IL DESTINO CHE ATTENDE L'ITALIA; ceneri e macerie
di
Paolo Cardenà - Mentre stanno andando in onda, a reti
unificate, le celebrazioni per i successi riportati all'Isola
del Giglio, dove la Costa Concordia è stata fatta riemergere dai
fondali marini, con tutto il rispetto dovuto alle vittime di quella
grande tragedia, c'è un'altra grande nave che sta
andando letteralmente a fondo: è 'Italia.
E
in questo caso, siatene certi, i danni saranno ben maggiori.
Nelle
settimane scorse abbiamo assistito al proliferare di fantasie,
secondo le quali la crisi sarebbe ormai alle spalle. A parte il fatto
che questi deliri sembrano smentiti anche dai numeri che le
varie istituzioni internazionale hanno diffuso nei giorni scorsi,
secondo le indiscrezioni che si apprendono dalla stampa, sembrerebbe
che il DEF, di prossima pubblicazione, indichi, per il 2014, un
rapporto DEBITO/PIL al 132.20%
Al
riguardo, facciamo alcune semplici considerazioni.
1) La
strada è segnata e il cammino è scritto. Nel senso che stiamo
marciando speditamente verso uno scenario di tipo greco per
quel che riguarda il debito pubblico; e verso uno scenario di tipo
cipriota per quel che riguarda la gestione delle crisi bancarie
che, prima o poi, è molto probabile che si verificheranno.
2) Ricondurre
la traiettoria del debito verso un percorso di sostenibilità è
assai difficile (se non impossibile), poiché, questo, si sta
alimentando in maniera inerziale. Soprattutto in assenza di
crescita robusta e di lungo periodo, che rischia di appare
solamente nel libro dei sogni.
3) Il punto 2) è tanto più vero se si considera che, eccettuati gli ultimi 5 anni -nei quali l'Italia ha collezionato numeri degni di un vero e proprio disastro tipico di un bombardamento bellico-, nei precedenti 10 anni o forse più, nonostante condizioni macroeconomiche estremamente favorevoli a livello planetario e credito in abbondanza senza precedenti, l'Italia è cresciuta molto meno rispetto ai partner europei. Di certo non in sintonia con le proprie necessità e con l'ampiezza del debito pubblico, cresciuto, dal 2000 in poi, di oltre 700 miliardi di euro ( di cui 170 nell'ultimo anno e mezzo). E' chiaro che al disastro di questa performance, non si è contrapposta una crescita adeguata del PIL, tale da comprimere il rapporto debito/PIL, confinandolo entro livelli meno allarmanti di quelli attuali. Infatti, se analizzassimo l'intero periodo, potremmo osservare che, eccezion fatta per gli anni 2004 e 2007 - nei quali il rapporto è stato di circa il 103%- in tutti gli altri è stato ben superiore, con l'esplosione avvenuta dall'anno 2008, fino a giungere agli attuali livelli che lo indicano al 130%. Inutile argomentare sul fatto che, l'esplosione del debito e conseguentemente del rapporto rispetto al PIL, è dovuta alla crisi in atto. E' evidente.
4) Compreso
il punto 3), giova segnalare che, nel periodo considerato (ossia dal
2000 fino al 2008 e anche oltre) la base produttiva del paese, la
vera generatrice di ricchezza, era molto più solida, vigorosa e
dinamica rispetto a quanto lo sia allo stato attuale. La
disoccupazione, per quanto alta, non è si mai attestata ai livelli
allarmanti di oggi; peraltro con probabile tendenza ad un ulteriore
peggioramento. I redditi reali erano ben più alti di quelli attuali
e, conseguentemente, anche la capacita di spesa dei cittadini era ben
più alta. Maggiori spese equivalgono a un maggior PIL. Quindi,
a parità di aliquote, anche maggiori entrate per lo stato. Le
imprese producevano e macinavano utili. Il settore immobiliare,
proprio grazie all'espansione creditizia di quel periodo, era
anch'esso in espansione e era in forte crescita. Per non
dimenticare poi che, la pressione fiscale, benché comunque alta, non
aveva mai raggiunto i livelli attuali che oltrepassano di molto ogni
limite tollerabile. Livelli come quelli attuali rendono inutile
produrre e imprendere. Potremmo agevolmente definire quegli anni, un
periodo di vacche grasse. Nulla a che vedere con la stato attuale
delle cose, e con ciò che ci attende nei prossimi mesi o anni.
5) Chiarito
il punto 4) emerge che l'Italia, negli ultimi anni, ha perso una
parte significativa del tessuto produttivo che, come noto,
oltre ad essere generatore di ricchezza, è anche generatore di
benessere sociale. Questo, prima di poter essere ricostituito -cosa
che comunque avviene in anni e non in mesi- necessita quantomeno di
condizioni migliori, e comunque esige la rimozione di tutte quelle
criticità strutturali che ne hanno determinato la scomparsa. E qui
la lista è tanto lunga al punto che si potrebbe andare avanti per
giorni. Tutto ciò è stato reiteratamente discusso in questo sito.
6)
Pensare che l'Italia, in queste condizioni, senza che alcuna riforma
concreta sia stata compiuta, possa agganciare qualche astratta
ripresa che si dovesse presentare, e che possa farlo creando le
condizioni per riassorbire in tempi solleciti qualche milione di
disoccupati in più rispetto a quel periodo di vacche grasse,
generando così le condizioni per una nuova fase virtuosa e di
benessere, è semplicemente delirante, oltre che criminale.
E' delirante per i motivi chiariti nei punti precedenti e in numerosi
articoli ospitati in questo sito. E' criminale perché tende
ad offrire , ad un numero elevato di persone che cercano lavoro e che
ballano quotidianamente con la povertà, l'illusione che tra qualche
mese potranno essere riassorbite nel mondo del lavoro. Così
non sarà.
7) Cosa
accadrà? Difficile dirlo. Ma alla stato attuale, lo scenario più
plausibile è che, con ogni probabilità, l'Italia, con tutto ciò
che ne deriverebbe, dovrà fare ricorso al fondo salva stati che,
congiuntamente alla BCE, acquisterà i titoli di stato. Magari, è
oltretutto probabile che l'Italia accompagnerà la richiesta di aiuti
con qualche patrimoniale in grande stile che, verosimilmente, si
abbatterà sui soliti noti.
L'intervento
della BCE e del fondo salva stati presupporrà un'ulteriore cessione
di sovranità nazionale, mentre l'intervento della Troika imporrà
misure di austerity ancor più invasive, e distruttive. In altre
parole, assisteremo alla più grande rapina della storia umana,
poiché le ricchezze di ogni individuo, nelle diverse forme
possedute, o diminuiranno di valore (nel caso di immobili o di altri
asset), o saranno destinate ad essere confiscate, nelle forme più
fantasiose possibili, transitando nelle casse delle stato per poi
finire in quelle dei creditori: banche, istituzioni finanziarie.
8) L'impoverimento
sarò generalizzato e verrà aggravato da una desertificazione
impetuosa del tessuto industriale che indurrà un numero crescente di
individui, soprattutto giovani, a cercare sopravvivenza altrove. Meno
individui che lavorano in Italia, significa minori redditi spesi in
loco e quindi ulteriore crollo di domanda interna, ulteriore
contrazione del PIL e ulteriore crollo delle entrate tributarie.
Conseguentemente diventerà impossibile sostenere la spesa
pensionistica, la spesa sociale, e più in generale la spesa statale.
9) A
quel punto, quando saranno rimaste ceneri e macerie, i governanti
diranno che l'Italia è in bancarotta.
FINE
Commenti
Posta un commento