DISPOTICA SOPRAFFAZIONE
Quello che sta succedendo è sempre più chiaro. C’è una trasformazione in atto del sistema di potere e dei vincoli sociali. Il luogo elitario dell’esercizio del dominio ha cambiato di segno. Si è progressivamente spostato dalle oligarchie del comando politico e del capitalismo proprietario ai processi di accumulazione finanziaria, determinando il formarsi di una nuova oligarchia capace di usufruire e gestire la fonte di questo nuovo potere d’imposizione. Un potere non più caratterizzato dal comando gerarchico bensì dalla enorme capacità d’influenzare, d’interdire e d’indurre le scelte della politica economica e produttiva. Nell’attuale situazione globalizzata i governi degli stati, praticamente impotenti, sono condizionati dalle induzioni dei poteri sopranazionali, dalle influenze obbliganti e dai vincoli della cappa finanziaria. Sono sempre meno autonomi nelle scelte e sempre più portati ad imporre ai popoli ciò che viene loro imposto. Gli stati nazionali non sono più il luogo del comando supremo, mentre esercitano un’imposizione politica sottoposta alle ingiunzioni e alle interdizioni delle oligarchie globali dominanti.
Per questo i governi degli stati non possono rappresentare in alcun modo una soluzione, come continuano a illudersi i fiacchi romantici nostalgici di un welfare che non può più sussistere. Al contrario sono ampiamente parte del problema. La gestione statale è il luogo dove si annida e si coltiva il debito pubblico, che in Italia ha raggiunto livelli stratosferici, usato come alibi per imporre politiche di rapina alle fasce sociali più deboli ed esposte. II debito è cresciuto e lievita in continuazione non per finanziare spese sociali e pensioni, come vorrebbero farci credere, ma per garantire proventi alla corruzione dilagante e, in Italia in particolare, per mantenere satollo il sistema cosiddetto delle caste, indispensabile per le logiche clientelari della politica politicante.
Di fronte a questo processo, resosi evidente in tutta la sua dispotica sopraffazione soltanto negli ultimi due decenni, la sinistra autoritaria, culturalmente egemone nella dimensione politica della sinistra, è entrata in crisi perché non è stata capace di emanciparsi da un’interpretazione ideologica e aprioristica della realtà. Le sue tantissime parrocchie e differenziazioni non han potuto che rimanere tutte abbarbicate all’idea autoritaria che bisogna in qualche modo impossessarsi del potere statale per imporre una politica socialista, in grado di definire come va condotto uno stato proletario dall’alto della sua autorità, all’interno di un’idea di giustizia sostanzialmente di classe. Tutto ciò è fallito dove si è tentato di applicarlo ed è ormai improponibile come senso di un percorso di vera emancipazione.
Così si è appannata di molto l’illusione della possibilità e dell’appetibilità di cambiamenti riformisti di sinistra e si è di fatto aperto un vuoto, mentre si è rafforzato e diventa sempre più indispensabile il bisogno di emancipazione.
Gli attuali sistemi di potere sono diventati talmente pervasivi da rendere insopportabile la stessa conduzione dell’esistenza per un numero sempre maggiore di esseri umani, sempre più tartassati, emarginati, super sfruttati e oppressi. I sistemi attuali funzionano sempre meno dal punto di vista della coesistenza sociale e sono sempre meno in grado di riparare ai danni che loro stessi determinano, che scaricano sistematicamente sulle fasce più deboli delle popolazioni. Al contempo sono oltremodo funzionali all’accumulo di ricchezze e di potere delle oligarchie dirigenziali e finanziarie, che organicamente sempre di più hanno in mano le sorti del mondo e i destini degli individui di questo pianeta.
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