paura generalizzata di tutto e tutti), nonché quella disgregazione della personalità e alterazione del pensiero che a essa non può che conseguire, che la psichiatria identifica come schizofrenia, sono divenute comuni negli ultimi decenni perché sono tipiche della cultura consumistica, mentre l’isteria, frutto della soccombente cultura patriarcale\repressiva, ha iniziato a tramontare negli stessi anni.
Psicosi caratterizzata da una forte tendenza verso gli altri (amore per il contesto), frustrata però da un limite nell’esercizio dei ruoli.
Limite a causa del quale gli altri, verso i quali l’individuo è fortemente proteso, lo negheranno.

Psicosi la cui entità varierà anche in base al livello di tensione dell’individuo verso gli altri e al tipo e alla veemenza della recriminazione che subirà.
Detto infatti che la vigente paura e sfiducia di tutti verso tutti costituisce già di per sé una forma di psicosi di massa, i ‘freddi’ reagiranno divenendo cinici, indolenti, indifferenti, mentre i partecipativi tenderanno a cadere preda delle forme di psicosi vera e propria.
Avranno una tendenza alla psicosi, in sostanza, coloro che, a causa di un loro limite nell’esercizio delle forme di partecipatività positiva, non riusciranno a ottenere l’agognato riconoscimento, per cui, vedendo frustrate le loro aspettative, scadranno verso comportamenti che, per l’aumentare del loro malessere, saranno sempre meno adatti a farli giungere a quel che vogliono.
A quel punto, negati da tutti e più duramente, se, oltre ad avere una forte tensione verso gli altri e a essere caratterizzati da una particolare sensibilità, siano connotati da una base irrisolta di paura remota legata a fatti particolarmente penalizzanti vissuti nella fase di formazione del carattere, è facile che cadano preda della psicosi.
Sussiste cioè la possibilità che l’individuo divenga psicotico solo se nel suo inconscio vi siano aree problematiche in cui ricadere quando regredisce.
Benché dipenda anche da quanto regredisce perché, se regredisce troppo, finirà per ritrovarsi in zone remote dell’inconscio, dalle quali comunque non riuscirà a gestire le relazioni.

In genere occorre poi anche che il limite espresso dall’individuo sia interpretato dagli altri come colpevole (negligenza di esercitare correttamente l’impegno), perché se è interpretato come incolpevole, non seguirà la recriminazione, sebbene seguirà in un modo o nell’altro una qualche penalizzazione (colpa oggettiva).
Il soggetto che esprime questo limite, specie quando dipenda da un disimpegno colpevole, di fronte all’impatto con la recriminazione, cadrà in una crisi di relazione con il suo contesto.
Da allora, poiché il suo disimpegno non gli consente di correggere il problema erogando la misura e la qualità di impegno che gli viene richiesto, vivrà con gli altri, che diventeranno per lui nemici di cui non potersi fidare, rapporti di scontro crescente che lo condurranno a percepirli come non affidabili, pericolosi, e che altereranno il suo comportamento fino a spingerlo verso quel distacco dalla realtà, quella «ridotta o assente capacità critica e compromissione dell’adattamento socio-ambientale» che configura la diagnosi convenzionale di psicosi.
L’individuo impegnato, invece, è meglio corredato di certezze maturate attraverso le esperienze positive che dall’impegno derivano, ed esse costituiranno un antitodo alle paure.
Cosa che non impedirà il malessere per l’insuccesso nelle relazioni, o rispetto ai suoi obiettivi, ma farà magari sì che non degeneri oltre lo stadio della generica, diffusissima insoddisfazione\depressione, che della psicosi è il più delle volte l’anticamera.

Un’insoddisafazione\depressione universale perché l’insoddisfazione è il motore della società dei consumi, nella quale i beni devono essere inutili, perché solo i beni inutili sono atti ad alimentare ogni volta quell’insoddisfazione che, in un circuito chiuso, alimenta altri consumi inutili e altra insoddisfazione all’infinito.

Per molti poi la psicosi è frutto di una scelta.
L’individuo, cioè, pur in presenza del malessere che la psicosi gli procura, preferisce rifugiarvisi e rifiutare di adottare un regime di impegno adatto a far sì che possa istituire, attraverso il corretto esercizio dei ruoli, un’adeguata forma di relazione con gli altri.

Astrattamente, quindi, il modo per arrestare la psicosi è porre l’individuo in condizione di ricostruire il suo ruolo in mezzo agli altri.
Non va però dimenticato che la psicosi (il ‘non confronto‘ di cui essa è frutto) è funzionale al consumismo; la paura e sfiducia verso gli altri è così fondata da esserne affetta l’intera società; e l’impegno deve consistere nel raggiungere obiettivi esistenziali solitamente di non facile realizzazione.

Ne deriva che gli psicotici (e schizofrenici) guariranno automaticamente quando guarirà la società, ma guarire prima, per conto proprio, richiede, oltre che speciali capacità, situazioni particolarmente favorevoli.

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