domenica 9 febbraio 2014

Perché buono e bello accendono il nostro cervello



Ultime novità dalle frontiere delle neuroscienze esplorate da Giacomo Rizzolatti, scopritore dei neuroni specchio, e allievi all’Università di Parma. E voi, lettori, imprenditori, istituzioni, avete domande da fare agli scienziati di questo progetto? Scrivetemi (salvatoregiannella@yahoo.it): Giannella Channel, come sapere, ha inaugurato da poco un nuovo servizio utile. Farà anche da ponte con la grande (e spesso sottostimata e muta) famiglia italiana della scienza e della tecnologia in grado di favorire quella innovazione e ricerca sempre più decisive per il futuro dell’Italia tutta. (s.g.)



Neuroni al microscopio elettronico a scansione. Il neurone è l’unità cellulare che costituisce il tessuto nervoso del cervello. Una stima indica in cento miliardi di neuroni il patrimonio del cervello umano. All’interno di questa “foresta” neuronale il team del professor Rizzolatti ha rilevato per la prima volta la presenza dei neuroni specchio.




Parma: Giacomo Rizzolatti, il neuroscienziato scopritore dei neuroni specchio. E’ nato nel 1937 a Kiev, in Ucraina, allora nell’Unione Sovietica, si è laureato a Pisa.
Nel 2011 il Corriere della Sera, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ha incluso le scoperte di Rizzolatti tra le 10 prodotte dal genio degli scienziati italiani da ricordare nella storia d’Italia.



PARMA - Come siamo in grado di decidere se un’opera d’arte è bella o brutta? Oppure valutare se un quadro o una scultura ci piace o meno? E soprattutto: perché davanti a un’opera d’arte proviamo una sensazione di trasporto, un’emozione profonda? E perché si dice “l’arte non si spiega, si sente”? A queste domande ambiziose, sulle quali filosofi discutono da secoli senza raggiungere un accordo che concili le varie correnti teoriche, stanno dando le prime risposte scientifiche un gruppo di ricercatori che operano presso il dipartimento di Neuroscienzedell’Università degli Studi di Parma, guidati dal professor Giacomo Rizzolatti, neurofisiologo in odore di premio Nobel, 76 anni, nato a Kiev da madre pediatra e papà medico, una somiglianza impressionante ad Albert Einstein. Questi esploratori della mente studiano da anni come funziona una particolare area del cervello umano dedicata alla comunicazione tra le persone e, in particolare, come il cervello risponde alla bellezza dell’opera d’arte.







Vilayanur Subramanian Ramachandran(1951) è un neurologo indiano, meglio conosciuto per il suo lavoro nei campi delle neuroscienze del comportamento e della psicofisica. Insegna all’Università della California a San Diego. La rivistaNewsweek lo ha definito una delle “cento persone più importanti del nostro tempo”. Per lui, “i neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia”.



Una scoperta fondamentale da parte di Rizzolatti & C. riguarda l’esistenza, nel nostro patrimonio neuronale, di una particolare classe di cellule chiamate “neuroni specchio”. Per capire l’importanza di questa scoperta, valga il telegrafico giudizio espresso dallo scienziato indiano Vilayanur S. Ramachandra: “I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia”.

A che cosa servono questi (fino a ieri misteriosi) neuroni specchio? Siamo andati aParma, io e la mia compagna di vita e di lavoro che ha insegnato per oltre trent’anni educazione artistica, e lì Rizzolatti ci ha spiegato: “Queste cellule nervose si attivano per imitazione, quando vedono qualcun altro compiere un gesto. Per esempio, se guardiamo qualcuno che beve una birra fresca, nel nostro cervello si attivano le aree necessarie a compiere esattamente quel gesto, anche se noi, nella realtà, poi non lo facciamo. E c’è chi avverte persino la sensazione di fresco della birra nella sua bocca. Questi neuroni, quindi, riflettono, come uno specchio quello che vedono nel cervello altrui”.




I Bronzi di Riace, statue bronzee di dimensioni leggermente superiori al vero (altezza 205 e 198 cm.), di provenienza greca o magnogreca (V secolo a.C.) e recuperate dal mare in eccezionale stato di conservazione. Dal prossimo gennaio saranno ammirabili nel Museo nazionale della Magna Grecia, a Reggio Calabria, dal 2009 in ristrutturazione. Le immagini dei Bronzi sono state usate come stimoli negli studi sui neuroni specchio del team di scienziati del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. In particolare, è stata rilevata l’attività dei cervelli mentre i soggetti osservavano le immagini delle sculture nella risonanza magnetica funzionale.



Una foresta di cento miliardi di neuroni. Proviamo a tradurlo con parole più semplici: i neuroscienziati di Parma hanno individuato che nel giardino dei nostri cento miliardi di neuroni ci sono delle piante particolari che si attivano nell’osservazione del comportamento degli altri. Se innaffiate da acqua pulita, cioè da gesti positivi o dal bello, i neuroni specchio attivano comportamenti positivi. (Purtroppo è vero anche il contrario: e pensiamo ai danni che producono tanta violenza e volgarità diffusa attraverso i media!). Ma restiamo nel campo della positività ed entriamo nel grande campo dei neuroni e dell’arte. Puntiamo l’attenzione su questa ultima tessera del mosaico delle scoperte fatte. Ascoltiamo ancora Rizzolatti: “Per illuminare il rapporto tra neuroni specchio e arte, grazie anche al generoso contributo iniziale di giapponesi, noi abbiamo fatto degli esperimenti sulle sculture. Abbiamo preso delle opere d’arte classiche greche e con un algoritmo che ci hanno prestato alcuni ingegneri le abbiamo lievemente modificate allungando o accorciando le loro equilibrate misure. Le abbiamo poi fatte vedere ai soggetti presi in esame e abbiamo guardato che cosa succedeva nel loro cervello utilizzando la risonanza magnetica funzionale. Abbiamo dimostrato così che nel cervello umano esiste una sincronia fra azione e osservazione. Innanzitutto le opere greche originarie attivano il cervello molto più di quelle modificate, ma la cosa più interessante è che attivano quelle aree emozionali dove ci sono i neuroni specchio dell’empatia (dal greco: sentire dentro). Quindi il meccanismo che hanno inventato questi scultori greci non è solo di attivare la corteccia cerebrale e di ‘incendiare’ i circuiti nervosi mettendo in moto migliaia di funzioni, ma anche di colpire i centri emozionali: cioè l’artista bravo riesce in qualche modo, con la sua opera d’arte, a muovere i centri emozionali. In definitiva l’arte rende più forte l’empatia di chi la guarda, può mettere in moto processi imitativi e quindi la bellezza genera altra bellezza”.





Nel quadrante, le attivazioni medie dei cervelli di soggetti mentre osservavano le sculture nella risonanza magnetica funzionale. Da sinistra a destra, in senso orario: la prima immagine mostra una visione frontale del cervello e l’attivazione di aree prefrontali e motorie; la seconda immagina, in alto a destra, mostra una visione posteriore del cervello dove è visibile l’attivazione delle aree occipitali del cervello adibite all’analisi visiva degli stimoli. In basso le immagini mostrano una visione laterale (sinistra e destra, rispettivamente) del cervello dove si evidenzia l’attivazione del circuito parieto-prefrontale, nel quale sono stati rilevati e studiati neuroni con proprietà “specchio”: mentre i soggetti osservavano le immagini di sculture, il loro sistema motorio “risuonava” con i corpi delle sculture.


Cinzia Di Dio, ricercatrice del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parla. Nata nel varesotto nel 1973, è sposata ed è appena diventata mamma di Giovanni. Laureata in Scienze Psicologiche presso di University of Hertfordshire (UK, 2002) ha ottenuto un Master in Metodologie di Ricerca presso la stessa università nel 2003. Dal 2004 lavora presso l’Università di Parma dove ha conseguito il dottorato in Neuroscienze. Tra le attività principali, lo studio delle basi neuroanatomiche della percezione del bello nell’arte



L’insula delle emozioni. Con una collaboratrice del professor Rizzolatti su questa specifica ricerca la neuroscienziata di adozione parmense Cinzia Di Dio, approfondiamo la conoscenza. Ecco la sua testimonianza: “Tutti sappiamo e condividiamo che quando ammiriamo un’opera d’arte che consideriamo bella proviamo una sensazione, quasi viscerale, che ci fa sospirare in ammirazione. Partendo da questa esperienza condivisa, il nostro gruppo di lavoro studia il momento in cui, davanti a un’opera, proviamo una sorta d’incanto. A quel livello di elaborazione non è la nostra mente conscia, influenzata da fattori come la moda, la conoscenza, il valore comunemente attribuito all’opera e spesso quantificato nel suo costo, ma è più quell’emozione irrazionale, quell’esperienza profonda, in cui veniamo proiettati. L’esperienza estetica, appunto”.

Come spiegare l’esperienza estetica da un punto di vista scientifico?

“Una possibile chiave di lettura è legata ai meccanismi dell’empatia, cioè quello stato d’animo, quell’emozione che proviamo quando vediamo o sappiamo che qualcuno sta soffrendo e soffriamo noi stessi, oppure quando vediamo qualcuno ridere e siamo felici anche noi. In altre parole, quando entriamo nello stato emotivo degli altri vivendolo e facendo la stessa esperienza in prima persona. Da un punto di vista scientifico, la comprensione dei meccanismi cerebrali che ci permettono di essere empatici è ancora in fase embrionale. Tuttavia, un meccanismo di base che ha attratto particolare attenzione negli ultimi vent’anni e che dà una spiegazione fisiologica alla nostra capacità di empatizzare è quello che si basa sulle proprietà dei neuroni specchio”.



Un’altra delle immagini rinascimentali utilizzate per gli studi del team Rizzolatti.“La nascita di Venere” è un dipinto a tempera su tela di lino di Sandro Botticelli, databile al 1482-1485 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.


Mi ricostruisca il viaggio della squadra Rizzolatti intorno al misterioso pianeta dei neuroni specchio.

“Intorno agli anni ’90, nei laboratori di fisiologia dell’Università di Parma, Giacomo Rizzolatti insieme al suo gruppo di ricerca, allora composto da Vittorio Gallese, Luciano Fadiga e Leonardo Fogassi, scoprivano nel cervello della scimmia l’esistenza di una particolare classe di cellule (neuroni) nella corteccia motoria, che sono state poi chiamate neuroni specchio. Attraverso il sistema specchio (studiato successivamente anche nell’uomo), che si accende sia quando facciamo in prima persona, sia quando osserviamo (o ascoltiamo) un’altra persona fare, siamo in grado di imparare imitando e di capire cosa fanno gli altri e perché agiscono e si comportano in un certo modo. Questa nostra capacità di capirci in maniera spontanea, e non attraverso un ragionamento, è la base fondamentale della nostra abilità di relazionarci gli uni con gli altri e di empatizzare”.

Perché?

“Attraverso il meccanismo specchio, un meccanismo che Vittorio Gallese ha definito disimulazione incarnata, si possono leggere e vivere gli aspetti visibili del comportamento degli altri, vale a dire le espressioni, i gesti, le azioni, ed è possibile richiamare, in maniera automatica, gli stati emotivi a essi associati. Come ben espresso nel 1921 da Sigmund Freud: ‘Una via conduce dall’identificazione, attraverso l’imitazione, all’empatia, cioè alla comprensione dei meccanismi mediante i quali ci è consentito assumere un qualsivoglia atteggiamento nei confronti della vita mentale altrui’.

Ci conduca per mano nei labirinti di questo processo…

“Da un punto di vista anatomico, il ponte di collegamento che traduce le nostre espressioni corporee (elaborate dal sistema motorio) in stati emotivi (elaborati da un sistema emozionale), e viceversa, è un’area del cervello chiamata insula, detta così per via della sua particolare forma a isola. Quando quest’area si accende nel nostro cervello, i movimenti e le espressioni osservati negli altri si legano alle nostre emozioni e noi facciamo esperienza in prima persona di ciò che provano gli altri”.




Le immagini mostrano un esempio di stimoli utilizzati nello studio di Cinzia Di Dio & C. dove venivano indagati i collegamenti neuronali associati all’esperienza estetica in soggetti senza educazione artistica. La risposta del cervello è stata studiata mentre i corpi del Doryphoros polykleitos (in alto) e del Bronzo di Riace (in basso) – tra gli altri – erano confrontati con quelli di due atleti, la cui conformazione fisica e postura richiamano quelle delle sculture.


Ma come si relazionano l’empatia e il sistema specchio all’arte e alla bellezza?

“Un’ipotesi è che, quando un’opera ci cattura e ci muove, così come ad esempio la bellezza delle sculture classiche nella loro forma perfetta (ma il discorso vale anche di fronte alla bellezza di un bimbo o di un fiore), entriamo in uno stato di risonanza motoria, di empatia emotiva, che ci fa in qualche modo vivere le espressioni (fisiche) ed emozionali rappresentate dalla stessa. Nel 2007, Giacomo Rizzolatti, Emiliano Macaluso e io abbiamo mostrato proprio questo meccanismo. Per catturare la sensazione che caratterizza l’esperienza estetica e per capire come il cervello risponde a essa, abbiamo mostrato a dei ragazzi volontari alcune immagini di sculture classiche e rinascimentali (i Bronzi di Riace, la Venere di Botticelli) di corpi umani mentre registravamo l’attività del loro cervello nella risonanza magnetica funzionale. Abbiamo scelto di utilizzare le immagini classiche e rinascimentali perché la loro bellezza è legata ad alcuni parametri, quali la proporzione. Sono parametri che fanno riferimento alla bellezza ideale, che non è corruttibile dal tempo o da sentimenti negativi. Questi parametri, se alterati, rendono le stesse opere meno belle. Confrontando l’attività del cervello quando i volontari osservavano le sculture belle, ossia quelle proporzionate, con quelle meno belle, le non proporzionate, abbiamo scoperto quali aree del cervello si accendono, procurando una sensazione di piacere estetico. Quando un’opera ci colpisce per la sua bellezza, si attivano diverse aree del cervello, alcune che analizzano la struttura fisica dello stimolo (del corpo umano nel nostro caso specifico), altre sensibili al movimento (peculiare, se pensiamo che queste aree per il movimento si attivano anche solo guardando delle immagini statiche!). Tuttavia, l’attivazione che ci ha maggiormente colpiti è stata quella dell’insula, la stessa area che si attiva quando viviamo gli stati emotivi degli altri”.

Una considerazione finale?

“Nel nostro studio sull’arte abbiamo mostrato che l’insula si attiva quando osserviamo delle immagini di opere d’arte. Questa scoperta ci permette di suggerire che, quando ammiriamo un’opera che ha qualità intrinseche di bellezza, nel caso della scultura classica dettate dalla perfezione delle sue forme, possiamo esperire gli stati e le espressioni trasmesse dall’opera, entrando in quello stato di ammirazione che chiamiamo esperienza estetica. Il filosofo tedesco Nietzche, in un passo tratto da Aurora, scrive: “Per comprendere l’altro, cioè per imitare i suoi sentimenti in noi stessi, noi ci mettiamo in una prospettiva di imitazione interna che in qualche modo fa sorgere, fa sgorgare dei sentimenti in noi analoghi, in virtù di un’antica associazione tra movimento e sensazione”. L’opera ben congegnata è in grado di evocare in noi tutto questo, catapultandoci in quella dimensione di sensazioni ed emozioni che l’artista abile ha costruito per noi”.

Salvatore Giannella
con Manuela Cuoghi

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