martedì 11 febbraio 2014

Il DONO DELL' AQUILA. Il varco verso la libertà






Il dono dell'Aquila è un libro nato dall'esperienza vissuta dall'antropologo Carlos Castaneda che, recatosi in Messico per alcuni studi sulle piante psicotrope, incontra Juan Matus, uno sciamano indio che lo introduce nel gruppo di apprendisti stregoni di cui egli è la guida.


Il gruppo è formato da otto «guerrieri» (quattro «cacciatori» e quattro «sognatori») e quattro «messaggeri», ognuno dei quali ha un proprio compito specifico. Juan Matus è il «Nagual», che ha cominciato a cercare i suoi seguaci a partire dai cacciatori e dai messaggeri, costituendo così il nucleo del gruppo.


Ai cacciatori ha insegnato l'arte dell’agguato che, oltre a comprendere tutta una serie di indicazioni sui modo di comportarsi nei rapporti interpersonali, serve a cercare altri quattro guerrieri, i «sognatori». A questi il Nagual ha insegnato l’arte del «sognare», che permette di entrare nel proprio «altro», grazie all'osservanza di alcuni principi e a particolari esercizi di concentrazione.


Prima di passare definitivamente nel luogo della «terza attenzione» - sembra di capire, cioè, prima di morire -, il Nagual deve cercare i suoi successori, Nagual e donna Nagual, che saranno a capo di un nuovo gruppo.
I criteri per la scelta del Nagual e dei guerrieri si fondano sulla particolare forma dell’«uovo luminoso» - vale a dire di quella parte di ciascun essere vivente che e più spesso chiamata «corpo astrale» o «aura» -, che deve corrispondere a determinate caratteristiche dettate dalla «regola» del Nagual.
Il Nagual Juan Matus riconosce il suo successore proprio in Castaneda, e gli spiega la «regola».


Il potere che governa il destino di ogni vivente è chiamato Aquila, non perché sia un'aquila, o abbia a che fare con un'aquila, ma perché appare al veggente come una immensa aquila nera come l'ebano, eretta come stanno erette le aquile, così alta da arrivare all'infinito.




Quando il veggente contempla il nero d'ebano dell'Aquila, quattro lame di luce rivelano quale sia il suo aspetto ... E il quarto e ultimo bagliore gli rivela quello che l'Aquila sta facendo. L'Aquila sta divorando la consapevolezza di quelle creature che - un attimo prima vive sulla terra e ora morte - si sono lasciate trasportare dall'aria come un interminabile sciame di lucciole, fino al suo rostro, per incontrare il loro padrone, la loro ragione di vita. L' Aquila libera queste fiammelle, le spiana, come un conciatore stende una pelle, e poi le consuma; poiché la consapevolezza è il cibo dell'Aquila (...)
E solo dalle azioni dell’Aquila che un veggente può capire quello che essa desidera. L'Aquila, per quanto non si lasci toccare dalle condizioni di nessun essere vivente, concede a ciascuno di essi un dono. Ognuno, secondo i propri desideri e diritti, ha il potere, se vuole, di mantenere la fiamma della consapevolezza, il potere di disobbedire al richiamo della morte e della consunzione.


A ciascun essere vivente è concesso il potere, se vuole, di cercare un passaggio verso la libertà, e di usarlo. Al veggente che scorge quel passaggio, e alle creature che lo attraversano, è evidente che l'Aquila ha concesso tale dono per perpetuare la consapevolezza.
Allo scopo di guidare verso quel passaggio gli esseri viventi, l'Aquila ha creato il Nagual.
Il Nagual è un essere duplice a cui è stata rivelata la regola. Che abbia forma di essere umano, di animale, di pianta, o di qualsiasi essere vivente, il Nagual è spinto da questa duplicità a cercare il passaggio nascosto.
Il Nagual appare in coppia, maschio o femmina. Un uomo duplice, una donna duplice diventano Nagual solo dopo che a ciascuno di loro sia stata rivelata la regola e che ciascuno l'abbia capita e accettata senza riserve.
All’occhio del veggente un Nagual, uomo o donna, appare come un uovo luminoso diviso in quattro parti. A differenza dei comuni esseri umani che hanno solo due lati, la sinistra e la destra, il Nagual ha il lato sinistro diviso in due lunghe sezioni, e il lato destro diviso nello stesso modo.


L'Aquila ha creato il primo uomo Nagual e la prima donna Nagual come veggenti, e subito li ha mandati nel mondo a esercitare queste capacità. Ha dato loro come scorte quattro donne guerriere, esperte nell'arte dell'agguato, tre guerrieri e un messaggero, che essi devono nutrire, tirar su e guidare alla libertà.
II dono dell’Aquila si discosta dunque dalla concezione comune di dono come dare senza ritorno. II dono dell'Aquila non e una elargizione, ma una possibilità, che si compie soltanto a determinate condizioni.
Solo i «guerrieri impeccabili», la cui volontà riesce a guidare non solo i desideri ma il corpo nella sua totalità, riescono a trovare il passaggio verso la libertà, cercandolo anche come luogo fisicamente individuabile sulla terra (un ponte da attraversare, un <<luogo di potere», ecc.).


Questa presenza fisica di luoghi in realtà ultradimensionali -nel senso che esistono in una dimensione parallela a quella fisica, dimensione in cui vengono caricati di significati simbolici- e ritenuta possibile grazie al fatto che la vita dei «guerrieri» si svolge su due livelli: il mondo fisico e I'«altro mondo», che non è solo il mondo dopo la morte, I’ ultima tappa, ma è la dimensione in cui vive il nostro «altro», il corpo non fisico, percepito dal veggente come uovo luminoso che, più che contenere il corpo fisico o sovrapporsi ad esso, ne è l'equivalente nella dimensione dell' «altro».


Il passaggio verso la libertà deve essere conquistato attraverso il ricordo, la memoria del proprio «altro», visto che gli avvenimenti che accadono al livello della «seconda attenzione» -stato di coscienza alterato, che permette di vivere appunto in questa seconda dimensione- vengono dimenticati nel momento in cui si torna allo stato di «prima attenzione», quella del corpo fisico, relativa al mondo dei bisogni quotidiani.
Per imparare a «sognare», cioè a entrare nel mondo della seconda attenzione, sono necessari anni di esercizi, ma all'inizio del training questo passaggio di livello può attuarsi grazie a un semplice gesto del Nagual, della guida: un colpo alla spalla.


Si entra in uno stato in cui manca non solo il senso prospettico, ma uno schema interpretativo che permetta di attribuire, a oggetti ed eventi, collocazioni e valori diversi: è come se tutto apparisse in primo piano. Il movimento e possibile non attraverso azioni muscolari, ma grazie a un puro atto di volontà: «mi accorsi che, per muovermi dovevo avere intenzione di muovermi a un livello molto profondo. In altre parole, dovevo essere profondamente convinto di volermi muovere, o forse sarebbe più esatto dire che dovevo essere convinto di aver bisogno di muovermi».
L'esperienza di questa seconda vita è la chiave verso la libertà, dato che opera in chi la vive una vera e propria metamorfosi, l'assunzione di un punto di vista che capovolge la gerarchia dei valori comunemente accettata e cerca altrove la propria ragione di vita.


La ricerca del varco, del passaggio, come luogo fisico, ci riporta a un altro concetto più volte ribadito nel corso del libro: la «regola» come mappa, vale a dire come percorso da seguire per raggiungere la meta, o anche come insieme di istruzioni per trovare il tesoro nascosto sull'isola-terra.


Il tesoro, il premio, e la libertà, il cui costo è la «perdita della forma umana», che presuppone la liberazione da ogni vincolo materiale e affettivo. Evidentemente, la perdita della forma umana non è intesa nel senso negativo di annullamento della soggettività, anzi è l'unica condizione che rende possibile la sopravvivenza della consapevolezza, conquistata attraverso il ricordo. Grazie alla perdita della forma umana, il «guerriero» è libero da qualsiasi tipo di vincolo terreno, e può esprimersi nella totalità del suo essere, può diventare ciò che Bachtin chiama l'«uomo infinito», che non si lascia rinchiudere nell'ambito ristretto del contingente del suo tempo storico e nei limiti del suo ruolo. Per questo è necessario «usare tutto il proprio non-fare, quale l'annullamento della storia personale, la perdita dell'arroganza, l'interruzione delle abitudini e così via».
Il non-fare non è qui ozio, perdita di tempo; al contrario, è recupero, attività indispensabile, e ha dunque un suo valore, anche se fuoriesce dal normale ciclo produttivo. L'assoluta necessita del non-fare, considerato fondamentale per entrare nella dimensione dell’«altro», è apertura verso la totalità e valorizzazione del presente e, come tale, negazione del calcolo utilitario in senso stretto, che presuppone invece la posposizione, il rimandare il piacere, il controllo motivato da una finalità. Un famoso scrittore, lega il calcolo utilitario alla «presenza», «cioè la vita che si fa presente a se stessa e che si fa centro di energia sintetica secondo distinte potenze operative».
Il non-fare porta invece proprio alla perdita della forma umana, cioè della presenza storica del soggetto, che in questo modo si trova di fronte al Tempo assoluto.


[Florinda] Disse che non dovevo credere, come a un certo punto aveva creduto il NaguaJ Juan Matus, che c’è un vero e proprio passaggio fisico per entrare nel proprio altro. La fessura che io avevo visto era solo un'idea della loro volontà... un'espressione fisica del potere di muovere la «ruota del tempo» che i due uomini possedevano ... il tempo è l'essenza stessa dell'attenzione; le emanazioni dell'Aquila sono fatte di tempo... Disse che la ruota del tempo è come uno stato di intensificata percezione che è parte del proprio altro ... e che potrebbe essere descritto fisicamente come un tunnel di lunghezza e larghezza infinite; un tunnel con solchi riflettenti.


Ogni solco è infinito e ve n'è un numero infinito. Le creature viventi sono costrette, dalla forza della vita, a guardare nel proprio solco. Guardare vuol dire esserne intrappolati, vivere in quel solco. I guerrieri che sono riusciti a far girare la ruota del tempo possono guardare in qualsiasi solco e attingerne tutto quel che desiderano. Essere intrappolati a forza in un solco di tempo vuol dire vedere le immagini di quel solco soltanto quando se ne allontanano.


Essere liberi dalla forza magica di quei solchi vuol dire poter guardare in ogni direzione, sia che le immagini si allontanino sia che si avvicinino.


La conquista del proprio «altro» viene così a coincidere con la scomparsa dalla scena sociale e cioè, in ultima analisi, con la follia: «il non esserci più in una storia umana e la follia». Non a caso, la peculiarità delle «guerriere» Zoila e Zuleica è proprio quella di essere un po' folli in determinate circostanze.
Non solo: la cosiddetta «follia controllata» è una delle pratiche cui i «guerrieri» devono far riferimento. «Per poter praticare la follia controllata, poiché non si tratta di una maniera per ingannare o castigare la gente o per sentirsi superiore, si deve essere capaci di ridere di se stessi».


La «follia controllata» appare come un modo per prendere le distanze, una maniera per «essere al di fuori» anche nel mondo dei bisogni quotidiani e dei normali rapporti interpersonali, fornendo una diversa visione di se stessi e degli altri, capovolgendo o inventando ruoli e situazioni anche attraverso la recitazione.
I «guerrieri» devono imparare a raggiungere questo stato di dissociazione e di alienazione e il Nagual, l'essere duplice cui è stata rivelata la regola, deve essere la loro guida: il dono che ha ricevuto deve diventare il mezzo che permette ad altre persone, scelte in base a determinate caratteristiche stabilite dalla regola stessa, di trovare il passaggio verso la libertà.
«Essere legato alla regola può essere descritto come vivere un mito. Don Juan viveva un mito, un mito che s'era impossessato di lui e ne aveva fatto un Nagual, quell'immenso significato che lui aveva ai nostri occhi e a quelli dei suoi altri compagni. La sua assoluta preminenza si fondava sui fatto casuale di essere legato alla regola».


Il significato del Nagual, il valore della sua vita, e il suo legame con la regola, che lo costringe senza scampo a portare a termine il suo compito, la sua missione di guidare i suoi «guerrieri» verso la libertà: il dono che egli ha ricevuto, la duplicità, grazie alla quale gli è stata rivelata la regola, diventa a sua volta dono per altri.
Una volta conosciuta la propria duplicità e accettata la missione, è impossibile tornare indietro: la scelta non ammette ripensamenti, e il fallimento comporta la morte definitiva, il dare la propria consapevolezza in pasto all'Aquila.


A un certo punto ci viene detto, però, che l' Aquila si accontenterebbe di una «ricapitolazione» al posto della vera consapevolezza. La ricapitolazione consiste in pratica nel rivivere, più che ricordare, tutta la propria vita fin nei minimi particolari, come per farne una copia di egual valore con cui l'Aquila si lasci ingannare.
Il dono dell'Aquila come possibilità dipendente dalla volontà individuale, il fatto che la regola venga rivelata solo ad alcuni eletti, le evidenti tendenze finalistiche ci riportano a concetti presenti nella religione cristiana come in molte altre religioni rivelate o comunque organizzate in sistemi di valori-guida: il rapporto tra libero arbitrio e grazia divina, la rivelazione, il significato della redenzione e le finalità ultime della vita e della morte.
Se l'Aquila dona il potere di conservare la consapevolezza, in realtà soltanto pochi eletti corrispondono ai modelli richiesti dalla regola perché sia formato il gruppo dei «guerrieri»; solo in un secondo momento, a condizione che queste caratteristiche siano risultate adeguate, entra in gioco la libera scelta individuale e l'impegno a vivere «impeccabilmente», secondo la regola.



L' «impeccabilità» è il sacrificio necessario affinché il «guerriero» raggiunga lo stato d'animo e la concentrazione per poter ricordare il proprio «altro». Comincia a questo punto il cammino a ritroso, la conquista.
Il dono dell'aquila. Possibilità di varco verso la libertà

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